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Ago 25, 2017 - teatro    Commenti disabilitati su Volevo un Gatto Nero…

Volevo un Gatto Nero…

Rehearsals2No, non è vero: volevo un workshop.

Per carità, i gatti neri mi piacciono molto, ne ho avuto uno da bambina – una bella creatura ladra e molto snob – e non avrei obiezioni ad averne un altro, ma quel che volevo davvero era fare workshop in teatro. Lavorare su un testo con la compagnia, di stesura in stesura, modificando, affinando e adattando via via alla prova del palco, imparando dagli errori…

In un certo senso è andata così con Di Uomini e Poeti, se vogliamo – ma con dei limiti, su un arco di cinque o sei anni e, nel complesso, in una maniera un pochino solitaria: ho preso appunti durante il primo giro di repliche, ho riscritto dopo un sacco di tempo, e la versione nuova è andata in scena così come l’avevo riscritta, more or less.

Quel che volevo era qualcosa di più articolato, di più dinamico e, per usare una parola che trovo brutta come il peccato ma servirà alla bisogna, di più interattivo.

Ebbene, sta succedendo.

Il testo, in realtà, non è precisamente mio… a ben vedere non lo è su diversi livelli, perché si tratta di modifiche consistenti a un adattamento altrui di un romanzo di qualcun altro ancora – passando per una sceneggiatura cinematografica. Il che, se volete, è un nonnulla convoluto, ma tant’è. Non vi dico ancora di che si tratta: lo scoprirete presto e, spero, lo verrete a vedere a teatro. Intanto, però, c’è questo workshop continuo, in cui regista e attori provano, e io siedo in platea armata di taccuino e prendo appunti, e poi si discute e si modifica, e si riprova, e… e… e…

Ci lavoriamo dal principio dell’estate e, ben dopo la metà di agosto, il testo non è ancora definitivo. Be’, forse credevamo che lo fosse, ma ancora ieri sera, provando il secondo atto, ci siamo accorti che una successione di scene e passaggi temporali non scorreva bene. Sulla carta sì, ma una volta sul palco diventava macchinosa.

RhearsalWriting“Mi tirate il collo, se modifico queste tre scene?” ho chiesto agli attori. E gli attori hanno promesso di non tirarmi il collo, così sono tornata a casa e ho impiegato parte della notte a spostare una scena e combinarne due in una, e adesso l’inizio del secondo atto funziona molto meglio.

O almeno si spera, perché lo si vedrà davvero solo alla prossima prova.

E tutto ciò è bello e infinitamente istruttivo, ed è un po’ una disperazione dal punto di vista dei copioni da stampare, ed è tutto ancora molto fluido e in progress, e forse non si potrebbe fare davvero con una compagnia meno esperta – ma è meraviglioso. E per di più, succede tutto mentre lo spettacolo prende forma sotto una quantità di altri aspetti, mentre il regista modella i personaggi e modifica il progetto delle scene a seconda delle esigenze che emergono…

È complesso, è stimolante, è vivo.

E un giorno o l’altro spero di poterlo fare con un testo tutto mio, il workshop. Questa scrittura di scena. Questo rispondere e rimbalzare continuo di idee tra il quaderno e la scena…

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Lug 24, 2017 - angurie    Commenti disabilitati su Di Nuovo a Casa (ma non come se fossi stata via…)

Di Nuovo a Casa (ma non come se fossi stata via…)

Il sipario si apre su un lunedì mattina di tardo luglio – calduccio ma con promessa di nuvole a venire. Imaginary Door

Upstage left si apre una porticina immaginaria e ne entra la Clarina affannatissima, con una locandina arrotolata, un modellino di scenografia e una pila di tragedie greche sottobraccio.

la Clarina (si guarda attorno dubbiosamente) – Ah, finalmente!

Senza Errori di Stumpa – Ehi!

C. (sobbalza e si morde la lingua, lasciando tragedie e tutto quanto in un mucchio disordinato) – Yikes!

SEdS – Ehi, ma dov’eri finita?

C. – Ma si fa così? Non sei contento di rivedermi?

SEdS – Si può sapere dov’eri?

C. – Non–

SEdS – È una settimana che ti cerco!Che ti aspetto! Che ti chiamo – come Cathy nella notte ventosa!

C. – Non ho potuto–

SEdS – Mi hai piantato qui con tutti quei romanzi di cappa e spada. Gente armata e pericolosa e mica sempre tanto in quadro!

C. – Non ho potuto accedere, Blogo.

SEdS – I Lettori venivano, e chiedevano di te, e io non… eh? Che vuol dire che non potevi accedere? E avvertire? Telefonare? Un sms, una lettera, un telegramma, un piccione viaggiatore…!

C. – In che lingua vuoi che ti traduca “Non Potevo Accedere”?  (S’inginocchia a raccogliere le robe franate)

SEdS – Ehi!

FallNuovo sussulto della Clarina, nuovo crollo tragico…

C. – Ma cosa?!

SEdS – Non sono stato io!

C. Sì, invece. Hai strillato, io mi sono morsa la lingua e–

SEdS – Non quello. Com’è che non potevi accedere? Non sono stato io. Non ho fatto nulla. Non ti ho chiusa fuori. Non…

C. – Rilassati, Blogo. Non è colpa tua, stavolta. È solo che Tiglath Pileser è andato un pochino in deliquio, e il San Tecnico era al mare.

SEdS – Tiglath Pileser il computer nuovo?

C. – Conosciamo molta altra gente così nomata?

SEdS – Tiglath Pileser il Computer Nuovo ce l’hai da quanto? Un mese? È prestino per cominciare con i deliqui…

C. – Er… Potrebbe non essere stata tutta colpa sua.

SEdS – Che cosa hai combinato?

C. – Credevo di far bene…

SEdS – …Disse Romeo, dopo aver fatto infilzare Mercuzio a morte. Trag

C. – Er… yes, well. (Cambiando platealmente discorso) E non mi chiedi nemmeno che cosa faccio con tutta questa roba?

SEdS – Ah sì: che cosa fai con tutta questa roba?

C. – Non te lo dico! Non ancora. Cose a venire. Cose belle. Vedrai, vedrai, vedrete – tu e i Lettori…

Se avesse polmoni e bulbi oculari, SEdS sospirerebbe e leverebbe gli occhi al cielo. Ah well, la Clarina è tornata. Stiamo a vedere che succede, volete?

Sipario.

 

Feb 10, 2017 - teatro    Commenti disabilitati su Aspirazioncelle

Aspirazioncelle

Questa cosa bella qui sotto viene da una produzione inglese della Tragedia Spagnola di Thomas Kyd:

SpanishTragedy

La posa, le maschere, la luce a piombo che ritaglia i personaggi nel buio, il colore della luce in questione, l’atmosfera densa… che devo dire? Mi piace da matti – e ho aspirazioni in proposito. Aspirazioni che, se piace allo Spirito del Bardo, potrebbero trovare casa ragionevolmente presto.

E visto che stiamo parlando di ispirazioni, c’è quest’altra faccenda qui: JigGlobe

Oppure così:

Jig

Ed entrambi sono Shakespeare al Globe – ma il punto si è che, prima o poi, avrò, avrò e avrò una giga alla fine di qualcosa. Sembro tanto Grisù il Draghetto quando scrivo queste cose, vero? Epperò stiamo a vedere. Ecco.

E buon finesettimana.

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Gen 27, 2017 - teatro    Commenti disabilitati su Mai Innervosire la Saggia Atena

Mai Innervosire la Saggia Atena

odisseaBC’era una volta una piccola e allegra compagnia, che aveva in repertorio una riduzioncella teatrale dell’Odissea, e ogni tanto la portava attorno.

Quella volta che c’era, parve bello alla piccola e allegra compagnia di portare l’Odissea in un Villaggio Lontano Lontano, in occasione di un mercato romano rievocato piuttosto in grande. Peccato che, proprio quel giorno lì, la Regista avesse altri e improrogabili impegni, e decidesse di affidare la direzione della faccenda al suo Aiuto – namely la Clarina che, nell’occasione, doveva anche coprire un’assenza, recitando la parte della Saggia Atena.

Immaginatevi dunque la Piccola&Allegra Compagnia (henceforward PAC), che sbarca nel Villaggio Lontano Lontano, nel bel mezzo del mercato romano – e, per prima cosa, scopre di dover recitare nel bel mezzo di una caotica piazza, senz’altro palcoscenico che un quadrato di moquette. E il quadrato di moquette, di un rosso che interferisce con la navigazione aerea, è stretto tra la strada e una rumorosissima fontana e cosparso di orribili (e leggerissime) colonne di polistirolo dipinto.

Un po’ meno allegra di prima, la PAC studia ingressi e uscite, e si rifugia in un salone municipale. L’intento della Clarina è quello di fare una prova – magari anche due – per a) fissare i nuovi ingressi e uscite; b) far sì che la persona alla consolle si faccia un’idea. Una prova, magari anche due… Lo  sentite questo rumore? È l’eco del Fato Beffardo che sghignazza. E infatti, non appena prova a schierare le sue truppe in fila per tre, la Clarina scopre che mancano tre persone all’appello, di cui una centralissima e una inespertissima – e spaventosamente bisognosa di prove… Una rapida indagine telefonica rivela due dispersi nel traffico e un disperso tout court.

La Clarina ingoia la furia montante e prova a provare con la gente che ha, tra interruzioni continue e strilli all’indirizzo delle ancelle di Penelope, cui non par di dover fare altro che truccarsi come cubiste… In mezzo a tutto ciò, arriva Odisseo.Od3

“Sai,” annuncia, “abbiamo trovato una rastrelliera – e siccome abbiamo con noi, per puro, purissimo caso, le lance e i giavellotti del Somnium Hannibalis, abbiamo pensato di metterli in scena…”

“No,” taglia corto la Clarina. “Nemmeno per sogno. Davvero: non fatelo, perché…”

E in realtà c’è un’ottima ragione per non farlo, ma la spiegazione viene interrotta da richieste di chiarimenti e comunicazioni urgenti. Odisseo si allontana, la Clarina recupera per l’ennesima volta le ancelle, si cerca di riprendere una parvenza di prova.

Ed ecco arrivare il fido porcaro Eumeo, partner in crime abituale di Odisseo. “Sai che abbiamo una rastrelliera per le lance?” domanda con aria innocente. “Io dico che in scena farebbero un gran bel vedere…”

“No!” sbotta la Clarina. “Non potete mettere le dannate lance in scena, perché altrimenti…”

OdAtenaAnasEd è qui che le pecore smarrite arrivano, e bisogna ricominciare tutto daccapo, e non si fa in tempo a fare nemmeno un quinto di prova, e la Clarina si cambia al volo nel suo peplo arancione che pare una divisa dell’ANAS, ed è ora di correre in piazza. A questo punto la Clarina è già un po’ più che idrofoba, tanto che nessuno si azzarda a dirle che ha un occhio truccato per le grandi distanze e uno… no. Tuttavia Odisseo&Eumeo si azzardano ad avvicinarsi per un attacco a tenaglia.

“Perché non vuoi le lance in scena, Clarina? Un po’ di colore antico…”

“Sempre meglio di quelle colonne del cavolino sauté che ci hanno appiccicato…”

È un bene che gli sguardi non possano incenerire sul serio, perché altrimenti O&E sarebbero ridotti a un toast.

“Nnnnnno!” ringhia la Clarina. “Vi ho detto di no. Altrimenti quando…”

E di nuovo il Fato Beffardo interrompe nella persona del tecnico in prestito, che ha ogni genere di lamentele dell’ultim’ora, e la Clarina galoppa a fingere di dargli retta.

“Niente lance in scena!” ordina da sopra la spalla. Odisseo ed Eumeo fanno cenno di sì – e la Clarina (quale candore!) si illude che abbiano recepito e intendano agire di conseguenza.

Poi si comincia, ed è il disastro, perché i microfoni non funzionano se non per raccogliere ogni gorgoglio della dannata fontana, e nessuno ha pensato ad avvertire che alle quattro le campane suonano per cinque minuti solidi, e quindi occorre surgelarsi in posa mentre il vento abbatte le colonne di polistirolo una dopo l’altra… E comunque tutti e ciascuno sembrano avere obliato il concetto di entrata e di uscita, e Telemaco è ridotto a mimo da un malfunzionamento, e le ancelle vagano truccatissime e vaghe per la scena, e… e… e…

Homer, The Odyssey. Ulysses (Odysseus) killing the Suitors of his wife Penelope on the island of Ithaca Homer, blind Greek poet, c. 800 - 600 BCE, Trojan War, epic; illustration after Flaxman (Photo by Culture Club/Getty Images)

E poi giunge il momento in cui Odisseo si rivela con il suo terribile arco, e i Proci cominciano ad agitarsi in cerca delle armi, le armi, le armi per difendersi…

Ed è allora che l’affannata e furibonda Clarina le vede. Lì, in scena, in piena vista: sei lance, una spada e un giavellotto appoggiati alla maledetta rastrelliera.

L’hanno fatto, i delinquenti.

“Adesso,” pensa la Clarina, sull’orlo dell’autocombustione, “Adesso balzo in scena in tutta la mia gloria arancione, e punto un dito verso la panoplia. Ecco le armi, o Proci! grido. Armatevi e macellate Odisseo e il suo fido porcaro, che hanno osato disobbedire a me, la Saggia Atena! Adesso lo faccio – tanto, peggio di così…”

E ha già i muscoli tesi per balzare in scena… Ma poi il pensiero della Regista assente si affaccia prepotente, per non parlare del fatto che i Proci potrebbero gelarsi a guardarla basiti anziché agire. Il momento è perso e Odisseo stermina i Proci, beatamente ignaro di quanto sia stato sull’orlo di un finale alternativo. Il Destino Beffardo si rotola per terra in una crisi di cachinni.

E, se piace agli dei, giunge la fine – e gli applausi miserelli sono, francamente, più di quel che la PAC abbia meritato anyway.

Od2“È stato bello avervi qui,” mormora l’organizzatore, mentre la PAC raccoglie armi e bagagli (soprattutto armi) e si avvia verso casa  mogia e un po’ avvilita. Vale la pena di notare che tutti girano un po’ in punta di piedi attorno alla Clarina dalle narici frementi e dal singolo occhio dipinto…

E qui finisce la storia – ma ancora oggi la Clarina si domanda: che sarebbe accaduto se avesse ceduto all’impulso ardente e subitaneo e avesse dato all’Odissea un finale rivisitato? Dite la verità, non sarebbe stato epicamente pittoresco?

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Gen 2, 2017 - tradizioni    Commenti disabilitati su Gennaio un’Altra Volta…

Gennaio un’Altra Volta…

janPerché da queste parti è gennaio, sì… Anche da voi?

Gennaio e lunedì mattina per di più. Il primo lunedì mattina dell’annuale Lunedì Cosmico.

Ugh.

Eppure… Eppure, quest’anno i January Blues mi sembrano un pochino meno blu di altri anni. Che, alla mia tenera età, stia diventando saggia?

Sarebbe bello, ma non credo – o almeno, non particolarmente. In realtà è solo che, never mind che cosa dice il calendario, non è tecnicamente proprio gennaio fino a dopo l’Epifania. L’Epifania è una specie di ultimo bastione di dicembre, e… be’, ne riparliamo dopo il 5 sera.* jan17

Ma mi albeggia un mente un pensiero: intanto che va così, sarà bene approfittarno per le Buone Intenzioni, non credete? Meglio adesso che nella profonda bigitudine di Gennaio Propriamente Detto.

E allora, cominciamo dall’anno passato.

  • Volevo finire il romanzo in tempo per Oxford e il convegno della HNS, e l’ho fatto. Che poi Oxford abbia mostrato che era un po’ meno finito di quanto credessi, è tutta un’altra faccenda – e quindi questa la considero un’intenzione portata a compimento.
  • Volevo darmi da fare in fatto di teatro – e anche questa è andata bene, direi – considerando il Progetto F a buon punto, Shakespeare in Words scritto, prodotto e rappresentato, la riscrittura di Di Uomini e Poeti (tornato a sua volta in scena) e un certo adattamento/traduzione di cui sentirete parlare presto.  Me lo dico da sola: not bad at all.
  • Volevo fare freewriting e meditazione. Ecco, su questo fronte… er. Diciamo subito che, per quanto riguarda la meditazione, è stato un disastro completo. Col freewriting è andata leggermente meglio – ma non moltissimo. Che di entrambe le pratiche abbia sperimentato l’efficacia più e più volte, non è bastato a vincere la mia pigrizia, alas. Ad ogni modo…

resolDue su tre. Diciamo che poteva andare peggio? E che di fare assai meglio non dispero? E quindi, Diciassette, a noi due:

  • Intendo condurre in porto il romanzo. Un porto dell’Isoletta, si capisce. Completarlo sul serio, trovarmi un editor inglese e poi magari un agente o un editore… Stiamo a vedere.
  • E, ça va sans dire, intendo continuare con il teatro. Il Progetto F, e almeno altri due plays già in fase di progettazione.
  • Intendo anche uscire un pochino dai binari. Almeno una volta. Almeno qualcosa. Non che voglia abbandonare il mio genere – dininguardi! – ma, una volta ogni tanto, scrivere un po’ in una direzione nuova. Fuori dalla mia zona di sicurezza, you know. Un tempo avevo un mentore che mi spingeva continuamente a fare queste cose… Adesso non più – ma nondimeno.

E tre. Poi ho un paio di intenzioni che non hanno nulla a che fare con la scrittura – come fare più movimento e riordinare sul serio la casa e intraprendere il mio apprendistato in fatto di illuminotecnica… in teoria mi piacerebbe molto anche imparare un po’ di giardinaggio, ma siamo realistici, volete?

Ecco, io sono più che a posto per un anno piuttosto fitto. E voi, o Lettori? Che intenzioni avete per questo Diciassette tutto bianco, aperto davanti a noi come un quaderno nuovo?

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* Il 6 stesso non vale. Il 6 è quando il bastione cede alle truppe di gennaio e… er. No, d’accordo. Mi fermo. Però, a ben pensarci… è un’idea che vedo davanti a me?

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Nov 18, 2016 - il Palcoscenico di Carta, Shakespeare Year    Commenti disabilitati su Cose Pratiche

Cose Pratiche

Immaginatevi la Clarina che saltella attorno, grillon-grillerelloni, preparando l’ultima conferenza di Malvagi, Amici, Amanti e il primo incontro del Palcoscenico di Carta…*

Perché sì, per una combinazione di caso e necessità, accade tutto insieme – solo non alla stessa ora. Per fortuna. Ad ogni modo, martedì 22 sarà uno di quei giorni campali, ecco.

Detto ciò, parliamo di cose pratiche. State esitando se leggere con noi oppure no? Vi piacerebbe ma non siete sicuri, e poi ci sarà ancora posto…? Ebbene, c’è ancora qualche parte scoperta – una consistente e un paio piccoline. Lanciatevi – contattandoci nel modo che è spiegato qui. Vi assegneremo una parte e vi invieremo il testo.

Testo che potete scaricare al link qui sopra, anche se preferite ascoltare e basta. E sapete una cosa? Pene d’Amor Perdute non capita tutti i giorni: si rappresenta pochino, e men che meno in Italia. È un’occasione per far conoscenza con uno Shakespeare meno noto… un buon modo per concludere l’Anno Shakespeariano, non credete? E per di più, è una commedia deliziosa, piena di scintillanti schermaglie fra non meno di quattro coppie d’innamorati, per non parlare di cavalieri spagnoli, paggi impertinenti, eruditi di campagna, rustici, connestabili, contadinelle…

Unitevi a noi: vi aspettiamo nella nostra nuova bellissima sede, la Libreria Ibs+Libraccio, al n° 50 di Via Verdi, martedì 22 novembre alle ore 18.

LocTeatrino

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* Probabilmente non è del tutto un caso che, come raccontavo ieri sera a Gabri la Regista, i miei sogni notturni siano, per due terzi almeno, di argomento teatrale. Su cosa esattamente questo dica di me… non indaghiamo, volete?

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Ott 26, 2016 - teatro    Commenti disabilitati su Campogalliani70: Alle Luci con Giorgio Codognola

Campogalliani70: Alle Luci con Giorgio Codognola

Rieccoci qui con Campogalliani70. Abbiamo parlato con presidenti, registi, attori… Ebbene, questa settimana facciamo due passi dietro le quinte, accompagnati dallo storico tecnico delle luci (e non solo) Giorgio Codognola.

Lighting-Grid- Allora, Giorgio, prima curiosità: sei arrivato al teatro attraverso le luci o alle luci attraverso il teatro?

Io sono di origini chimiche. Ho lavorato 35 anni nella chimica – materie plastiche – però ho sempre avuto una passione per l’elettronica, e da ragazzotto  le mance di mio nonno andavano in Scuola Radio Elettra, e lì ho imparato i rudimenti di molte cose. E un giorno Signoretti, che lavorava in Comune con mia moglie le ha chiesto se non potevo andare a vedere di far qualcosa con la Campogalliani… Allora sono venuto qui. Aldo mi ha presentato il mio predecessore, Alberto Camurri, e con lui ho cominciato piano piano a fare l’impianto del teatro. L’abbiamo proprio costruito noi, fisicamente. Allora il teatrino non era ancora il Teatrino. Dopo un anno che ero qui hanno cominciato gli scavi per fare la platea a gradinata che vedi adesso. Poi ho cominciato a occuparmi delle colonne sonore con delle apparecchiature che all’epoca erano abbastanza buone, ma rispetto a oggi mi sembrano antidiluviane… Registratori con delle bobine da trenta centimetri, e fari che si dovevano smontare ogni volta che andavamo fuori. Ne avevamo talmente poche… Poi un po’ per volta, negli anni – e sempre seguendo tutte le norme di sicurezza – abbiamo costruito tutto quanto. Mi piace molto preparare gli impianti da un punto di vista fisico e pratico, risolvere problemi, fare le cose. Io monto le spine e i cavi, per dire… Non c’è filo, non c’è tenda che non sia passata per le mie mani in questi anni.
Quindi sono le luci e l’aspetto tecnico che mi hanno portato al teatro, e non viceversa. A me piace molto costruire, risolvere problemi, fare le cose. Poi, sotto la direzione di Signoretti, che era veramente un mago, ho imparato a usare le luci. Non che mi  abbia mai insegnato in senso stretto, ma io stavo sulla scala e lui giù, e mi dava indicazioni, “Destra, sinistra, alto, basso, stringi un po’, allarga un po’…” E così ho acquisito la pratica del disegno luci. Poi la parte teorica me la sono costruita un po’ per conto mio, leggendo cose come il Trattato di Scenotecnica – che è ancora basilare. C’è materiale sulle tecnologie nuove, naturalmente – ma la teoria generale è ancora quella, e a fare testo sono ancora le vecchie apparecchiature con i fari come abbiamo qui, con le gelatine, le lampade…

 Con i quali, in questi anni, hai illuminato davvero tanti spettacoli. Qual è il tuo preferito?Re Lear

Ce ne sono tantissimi. Tutti quelli dove c’è movimento, cose “strane” da fare. Re Lear, per esempio, che aveva degli effetti di luci e colori, delle situazioni davvero belle e notevoli… Ma a me di solito piacciono tutti quelli che faccio, anche perché tutto sommato io devo solo interpretare il desiderio del regista. Ti chiedono cose come “una luce lunare, fredda” – e all’inizio ti affanni a cercare un effetto lunare e freddo, chiedendoti se sia proprio quello che vogliono… Poi si impara a intendersi su quello che si vuole: tonalità, effetti… Poi c’è il fatto che questo è un teatrino piccolo, con i soffitti bassi, e abbiamo montato un’infinità di fari, cosicché riusciamo a ottenere effetti che non sarebbero possibili con un palcoscenico più alto e più grande. Al contrario, ci sono cose che riescono meglio con un impianto più alto – ad esempio concentrare la luce senza che si spanda… Una volta abbiamo fatto una commedia la cui scena aveva delle vetrate. E quando eravamo quasi pronti ci siamo accorti che dalla platea si vedevano i fari attraverso le vetrate… Il che non va bene, perché distrugge l’illusione scenica, che invece va mantenuta a tutti i costi. Abbiamo risolto chiudendo la parte alta delle vetrate, e tutto è andato bene.
Una soddisfazione diversa e particolare è stato il Sogno di una Notte di Mezza Estate fatto con delle attrezzature davvero primitive. L’abbiamo fatto qui e in giro. Una volta a Vicenza, in un giardino privato, con tre lampade per terra. L’importante è sapere dove posizionare quello che hai. Con quelle tre lampade, sfruttando i cespugli e le ombre del giardino, abbiamo fatto una cosa meravigliosa.
E chiaro che poi ci sono cose come le dialettali, dove accendi e spegni e basta, e quelle non sono di gran soddisfazione – ma anche in quelle bisogna essere attenti a come si dà la luce. Troppo poco, troppo, troppo in fretta… È un attimo rovinare l’atmosfera del momento e fare disastri.

E parlando di disastri, quali sono stati i tuoi peggiori incubi scenotecnici?

lightboardL’incubo peggiore è stato durante una trasferta a Bari. Noi ci siamo portati tutto, caricando sulla corriera le luci che là non c’erano. Arriviamo a Bari, montiamo quello che dobbiamo – e io mi accorgo di non avere il regolatore delle luci. La centralina dei comandi era rimasta a casa. Era mezza mattina, e la sera dovevamo recitare… Per il resto della giornata ho girato mezza Puglia con uno del posto, racimolando unità di potenza qui e là. Abbiamo messo insieme qualcosa e abbiamo cominciato – ma mano a mano che procedevamo con la commedia, i canali saltavano uno dopo l’altro. Sono arrivato alla fine con pochissima luce – quasi niente. Che stress! La mia esperienza più tragica. Se lo ricordano ancora tutti… Ma da tutto si impara. Per esempio, abbiamo imparato che, quando si arriva in un posto, prima di tutto bisogna vedere dove sono gli interruttori. Così anche se saltano le luci e bisogna andare fuori dal teatro nel buio, sappiamo dove andare. E succede, sai? Sono avventure.

E di altre avventure parleremo venerdì, nella seconda parte dell’intervista a Giorgio Codognola.

Ott 21, 2016 - teatro    Commenti disabilitati su Campogalliani70 – Adolfo Vaini (II parte)

Campogalliani70 – Adolfo Vaini (II parte)

Rieccoci qui con Campogalliani70. E riprendiamo la nostra chiacchierata con Adolfo Vaini che, quando ci siamo interrotti, ci stava dicendo di ritenersi soddisfatto della sua carriera…

Carriera  impegnativa, perché voi sarete anche una compagnia amatoriale, ma lavorate a livelli da professionisti – come risultati e come impegno. Come si organizza la vita quotidiana attorno a questo livello di impegno?

Untitled 16Ho la fortuna di essere libero professionista. Io non lavoro otto ore in miniera, e quindi anche se lavoro mezza giornata, il resto è dedicato al teatro, allo studio delle parti e poi alle prove qui, la sera. Le due cose non s’intralciano. Quando studiavo, al Liceo, e andavamo in trasferta e tornavamo alle due di notte, poi la mattina a scuola dormivo sui banchi, letteralmente – e non potevo dire a mio padre: sto a casa perché sono andato a recitare. Mi uccideva. Ma non ho mai pensato di smettere perché facevo fatica a scuola. Ho sospeso per un anno, quando ho finito la quarta ginnasio con un quattro e due cinque in pagella,  e mio padre mi ha detto: quest’anno tu non reciti. Ho saltato quell’anno – soffrendo moltissimo – però poi ho ripreso ad andare bene a scuola, e sono tornato a recitare.  E a dire il vero io avrei voluto fare il professionista, però i miei non volevano. Ho di dire che potevo fare Scienze politiche – mezza giornata di scuola e metà di università – ma ero osteggiato in modo radicale…. e d’altra parte ai miei tempi il pezzo di carta era importantissimo. Allora ho scelto Medicina e ho abbandonato l’idea. E dire che gli anni Settanta sarebbero stati il periodo d’oro, se avevi qualità, sia in teatro che nel doppiaggio. Adesso sarei non dico un nome, ma uno di quelli consolidati, perché era un momento favorevolissimo. Adesso c’è la pletora: tutti vogliono fare i professionisti, basta che siano appena bravini, ed è un disastro. Troppi non hanno le qualità. Qui da noi, tra le centinaia di allievi che abbiamo avuto, conto due persone a cui avrei consigliato di provarci. Il fatto è che essere bravi non basta, e pochi hanno le qualità e il carattere. Ci vuole un sacco di pelo sullo stomaco e un sacco di determinazione, perché se si perde un ingaggio non si mangia per due mesi. Quando mi chiedono consiglio, mi viene sempre da dire di non provare la via del professionismo. Poi non lo faccio, perché al loro posto io ci proverei – ma vanno incontro a grandi delusioni. C’è posto per pochi. A parte tutto il resto, mancano i fondi e si fanno produzioni piccole e con poche persone. E poi c’è da dire che adesso dalle scuole escono tutti un po’ uguali. Sento gli attori, e sembrano tutti fatti con lo stampino…

Ah, bravissimo: gli allievi. Parliamo della scuola di teatro, di cui tu sei presidente. Com’è strutturata? Che cosa ha di speciale?Untitled 15

Sì, sono il presidente – quello che taglia i nastri e mangia le torte… Non ho diretta esperienza di altre scuole, a parte uno stage di una settimana che Diego [Fusari] e io abbiamo fatto in Toscana. Noi ricalchiamo il curriculum delle scuole italiane classiche – come il Piccolo di Milano o lo Stabile di Genova. Facciamo teatro impostato sulla parola: recitazione, mimica, dizione, respirazione… le cose classiche – a differenza di altre scuole che si concentrano di più sulla gestualità e sull’improvvisazione. Ecco, il famoso corso in Toscana era un lavoro di ricerca e improvvisazione su un Riccardo III completamente stravolto. È servito ad arricchirci, è stato un’esperienza nuova – ma noi facciamo altro. Come all’Accademia, solo che invece di otto ore al giorno, noi ne facciamo due alla settimana. Mentre è sempre stato sottinteso che i migliori sarebbero stati inseriti nella compagnia, adesso è un principio base della scuola: chi ha le qualità entra. E non è solo questione di recitazione: abbiamo introdotto qualcosa che si fa di rado: l’insegnamento degli aspetti tecnici. Fonica, luci, costumi… Ed è una cosa utile per dilettanti e professionisti. Conosco un professionista che non solo recita, ma ha imparato a fare l’addetto alle luci e alla fonica – e di conseguenza lavora sempre, anche di questi tempi in cui c’è lavoro per pochi. E poi non tutti possono essere prim’attori. Chi è scarsino può dedicarsi anche ad altre cose, e alcuni si sono appassionati al lavoro dietro le quinte e continuano a frequentare facendo i tecnici. Un suggeritore, qualche fonico… e di questo siamo molto contenti. Poi è chiaro che, per entrare nella compagnia, serve la capacità d’impegnarsi quanto noi. Quelli che vengono ogni tanto, che non hanno tempo, che devono andare al mare… tanti saluti! E ti dico una cosa: la maggior parte di quelli che rinunciano a una parte lo fanno perché non sono disposti a impegnarsi, oppure per una certa presunzione. Non voglio dire che è una cosa di oggigiorno – perché poi sembro vecchio – ma vogliono subito delle parti importanti. E invece la gavetta si deve fare. Si comincia dalla particina e poi, se si merita, si va su. Per carità, il teatro è anche così. Chi dice che recita per  fare cultura… bah. Sì, c’è anche quello, ma si va sul palco per narcisismo e vanità. Io, per lo meno, sono fatto così. Però serve anche l’umiltà di imparare – però l’umiltà non è sempre facile.

Secondo te le cose sono diverse nel mondo anglosassone?

Untitled 17Ah, sai – là fanno sul serio. Là è una religione, il teatro. Ci mettono dentro il meglio di tutto: soldi, impegno… – e vanno avanti quelli davvero bravi. Forse è un segno di una civiltà diversa, e il risultato è che anche nelle parti piccole sono tutti bravissimi. È raro vedere un cane che recita, là. Per me il teatro londinese è il massimo. Il mio sogno sarebbe dire “Il pranzo è servito” su un palcoscenico a Londra. Mi accontenterei di una battuta così, qualcosa che possa imparare in un Inglese decente.  Sarebbe la gioia più grande della mia vita.

Che dire? Ti auguro che possa succedere.

Grazie, cara. E adesso non mi chiedi il mio ricordo preferito della mia vita teatrale?

Ma sì che te lo chiedo: qual è il tuo ricordo preferito…?

Per essere sinceri, non è una parte o un momento sul palcoscenico. Il mio ricordo più bello è diagbynight una sera tardi, ad Agrigento. L’indomani recitavamo davanti alla casa di Pirandello, in Contrada Caos, e c’era un caldo bestiale. Di montare le scene di giorno non se ne parlava nemmeno. Così ci siamo andati dopo cena – e sai com’è la Sicilia… Diciamo che avevamo ben mangiato e ben bevuto, e nessuno aveva voglia di tornare in albergo. Dev’essere stata l’unica volta in vita mia in cui ho aiutato a montare le scene… Ero piuttosto allegro, e mi ricordo che giravo per il palco con la livella, controllando di qua e di là e chiedendo “È a bolla?” a nessuno in particolare – in questa notte siciliana calda e bellissima, nei posti di Pirandello, con l’idea di recitare lì il giorno dopo… Ecco, quello è davvero un ricordo meraviglioso.

E su questa immagine dell’attore ebbro d’arte, dello spirito di Pirandello e di buon vino siculo che si aggira nella notte brandendo una livella, ci congediamo per questa settimana. Campogalliani70 ritorna mercoledì prossimo.

 

Ott 19, 2016 - teatro    Commenti disabilitati su Campogalliani70: Adolfo Vaini

Campogalliani70: Adolfo Vaini

Rieccoci qui con i membri  dell’Accademia Campogalliani. Dopo la presidente e la regista nonché direttore artistico, oggi è la volta di un attore. Andiamo a incominciar…

FofoAdolfo Vaini, cominciamo con la domanda di rito: che cosa ti ha portato al teatro in generale e alla Campogalliani in particolare?

Io ho cominciato a fare teatro a nove anni. Recita scolastica importantissima, che coinvolgeva tutte le scuole di Mantova, circa 400 allievi. Abbiamo fatto due o tre recite al Sociale, e si chiamava Le Diavolerie del Mago Zurlì. Io ero il mago Zurlì, e il maestro mi ha detto: tu quest’anno non studiare, perché devi imparare la parte – e già questo era un’investitura rispetto agli altri. Abbiamo debuttato, e alla prima battuta ho detto “scusate” e sono tornato indietro. Applauso clamoroso. E quello che mi ha colpito di più era che, mentre le comparse erano tutte nei cameroni, io che ero il protagonista avevo un camerino tutto mio, con le caramelle. E poi gli applausi… ah! Che cosa mi ha portato a teatro? La vanità. Poi, quando ho avuto quattordici anni, in parrocchia si sono ricordati di me e mi hanno chiamato in compagnia a fare una parte in una commedia tipica dei repertori parrocchiali: Ho Ucciso Mio Figlio, di tale Pazzaglia, su una vocazione mancata, osteggiata dalla famiglia… Una roba di una drammaticità spaventosa. Cast tutto maschile, perché le donne non erano ammesse. E quello è stato il mio debutto “serio”. Il guaio è che non avevamo un regista vero e proprio, e  quindi non riuscivamo mai a combinare nulla, finché non è arrivato Bissoni della Campogalliani. Poi ho fatto teatro dialettale fino a vent’anni, ma mi andava stretto, perché volevo recitare in lingua. E già quelli della Campogalliani erano venuti a vederci e mi avevano notato, e io avevo chiesto di poter entrare. Prima, in realtà, sono andato al Teatro Minimo da Garilli, perché mi piaceva l’idea di questo teatro impegnato e moderno… Dopo tre mesi sono scappato via, perché erano di una serietà mortale, di una tristezza… sembrava sempre che ci fosse il morto in casa. E invece a me piaceva la compagnia, così dopo tre mesi sono  scappato dalle prove di un testo sui Nazisti, e sono entrato in Campogalliani. Avevo 21 anni – e il bello è che sono uscito dai Nuovi perché non volevo più fare dialettale, e la prima commedia che mi han fatto fare qui è stato Viva Al Cine – in dialetto. Però poi ho fatto gli Innamorati, e ho cominciato ad avere delle parti un po’ importanti. E questo è l’inizio.

Sei qui dal Settantuno – mezza vita. Ruolo preferito in tutto questo tempo?rs_0006_03

In assoluto, sia perché mi permette di dare sfogo alla mia mimica e alla mia voce, e anche filosoficamente come personaggio, Dolittle in Pigmalione. Sono innamorato di Dolittle. L’ho ripreso in mano per la rappresentazione al Sociale, e ho goduto nel ripassare. D’altra parte, sono così, io: nella vita godo con poco o con tanto – l’importante è che non abbia vincoli. Nemmeno il vincolo dei soldi: i soldi li spendo, ne godo, proprio come Dolittle. Mi ci riconosco e mi dà l’occasione di sfoggiare le mie qualità.

E il ruolo che vorresti tanto recitare?

No, mai avuto questo genere di pensieri. L’importante è avere un personaggio che mi obblighi a soffrire per entrarci. Quella è la grande soddisfazione. Se è facile, se è troppo nelle mio corde, non mi soddisfa. Dev’essere qualcosa che mi trasforma, arrivando a capire psicologicamente il personaggio. È qualcosa che mi ha insegnato Grazia (Bettini). Aldo (Signoretti) era un grande regista, ma dirigeva in tutt’altro modo, usava gli attori per cliché: attore comico, attore brillante, attore drammatico… E per tutta la vita si faceva quello, senza cambiare più. Grazia invece no. Presenta personaggi diversi e ci fa lavorare sulla psicologia di ciascuno. Non dice mai di fare l’una o l’altra intonazione, come le scimmie. Bisogna arrivarci, capirlo. Penso che la parte con cui Grazia mi ha cambiato come attore sia stata in Sei Donne Appassionate – praticamente Otto e Mezzo di Fellini. Avevo un personaggio radicalmente diverso da me, per cui ci ho messo molto, mi sono impegnato molto, e alla fine ce l’ho fatta ed è uscito un personaggio meraviglioso. Da quel momento ho cominciato ad amare Grazia non solo come donna e moglie, ma anche come regista, Ma, per rispondere, non ho desideri di fare personaggi particolari. Sono aperto alle scoperte. Spesso, davanti a un personaggio nuovo, mi capita di dirmi che non ho mai fatto niente del genere, che non sarò capace… Ma Grazia mi ha insegnato a superare questi ostacoli e raggiungere buoni risultati.

E invece qual è in personaggio che ti ha dato più difficoltà? Il più faticoso, oppure quello di cui sei meno soddisfatto…

Malvolio-Adolfo-Vaini-369x450Il tuo Virgilio è stato difficilissimo da un punto di vista mnemonico – ma forse… Ecco, nella Finta Ammalata dovevo fare il sordo e renderlo comico. Processo molto lungo e molto difficile, perché non è facile far ridere con la sordità. Difficile. Poi non mi ha dato gran soddisfazione il mio personaggio in Rebecca. Parte secondaria, senza spessore, senza niente… bah. E invece un personaggio che detesto è Malvolio. Non lo vedo, non riesco ad avere simpatia, non ho feeling. Lo faccio, sì – ma non me lo sento addosso. Poi all’inizio ho toppato qualche interpretazione, magari perché diretto male. La direzione è importante, perché raramente un attore riesce a essere anche regista di se stesso, e quindi forse do più la colpa a chi mi ha diretto male. Però posso dire di essere soddisfatto della mia carriera.

***

Il che è un’ottima cosa… anche se devo confessare che a me il Malvolio di Adolfo piace proprio tanto. Per oggi ci fermiamo, ma venerdì Adolfo torna, per parlare ancora un po’ di teatro.

Ott 17, 2016 - Shakespeare Year, teatro    Commenti disabilitati su Shakespeare in Words a Castellucchio

Shakespeare in Words a Castellucchio

Ammaccati e doloranti (io, almeno) – ma indomiti, torniamo con Shakespeare in Words al Teatro SOMS di Castellucchio:

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Verba volant? Sarà – ma nel volare, dice Will Shakespeare, sono capaci di cambiare i destini dei singoli, delle città, dei regni, del genere umano…

Venite a scoprirlo insieme a noi, venerdì 21 ottobre a Castellucchio. Vi aspettiamo!