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Gen 11, 2010 - Oggi Tecnica, scrittura    Commenti disabilitati su La Scrittura da Dentro I

La Scrittura da Dentro I

Oggi pomeriggio alle 15.00, prima parte del mio corso La Scrittura da Dentro (the abridged version) presso la Libera Università del Gonzaghese, a Gonzaga (MN).

Si comincia con un po’ d’Ingegneria Narrativa: trama, struttura, scena, transizione, convenzione e il sacro, onnipotente conflitto, da Aristotele ai guru americani. Oh, in realtà l’intera faccenda è ben più vecchia anche di Aristotele, ma per la prima codificazione si risale a lui. Ed è sorprendente vedere come certe abitudini narrative persistano invariate, o quasi, dopo millenni… per l’ottimo motivo che funzionano. Altre invece sono invecchiate molto male: c’è un motivo per cui non ci accontentiamo più di un Coro che ci racconta le grame e/o sanguinose vicende avvenute fuori scena, giusto?

Suona molto malsano se dico che adoro queste cose con furiosa, ardente, famelica passione?

Gen 9, 2010 - Oggi Tecnica    1 Comment

Show, don’t Tell

Non è la prima volta che posto di questo, ma è davvero fondamentale. Mostrare e non dire, fa tutta la differenza del mondo. Una dimostrazione?

1) Chiamata dalla mamma, una bambina entrò frettolosamente nella stanza. Era allegra e graziosa, con le trecce bionde e grandi occhi in un visetto ridente. Il suo abito era nascosto da un mantellino di velluto dal cappuccio rosso. Prese il paniere pieno di ciambelline alle spezie che la mamma le porgeva e, con una risata gaia, promise spensieratamente che non si sarebbe fermata a parlare con nessuno lungo la strada.

Hm, sì. Dice quello che deve dire, ci introduce il personaggio… onestamente, se non ci fosse il cappuccio rosso a metterci sulla buona strada, non saremmo particolarmente colpiti da questa bambina, giusto? Riproviamo in un altro modo.

2) Cappuccetto Rosso entrò senza fiato per la corsa, guance rosse e occhi brillanti. “Pronta!” disse.

Con un sorriso indulgente, Mamma le liberò una treccia bionda dal lacciolo del mantellino di velluto rosso. “E mi raccomando…” ammonì, porgendole un panierino che profumava di zucchero e cannella.

“Non mi fermerò a parlare con nessunissimissimo!” la interruppe Cappuccetto, con una risata che pareva un trillo di rondine.

Tutta un’altra impressione, vero? Molto più vivido, molto più immediato, con le tre battute di dialogo, il profumo di zucchero e cannella, i nomi… Invece di leggere un elenco che pare un esercizio di traduzione dal Francese, vediamo caratteristiche e oggetti in funzione, per così dire: la treccia bionda e il mantellino s’impigliano l’uno nell’altra, dal paniere proviene il profumo delle ciambelle, e CR è senza fiato perché ha corso. E a dispetto di quel che sembra per via della divisione in paragrafi, l’esempio 2) conta qualche parola di meno.

Per cui, riassumendo: azioni specifiche, dialogo e dettagli sensoriali infondono vita alla scrittura; avverbi, voci verbali passive, discorso indiretto e termini generici l’appiattiscono.

Dic 9, 2009 - Oggi Tecnica, scribblemania, scrittura    Commenti disabilitati su Revisioni

Revisioni

Ho cominciato da circa una settimana il nuovo corso di Holly Lisle, How To Revise Your Novel.

Come sempre, Holly ha un approccio inatteso ed estremamente rivelatore. Sostiene che molti scrittori non revisionano mai i loro lavori fino a raggiungerne la piena potenzialità, perché il concetto diffuso di revisione è il seguente: riga 1, tutto ok; riga 2, cambia “azzurro” con “ceruleo”; riga 3, sono davvero tutti a cavallo? non a dorso di mulo, magari? Poi devo cambiare tutto… per ora lasciamo i cavalli, ci penserò poi*; riga 4, correggo “setimana” con “settimana”…

E via così, con il risultato che a pagina dieci ho gli occhi fuori dalla testa, a pagina venti comincio ad avere la nausea del mio libro, e quando a pagina venti mi accorgo che i due terzi di quello che viene fino a questo punto si possono tranquillamente eliminare, ho perso una diottria per nulla.

Chi non ha mai fatto così, alzi la mano e si consideri un mortale fortunato.

Per tutti gli altri, HTRYN è pieno di idee sensate. Per esempio, abbiamo cominciato ricostruendo l’idea originaria del romanzo, poi rileggendo la prima stesura senza correggere nulla e limitandoci ad annotare quello che risponde e quello che non risponde al concetto originario. Infine abbiamo individuato il risultato finale che vogliamo, tenendo conto delle direzioni inattese prese e degli errori commessi nella prima stesura.

Insomma, dopo una settimana di lavoro, non solo ho individuato un sacco di falle nella prima stesura, ma ho anche un’idea ragionevolmente precisa di quello che il romanzo non è ma può diventare a lavoro finito. Molto, molto più stimoltante (e, tendo a credere, più efficace) che correggere gli errori di battitura riga per riga.

Seguono adesso altre venti o ventuno settimane di lavoro, schede, analisi eccetera, per imparare il procedimento, adattarlo alle mie esigenze ed addestrarmi a ripeterlo in molto meno di venti settimane… Laborioso ed entusiasmante.

E’ in Inglese, si capisce, ma vale veramente la pena. Se qualcuno fosse curioso, può dare un’occhiata qui:  

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* E si può star certi che i muli cadranno nell’oblio.

 

Promessi Sposi, Capitolo VI

Il capitolo VI dei Promessi Sposi è una lezione di story-telling.

Oh, d’accordo: non solo il VI… ma siccome oggi pomeriggio introduco il VI alla UTE, lasciate che mi concentri su quello.

Tanto per cominciare, il capitolo precedente è terminato con un cliffhanger, vale a dire costringendo il lettore a voltar pagina, a iniziare il capitolo successivo benché siano le tre e venticinque del mattino… In effetti, se ci pensate, quand’è che mettete giù un libro? A fine capitolo. Ebbene, se la fine del capitolo vi lascia con il fiato sospeso, la tentazione di dare una sbirciatina alla pagina successiva è forte. E una volta data quella sbirciatina, una volta cominciato un altro capitolo… chiunque abbia passato la notte in bianco su un libro sa di  che cosa sto parlando.

Ebbene, il capitolo V, dopo una consistente seconda parte dedicata a far montare la tensione fra Don Rodrigo e Padre Cristoforo, s’interrompe nel momento in cui i due passano in un’altra sala per parlare da soli. A questo punto sappiamo che il signorotto è sovreccitato e di cattivo umore, che il cappuccino ne ha dovute mandar giù abbastanza da far perdere la pazienza a un santo…

Verrà un giorno....gifInizia il capitolo VI, così in medias res che di più non si potrebbe, con Don Rodrigo che, in tutta insolenza, chiede a Padre Cristoforo che cosa voglia. E qui comincia una delle scene celebri del romanzo, un dialogo turbolento, inframezzato dai pensieri dei due contendenti, ma specialmente del frate, in un crescendo che culmina nel celebre “Verrà un giorno…”. Scena scura, mossa, quasi concitata.

Subito dopo, il nostro frate esce dal castello, ma non prima di avere scambiato qualche parola in segreto con il vecchio servitore: sussurri, misteri, dubbi, e qualcosa che non si può dire, non ancora… il servitore verrà domani. Sospensione, visto?

Intanto, rapido cambio di scena: eccoci a casa di Lucia, dove Agnese pontifica ed espone la sua ultima brillante idea. Anche qui si congiura, ma il tono è ben diverso. Una congiura casalinga, semplice e piena di scrupoli, tra una madre che vuol essere scaltra ad ogni costo, un giovanotto impetuoso e una ragazza così integra che non par nemmeno vera… Colori chiari.

Poi via, prima a casa di Tonio, con la famiglia riunita attorno alla polentina bigia, e dopo all’osteria. Nuove congiure all’acqua di rose, tra un Renzo determinato e un Tonio cui non par vera la sua buona sorte: lui, che ha avuto in sorte anche l’intelligenza del fratello, che è in credito di bugie con la moglie, saprà aiutare Renzo proprio a puntino. Il lettore sorride.

Di nuovo chez Lucia, dove arriviamo sulla coda di una discussione madre/figlia. Lucia non si smuove, ma Renzo e Agnese supplicano, rimbrottano, perfezionano il loro piano… forse ci siamo? Forse la ragazza cede? Toc-toc! Si bussa alla porta, e chi arriva è… Padre Cristoforo! Prima di aprire, Agnese sussurra alla figlia di tenere la bocca chiusa, e il sipario si chiude. Se ne starà zitta Lucia? Che dirà Padre Cristoforo (il quale, noi sappiamo, non porta buone notizie)? Procederanno lo stesso i nostri congiurati? E come andrà a finire? Fingete di non avere letto i PS a scuola, ed ecco che avete un altro cliffhanger.

Insomma: ritmo, alternanza di toni e colori, manovre differenti che s’incrociano… aggiungete che ogni tratto di caratterizzazione dei personaggi muove la trama in avanti (l’ostinazione e l’orgoglio di Don Rodrigo, l’ingenua furberia di Agnese, le remore di Lucia, il debito di Tonio…), e si capisce che gli autori dei manuali di scrittura non hanno inventato nulla.

 

 

Nov 25, 2009 - grilloleggente, grillopensante, Oggi Tecnica, scribblemania, scrittura    Commenti disabilitati su Parliamo di Logica

Parliamo di Logica

Siccome (qualora il particolare fosse sfuggito a qualcuno) ho l’influenza, la serata al cinema è saltata. L’amica con cui dovevo uscire si è giustamente rifiutata di venire a farmi compagnia e adottare un po’ dei miei agenti virali, però mi ha mandato in prestito un DVD.

Inkheart.

“E’ proprio il tuo genere,” mi ha detto. “Gente che leggendo ad alta voce tira fuori cose e persone dai libri.”

Incoraggiata da questa recensione, e dal fatto che il cast comprende Helen Mirren e Paul Bettany, ho guardato Inkheart. Oh, è un film carino, sia ben chiaro. Peccato che dia tutto un nuovo senso all’espressione “buchi nella trama”… Ora, non ho letto il libro da cui è tratto, per cui non posso dire se la colpa sia dell’autrice originaria (una Cornelia Funke, tedesca) o degli sceneggiatori.

[Ora, se qualcuno non vuole sapere come va a finire Inkheart, sarà bene che si fermi qui: le mie analisi narrative tendono ad essere faccende truci e prive di scrupoli.]

Quello che so per certo è che, se all’inizio della mia storia affermo ripetutamente e con fermezza che l’eroe non ha controllo sul modo in cui fa uscire la gente dai libri, non posso farglielo acquisire come se nulla fosse, e poi perdere di nuovo con altrettanta inspiegata facilità, a seconda di quel che mi serve per la trama.

E non è che non possa far consistere il grande segreto nel leggere i passaggi che si riferiscono alla persona/cosa/evento atmosferico che voglio estrarre dal libro… Posso, ma se lo faccio, non devo aspettarmi che il mio protagonista, impiegando metà della storia a rendersene conto, ottenga una candidatura per il Nobel.

Invece, se la regola di base della faccenda è che per ogni personaggio uscito dal libro, una persona vera deve entrarci, non posso sovvertire la faccenda a fini puramente umoristici, barattando il ciclone del Mago di Oz (con annessa casa di Dorothy) in cambio di un mezzo personaggio.

Ma d’altra parte, se tutto questo andirivieni di gente vera e non vera non produce cambiamenti nel testo scritto, e quindi non c’è veramente traccia di chi è entrato nel libro, come si fa a “leggerlo fuori”?

Poi, (anche sorvolando sull’importanza, permanenza e immortalità della parola scritta, su cui tutti predicano diffusamente) se alla fine la figlia dodicenne dell’eroe può salvare mamma, papà, prozia, amici e mondo intero (sconfiggendo i malvagi per soprammercato), scrivendosi un finale alternativo sul braccio e leggendolo ad alta voce, perché deve aggiungere al finale stesso qualificazioni gratuite che impediscono il ritorno nel libro all’unico personaggio che proprio ci vuole tornare? Sì, lo sappiamo: perché così suo padre può fare il bel gesto di rispedire a casa questo alleato un po’ dubbio. Solo che non è un motivo narrativamente valido. Tanto più che, per farlo, che cosa deve produrre il paparino? Ma è naturale: una copia del libro, miracolosamente sopravvissuta! Ma come? si chiede a questo punto lo spettatore*, perché non possono semplicemente “riscriverlo” a casa, come hanno fatto con due terzi del cast durante il climax? Hanno persino l’autore al seguito, perbacco!

Sì, appunto.

Tutto ciò per dire, che il lettore/spettatore si aspetta una logica nelle storie che legge. Anche nel fantasy più bizzarro, anche nella storia più surreale, mi aspetto una serie di leggi intrinseche al mondo che lo scrittore crea. E mi aspetto che, una volta stabilite, queste leggi funzionino in modo uniforme. Oppure, che l’unica costante sia la mancanza di uniformità, come nel caso meraviglioso delle avventure di Alice, ma vedete il paradosso? Persino nella mancanza di regole c’è almeno una regola!

E non vale solo per i generi speculativi: è lo stesso principio per cui, in qualsiasi genere, i personaggi devono agire in modo credibile, gl’incidenti stradali devono rispettare le leggi della fisica, le svolte della trama devono seguire il principio di causa ed effetto,  gli eventi devono essere inquadrati negli usi, costumi e leggi dell’epoca in cui sono ambientati…

Se lo scrittore trascura la logica, il lettore si sentirà imbrogliato (illogicità dolosa) oppure deluso (illogicità colposa), e nessuna delle due situazioni tende a condurre ad un verdetto favorevole.

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*A costo di ripetermi: magari poi Frau Funke è innocente, e nel libro è tutto chiaro, logico, trasparente, ialino… Non lo so, e tengo a precisarlo.

 

Il Questionario di Proust

Proust.jpgIl Questionario di Proust era un gioco di società in voga nei salotti del XIX Secolo, una specie di antenato dei test della personalità fatti per divertimento. Proust non l’ha inventato, lo ha solo reso celebre partecipando al gioco: qui ci sono le sue risposte, complete di riproduzione del foglio su cui le scrisse.

Perché lo tiro in ballo? Perché i casi, quando si crea un personaggio, sono in genere due: a) c’è una prima, meravigliosa fase di ebollizione in cui il nostro personaggio prende vita quasi da sé… poi bisogna strutturare tutto quello che è germogliato in un insieme coerente (almeno dal punto di vista dell’universo della finzione); oppure b) serve un personaggio che svolga una certa funzione ma, a parte la funzione, non se ne sa granché… solo che le funzioni pure e semplici non somigliano molto a della gente verosimile.

In entrambi i casi, per mettere ordine o per costruire, ci sono metodi peggiori di un questionario. Ci sono delle domande; si danno delle risposte; ci si chiede che cosa si sa del personaggio; si aggiunge/specula/teorizza/deduce quello che non si sa. E’ più facile restare coerenti davanti a una bella serie di domande scritte.

Ora, esistono centinaia di “schede personaggio” di varia provenienza, da quelle con decine di voci a quelle che si concentrano su pochi tratti salienti; da quelle puramente psicologiche a quelle che sembrano un formulario per la carta d’identità; da quelle asettiche a quelle in cui bisogna rispondere con la voce del personaggio… Tra l’altro, ogni insegnante di scrittura creativa ha la sua. Qualche volta ne posterò qualcuna, ma non è difficile trovarne su e giù per la rete.

Confesso di non averne una preferita: la mia prima scelta tende ad essere quella di Lajos Egri, perché è molto completa, ma quasi mai mi fermo lì: il più delle volte ne faccio un buon numero, più diverse che sia possibile, in modo che coprano aspetti diversi, sollecitino risultati differenti. E il Questionario di Proust tende ad essere utile: ci si cala nei panni del personaggio e via… Non è davvero esauriente e di certo non basta da solo (a meno che non lo si utilizzi per un personaggio secondario), ma costringe a pensare con la testa del personaggio, il che è sempre un esercizio utile. Lo si può anche tenere per i giorni di pioggia, quando si è bloccati: invece di incaponirsi davanti alla pagina vuota, invece di scagliare maledizioni seriali allo schermo bianco, si tira fuori il Q di P e ci si dà dentro. Nella migliore delle ipotesi si farà qualche scoperta utile (you never know the ways your subconscious mind will chose to tell you something), nella peggiore ci si sarà distratti per mezz’oretta dal ginepraio, ed è già qualcosa.annibale.jpg

A titolo d’esempio, voilà il mio Annibale alle prese con il Questionario:

Il tratto principale del mio carattere
L’intensità, la volontà feroce e inarrestabile. Ho perseguito ciò che volevo, sempre, al di là di ogni ragionevolezza e del mio stesso bene, e ho trascinato con me un esercito e una città interi.

La qualità che desidero in un uomo.
L’intelligenza: non ho pazienza per gli stupidi, non sopporto di averne attorno. A un uomo intelligente, d’altro canto, posso perdonare molti difetti.

La qualità che preferisco in una donna.
La comprensione. E poi la misura, il controllo: temo gli eccessi sentimentali più della punta di una spada.

Quel che apprezzo di più nei miei amici
La lealtà e l’intelligenza.

Il mio principale difetto.
La facilità alla collera e all’umor tetro. Il terrore di perdere il mio talento che a volte mi paralizza.

La mia occupazione preferita. 
Ideare una battaglia. Plasmare il terreno, la luce, gli uomini, la paura, le passioni, la tracotanza e il ferro in una vittoria perfetta.

Il mio sogno di felicità.
Non perdo tempo a sognare la felicità. Assaporo la gioia violenta del trionfo quando posso, la rimpiango quando non posso averla, ma non è un fine in sé. E amo l’intensità dei grandi sogni, il respiro delle imprese che occupano una vita intera.

Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia:
La sconfitta. O la vittoria: che sarebbe di me, chi sarei, se non avessi una guerra, un nemico, un sogno da inseguire?

Quel che vorrei essere.
Nessun altro che me stesso.

Il paese dove vorrei vivere.
La Cartagine felice della mia infanzia, forse. Ma nemmeno questo è vero: ho vagato troppo, in avanzata, in trionfo e in fuga, per sapere ancora dove vorrei vivere.

Il colore che preferisco.
Il colore cangiante e chiaro che ha il cuore delle fiamme.

Il fiore che amo.
I gigli d’acqua, come quelli che mia moglie portava nei capelli.

L’uccello che preferisco
Il falco: vigile, sanguinario e fedele.

I miei autori preferiti in prosa.
Ogni storico che sappia leggere l’animo di quelli di cui scrive.

I miei poeti preferiti.
L’Omero dell’Odissea.

I miei eroi nella finzione.
Ulisse, intelligente prima di ogni altra cosa.

Le mie eroine preferite nella finzione.
Non ne ho.

I miei compositori preferiti.
[talvolta capita che qualche domanda non si applichi a qualche tipo di personaggio…]

I miei pittori preferiti.
[…e allora si passa oltre, naturalmente]

I miei eroi nella vita reale.
Il Grande Alessandro e Pirro

Le mie eroine nella storia.
Elissa, la figlia del Re di Tiro, sulla cui nave i miei avi raggiunsero la costa che sarebbe diventata Cartagine.

I miei nomi preferiti.
I nomi ci sono cari a seconda di coloro che li portano. A mio figlio avevo dato quello di mio padre.

Quel che detesto più di tutto.
La stupidità.

I personaggi storici che disprezzo di più.
I Diadochi, che si contendevano brandelli d’impero mentre Alessandro moriva. E certi consoli romani come Longo e Varrone, se mai passeranno alla storia. E Filippo V di Macedonia… Temo di avere imparato a disprezzare la mediocrità, e a discernerla in molti, troppi uomini passati e presenti.

L’impresa militare che ammiro di più.
Le conquiste di Alessandro, le campagne di Pirro. Forse dovrei ammirare anche Scipione, che mi sconfisse.

La riforma che apprezzo di più.
Quella con cui volli attaccare gli speculatori di guerra a Cartagine, anche se mi costò l’esilio.

Il dono di natura che vorrei avere.
Tra i molti doni che ho avuto, mi è mancata la capacità di amare.

Come vorrei morire.
In battaglia.

Stato attuale del mio animo.
[questa domanda ci conduce a una questione interessante: quando? Ovviamente, l’Annibale venticinquenne all’inizio delle sue imprese risponderebbe ben diversamente dal vecchio Annibale esule in Siria. Ma questo si applica anche a diverse altre domande, in realtà… A volte è interessante fare il questionario più di una volta, immaginando che il personaggio risponda in varie fasi della sua vita, e studiare i cambiamenti. Per il momento, supporremo che a rispondere sia Annibale esule in Siria] L’amarezza, il risentimento, il rimpianto delle grandi cose che non ho potuto compiere.

Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza.
Non sono un uomo indulgente. Né con me stesso, né con gli altri.

Il mio motto: Persevero sempre.

Ott 6, 2009 - scribblemania, scrittura, tecnologia, teorie    Commenti disabilitati su Tempeste Cerebrali

Tempeste Cerebrali

Ricordo di avere già accennato alle meraviglie del brainstorming in qualche protopost, ai tempi in cui questo blog era un tentativo ancora molto sperimentale. Oggi vorrei essere più specifica e segnalare qualche strumento utile che si può reperire in rete.

Per cominciare, confesso che sono una scettica convertita. Quando la meravigliosa Holly Lisle cominciò a parlarci del brainstorming come una delle tecniche più utili che uno scrittore potesse imparare, ricordo di avere sollevato un sopracciglio. Cosa? Pensiero disorganizzato per risolvere i problemi? Immaginatemi con un’espressione da we-are-not-amused. Salvo poi capire che lo facevo già, senza nemmeno saperlo, nella maniera istintiva e priva di tecnica che in genere porta risultati insufficientemente cotti. 

Per anni, quando scoprivo di avere incasinato me stessa, la trama e i personaggi, il mio metodo è consistito nello sdraiarmi al buio con le cuffie del lettore cd nelle orecchie, ed esaminare il ginepraio da tutti i possibili punti di vista. Posso aggiungere che la musica che utilizzavo per queste sessioni era invariabilmente Five Variants of Dives and Lazarus di Vaughan-Williams, e che la cosa aveva una certa tendenza a funzionare, se non alla prima, alla seconda o alla terza volta…

Quindi, in definitiva lo facevo, il brainstorming. Solo che lo consideravo una tecnica d’emergenza, tipo respirazione artificiale, da usarsi ad un solo scopo e solo in casi disperati.

Adesso che sono più vecchia e più saggia ho scoperto che non è così. Le tempeste cerebrali (suona semi-epico in Italiano, vero?) sono uno strumento utilissimo e versatile. Sciogliere un nodo della trama, caratterizzare un personaggio, ideare un titolo, individuare un finale, definire una sottotrama, legare tra loro varie sottotrame, pescare l’aggettivo perfetto… non c’è praticamente limite a quello che si può fare con una buona tempesta. L’importante è non farlo come se fosse un compito in classe: lo scopo non è produrre tabelle perfette o cinque paragrafi di prosa squisita, ma piuttosto stimolare il cervello a cercare soluzioni alternative, associazioni nuove, idee inaspettate.

I metodi sono vari.

Musica e buio – a patto di usare sempre la stessa musica ben conosciuta (deve fare da sfondo e aiutare la concentrazione, non provvedere l’esperienza d’ascolto della vita) e di poter accendere la luce e prendere appunti in qualsiasi momento. E sia chiaro, lo cito qui come citerei la mongolfiera tra i mezzi di locomozione: bello e pittoresco, ma non si è affatto sicuri di arrivare dove si vuole (o da qualche parte affatto).

Clustering – per gente visually oriented. Si disegna un rettangolo in mezzo al foglio e ci si scrive dentro la domanda o il problema, e poi si comincia a buttar giù quello che viene in mente. Tutto – ma proprio tutto – va bene. Singole parole, idee, domande, pensieri compiuti, schizzi, disegnini… Chiudere ogni singolo articolo in un ovale aiuta a limitare la confusione. E poi si tracciano collegamenti, paralleli, ramificazioni, e da ciascun ovale si può ripartire con altre associazioni, e via così… L’importante è procedere, procedere, procedere… magari darsi un tempo limite, diciamo dieci minuti, e per quei dieci minuti continuare senza pensarci troppo, seguendo anche le direzioni più strambe, senza preoccuparsi di ortografia, grammatica e logica. Funziona bene con carta e penna (e magari qualche pennarello colorato per stabilire visivamente certe parentele o gerarchie), ma è meglio usare fogli grandi. Per chi vuole provare a farlo al computer, ci sono, crederci o no, software appositi. Il più celebre è Buzan’s iMindMap, ma esistono buone alternative gratuite. Una è Freemind, piuttosto semplice da usare e senza particolari fronzoli; oppure c’è Cayra, molto colorato, e con il non trascurabile vantaggio di poter rendere le mappe virtualmente tridimensionali, ma un po’ macchinoso nell’uso. Personalmente preferisco carta e penna (forse non ho mai imparato come si deve a usare Cayra), con una notevole eccezione. A suo tempo avevo scaricato la versione gratuita di ConceptDraw Mindmap, che sembrerebbe semplicemente un mindmapping software un pochino scarno se non fosse per la funzione “brainstorming”: c’è un timer e c’è una box in cui si digita, come detto sopra, tutto quello che viene in mente. Ogni volta che si schiaccia invio, il programma crea un ovale nuovo nella mappa. A tempo terminato, si può procedere a sistemare, spostare, collegare… E’ così che sono arrivata al titolo del mio ultimo romanzo. Il link conduce al sito ufficiale, dove si può scaricare la versione completa per 30 giorni di prova gratuita… mi par di ricordare che, trascorsi i 30 giorni, rimanga solo la versione limitata gratuita, ma sinceramente non mi ricordo: non c’è altro che provare, temo.

Freewriting – e questo è il mio preferito, perché ho stabilito da lungo tempo che non sono una persona visiva (o visuale? mah…), ma trovo che scrivere sempre d’aiuto. In un certo senso è più intuitivo del clustering, un po’ come pensare per iscritto. Ci si pone una domanda, e si cerca di rispondere, anche se lo si fa con altre domande. Perchè? Che cosa? Chi? Come? e soprattutto, l’impareggiabile, insostituibile, meravigliosa E se invece…? accompagnata da suo cugino germano Oppure? La regola è sempre la stessa: sono solo appunti che nessuno vedrà, quindi non stiamo a preoccuparci di ortografia, grammatica e sintassi. Per dirla tutta, non stiamo nemmeno a preoccuparci soverchiamente della logica, per il momento. L’importante è buttar giù idee, principii di idee, idee potenziali… qualcosa di buono nel mucchio si trova sempre. Spesso e volentieri più di qualcosa. Qualche volta lo faccio in forma di dialogo, qualche volta lo faccio in Inglese, spesso mi ritrovo con più opzioni di quante me ne servano, e allora segue la deliziosa agonia di scegliere fra due (o più) possibilità, tutte allettanti, tutte promettenti… può essere difficile, ma è cieli interi al di sopra di non sapere come continuare! Naturalmente, l’opzione prima è di farlo con carta e penna (su un quaderno apposito, magari rilegato in pelle, fa tanto artista al lavoro…). Personalmente, la maggior parte delle volte lo faccio al computer. E siccome mi secca avere file di Word disseminati per tutto l’hard disk, ho scaricato My Simple Friend, un journaling software che salva da sé quello che scrivo e che tiene tutto insieme, facilitando il reperimento e la consultazione di appunti, tempeste cerebrali, annotazioni, esperimenti e qualsivoglia altro straccetto di scrittura estemporanea. Tutto nello stesso posto: chiunque sia disordinato come lo sono io capirà il pathos della faccenda.

Sembra fumoso? Lo è meno di quanto sembri, ed è maledettamente utile. Siete scettici? Lo ero anch’io, finché non ho provato. O meglio, finché non ho imparato a farlo con qualche rilassatezza. Come detto più sopra, non c’è altro che provare.

Set 5, 2009 - considerazioni sparse    Commenti disabilitati su Fino alle orecchie

Fino alle orecchie

Avvicinandosi il momento di archiviare l’estate, ho fatto un po’ di conti sulla parte di 2009 che mi rimane, e questa è la mia lista di Cose da Fare:

– 3 prime stesure da revisionare (comprendenti: un romanzo da 120000 parole, uno da 82000 che dovrà contarne 90000 prima della fine, e una lunga novella da 42000 e rotti. Per un totale che fluttua attorno alle 250000 parole. Tuuuuuutte da revisionare).

– 2 commissioni: una per una novella e una per un atto unico, entrambe da consegnare a novembre.

– la promozione di Somnium Hannibalis, con almeno quattro presentazioni prima di Natale.

– una lista di libri da leggere (e/o studiare) lunga come il mio braccio.

– la lettura dei Promessi Sposi alla UTE, che è uno sforzo collaborativo, ma c’è.

– 2 racconti in corso che meriterebbero proprio di essere finiti, perché non sono male, if I say so myself

– E non è come se il lavoro fosse magicamente sparito. Proprio no.

Lo confesso: ci sono momenti in cui mi sento un nonnulla sopraffatta. Ne riparliamo il 31 dicembre.

Ago 24, 2009 - grillopensante    1 Comment

Troppete Troppete

Questo sito è fantastico. Come entrare nella caverna dei Quaranta Ladroni. E poi, nel mio caso, restarci tutto il fine settimana, mentre Gente Più Saggia di Me ululava che uscissi a godermi la prima temperatura decente da mesi a questa parte…

“Di che cosa diamine parli, Chiara?”

Er… sì, scusate. Il luogo in questione si chiama TV tropes, vale a dire, più o meno, Tropi Narrativi Televisivi. A dire il vero potrebbe anche chiamarsi Topoi Narrativi Televisivi, o Funzioni Narrative Televisive, perché il contenuto si presta a definizioni elastiche, ma non divaghiamo. E non facciamoci nemmeno sviare dalla parte “Televisivi”, perché non rende del tutto giustizia.

Diciamocelo: non capita tutti i giorni di trovare un archivio sterminato di meccanismi narrativi, tipi di personaggi, trame, finali, luoghi comuni, variazioni sugli stessi… Immaginatevi una specie di versione web delle Funzioni di Propp, solo enorme e piena di esempi…

Ok, ammetto che per la maggior parte gli esempi sono presi da serie anime, telefilm americani, libri di fantascienza, (video)giochi e, sa il cielo perché, dal wrestling. D’altra parte, sull’etichetta c’è scritto TV tropes, nevvero? E a dire il vero c’è anche qualche esempio letterario e cinematografico classico, ma la parola operativa qui è qualche.

Comunque non importa più di tanto: ogni trope* è descritto in modo dettagliato e riconoscibile (e con una buona dose di humor, che non guasta mai), cosicché è estremamente istruttivo, e talvolta sorprendente, constatare quanti tropes differenti compaiano in ogni libro o racconto di nostra conoscenza, e come siano combinati.

Sì, d’accordo, questo genere di esercizio è l’equivalente letterario dello smontare il giocattolo per vedere come funziona. Sapere come funzionano i meccanismi toglie un po’ di suspense alla lettura, ma apre botole inaspettate sugl’ingranaggi della struttura narrativa… non desideriamo forse tutti di fare un giro dietro le quinte a vedere come funzionano le macchine di scena?

Ecco, considerate TV tropes una guida piuttosto irriverente al backstage tour della letteratura. Da prendersi, magari in combinazione con questo (saltando la convoluta e insopportabile sezione intitolata Forster-Harris), una volta al dì, prima o dopo i pasti.

 

*Nota a pie’ di Post: seguito a chiamarli tropes non perché sia un’orrida esterofila°, ma perché nell’accezione vaga che ho detto il termine diventa difficile da tradurre.

° Ok, sì, magari un po’. E poi no: “anglomane incurabile”, semmai… E’ diverso. Sì, lo è. E invece sì.

Apr 9, 2009 - scrittura    Commenti disabilitati su Story Making

Story Making

Devo dire che l’Università della III Età è una continua fonte di sorprese.

Ero preoccupata per questa lezione di scrittura, che comprendeva anche un esercizio pratico. Temevo che i miei studenti si sarebbero chiusi in dubbioso silenzio, mentre io proponevo di abbozzare una struttura in tre atti a partire da tre conflitti scelti a caso. Lo temevo molto.

Invece, quando ho sciorinato la mia lista di conflitti:

* Uomo/Natura

* Sacrificio per Passione

* Trasformazione,

e ho cominciato a suggerire che cercassimo possibili connessioni fra i tre, la classe si è… non c’è altra parola: si è accesa. Domande, suggerimenti e proposte sono fioccati, tutti si sono lasciati prendere dal gioco, tutti hanno partecipato, persino la signora che, in gran segreto, mi aveva chiesto di non essere sollecitata a partecipare perché non se la sentiva.

In venti minuti abbiamo costruito una trama in tre atti che, se non era un delirio di originalità, aveva però tutto quello che serviva: personaggi, struttura, conflitto, punti di svolta, azione ascendente e discendente, nonché due finali alternativi. Poi ci abbiamo giocato e l’abbiamo ambientata in cinque o sei posti e periodi storici diversi, e quando proprio non ci è rimasto più nulla da fare (e avevamo ampiamente sforato l’ora di lezione), una signora ha alzato la mano e ha chiesto “Possiamo farlo ancora? Se ci dà altri tre conflitti diversi…”

Ok, a me insegnare non sempre piace. Ma quando vedo che gli allievi trovano gusto in quello che stanno facendo, potrei quasi convincermi che è un’occupazione meravigliosa.

E poi, a titolo di ciliegia sulla torta: “Da quando seguo il suo corso, leggo in modo diverso, con una consapevolezza nuova. Non credo che scriverò mai, ma sto imparando a leggere di nuovo.”

L’ho già detto che adoro l’Università della III Età?

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