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Ago 7, 2015 - il Palcoscenico di Carta    Commenti disabilitati su Romeo e Giulietta – di Carta

Romeo e Giulietta – di Carta

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Pensavate che il Palcoscenico di Carta fosse sparito nel nulla, volatilizzato senza lasciar traccia, dissolto nell’Oceano in gocce minutissime da non ritrovarsi mai più?

Ebbene, nulla di tutto ciò.

Il PdC è vivo e vitale: torna a settembre, e ci sono in vista novità e idee… Ne parleremo più avanti, ma  intanto ho pensato di mettere insieme qualcosetta: un minuscolo video perché possiate farvi un’idea di cosa, come, dove… Sequenze e immagini, ovviamente, sono tratte dalla lettura di Romeo e Giulietta nel maggio scorso – e se guardate bene, c’è anche un piccolo indizio sull’immediato futuro.

E se per caso di tutti i casi a questo punto vi pungesse vaghezza di unirvi a noi, state pronti: le porte del Palcoscenico di Carta stanno per riaprirsi.

Déjà Écrit

Cartoon-Of-An-Author-Woman-With-Writers-Block-Royalty-Free-Vector-ClipartA volte mi prende il deprimente dubbio di non avere una mente troppo originale…

A voi succede mai di avere un’idea che vi pare meravigliosa, di accarezzarla e strologarci su – o, peggio, di scriverla per due, trecento pagine – e poi scoprire che qualcun altro l’ha già scritta, prima e meglio di voi?

A me sì. E non una volta sola.

Ed è sempre un abisso di sconforto, mooligrubs, biscotti al cioccolato e self-recrimination – ma la prima volta… eh, la prima volta poco mancò che smettessi di scrivere. Del tutto. Drastico? Un nonnulla – ma state a sentire. Dovete sapere che ero all’Università quando ho scritto il mio primo romanzo.

Nulla che cercherò mai di pubblicare, solo ‘prentice work, però gli sono molto affezionata. La prima volta in cui si finisce un romanzo non si scorda mai, mi dicono, e di certo ricordo vividamente l’emozionante notte insonne in cui l’ho finito. Per la cronaca, parlava di un attore di teatro – per metà inglese e per metà polacco – nella Londra degli Anni Trenta, e finiva molto male.

Adesso so che era pieno di ingenuità, incongruenze e peccati stilistico narrativi in tutta la gamma dal veniale all’imperdonabile, ma allora ne andavo molto orgogliosa, ed ero sicura che prima o poi avrei trovato un editore per Ned…TheatreJulia

Poi venne il giorno in cui, a Pavia, comprai La Diva Julia (in originale Theatre), di W.S. Maugham. La faccenda risale a quasi vent’anni fa, ma ricordo bene che era un giorno caldissimo, e che dovevo aspettare degli amici al Bar Demetrio. Così mi sedetti, ordinai un succo di pompelmo, tolsi il mio acquisto dal sacchetto della libreria e mi misi a leggere.

Oh, guarda: attori di teatro.

Come Ned.

Toh, Julia è per metà staniera. Come Ned.

Ma pensa, Michael è di buona famiglia e conserva sempre qualche genere di riluttanza sociale nei confronti del teatro. Come Ned.

Michael studia teatro e si fa notare interpretando Mercuzio nello spettacolo dell’accademia. Come Ned.

Julia è artisticamente molto più disinibita di Michael, e si irrita un po’ per il distacco che lui mantiene sempre. Come la ragazza di Ned.

L’impresario di Julia e Michael è un marpione stempiato, spregiudicatissimo, dall’infallibile istinto teatrale e dagli occhi azzurri e fintamente innocenti. Come l’impresario di Ned…

Ecco, potrei continuare piuttosto a lungo, ma credo di avere reso l’idea. Immaginatevi Il senso di freddo mano a mano che procedevo nella lettura e scoprivo, pagina dopo pagina, che il mio romanzo era già stato scritto da qualcun altro – e infinitamente meglio! Quando arrivarono i miei amici misi via il libro e feci finta di nulla, ma vi assicuro che quella fu una lunga, lunga, lunga giornata, prima che potessi chiudermi da qualche parte a farmi un bel pianto. Non avrei scritto mai più. Era la prova che non avevo né talento né originalità. Si chiudeva una fase della mia vita. E via melodrammeggiando, ma insomma: avevo poco più di vent’anni e il colpo era stato duro.

TheatreWSMPoi si direbbe che abbia superato il trauma, visto che dopo tutto non ho smesso di scrivere, del che sono molto grata. Posso dire che c’è voluto un po’ prima che mi decidessi a ricominciare, però.

Giuro che non avevo mai nemmeno sentito parlare di Theatre, eppure, se leggessi Ned senza sapere di averlo scritto, lo giudicherei senz’altro un plagio molto acerbo*. E quindi? Davvero non so. Forse non ho una mente originalissimissima, o forse i tratti che accomunano Ned, Julia e Michael sono abbastanza ovvi quando si tratta di attori, o forse i libri, come le persone, hanno dei sosia, o forse in un’altra vita sono stata esposta a Maugham… Certo, le coincidenze sono davvero tante, e ancora adesso non posso rileggere Theatre (che, sia ben chiaro, adoro) senza una reazione a scelta tra incredulo divertimento, un brividino reminiscente o un pelo di acidità – a seconda delle giornate.

E tutto sommato, se fosse stato l’unico caso… Ma no: ogni tanto succede – e non è che mi riempia di gioia. A parte tutto il resto, con tutti quei biscotti al cioccolato, fa malissimo alla linea.

E all’autostima…

Per cui, non so – ma ripeto la domanda: a voi è mai capitato?

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* All else apart, questa faccenda mi ha resa molto, molto cauta nel parlare di plagio…

 

 

Mag 18, 2015 - teatro    Commenti disabilitati su E Luce Fu

E Luce Fu

MarivauxÈ stato più o meno un secolo fa – o forse non proprio, ma di sicuro in un altro secolo.

Ero una ragazzina di belle speranze con una passione per il teatro, solo che non capivo granché. Credevo di voler recitare… Anyway, una sera un’insegnante ci porta tutti a vedere un Marivaux. Il Gioco dell’Amore e del Caso, diretto da Massimo Castri.

Bellissimo.

Tutto: regia, interpretazioni, scene, costumi… e luci.

Dopo più di vent’anni, quel che ricordo con precisione è come le luci della prima scena, ricreino meravigliosamente una mattinata estiva su una terrazza di pietra. E il resto a seguire. Niente colori, niente effetti particolari. Un uso di toni di bianco e – presumo – giallo per mostrare l’avanzare del giorno. E luci di taglio… Ah, le luci di taglio.

Vorrei ricordare chi fosse l’autore del disegno luci. So che i tecnici erano gente del CTB, ma l’autore? All’epoca nemmeno avevo ben chiaro che ci fosse qualcuno a disegnare le luci. Come ho detto prima, non capivo granché. Ma davvero, vorrei tanto averci badato, perché quello è stato il mio imprinting in fatto di luci. Lighting-Grid-

Ho impiegato del tempo ad accorgermene. Lustri, really. C’è voluto che smaltissi l’infatuazione per la recitazione. Che scrivessi un romanzo il cui protagonista fa gavetta da tecnico delle luci. Che smettessi di occuparmi di teatro. Che riprendessi da autrice. Che iniziassi una specie di gavetta mista assortita – un po’ assistente di regia, un po’ stage-manager*, un po’ tappabuchi… Non mi ricordo bene come sia arrivata alle luci, ma a un certo punto mi sono ritrovata ad avere funzioni semi-ufficiali connesse con le luci in generale, il disegno luci e la doma della gente alla consolle.

lightsE fin da subito ho tentato di ricreare quel che ricordavo a forza di bianco e di giallo e di arancione – e fin da subito ho scoperto che la curva di autoapprendimento in materia è ripida, ripida, ripida. Si va per tentativi ed errori. Molti tentativi e molti errori. Lavorare con una compagnia che non ha un teatro proprio e si sposta spesso aggiunge tutta una serie di affascinanti problemi. Di fatto, nella maggior parte dei casi vi ritrovate a lavorare con un gente di un service che non ha un briciolo di familiarità con il testo e tanta esperienza di teatro quanta se ne può mettere in equilibrio sulla lama di un coltello. Avreste bisogno di essere guidati – e invece dovete cercare la strada a tentoni e trascinarvi dietro un tecnico o due. lights3

Aggiungete il fatto che per la prova tecnica non c’è mai – ma mai tempo. O meglio, magari il tempo ci sarebbe, ma viene sempre fagocitato da attori e registi in cerca della perfezione ultima. E voi potete strillare, supplicare, piangere, minacciare quanto volete: ci si riduce sempre a fare i puntamenti al galoppo nell’ultimo quarto d’ora disponibile, con gli organizzatori che vi fiatano sul collo perché è troppo tardi, bisogna iniziare, iniziare, iniziare, e avete avuto tutto un pomeriggio per questa roba…

Questa roba.

Poi leggete cose come Backstage di Judith Cook, e spargete lacrime di consolazione nello scoprire che i problemi sono esattamente gli stessi alla Royal Shakespeare Company – solo su scala sesquipedalmente più vasta… Ma in realtà, mentre cercate di improvvisare una variazione e spiegare quel che va fatto durante i frettolosissimi puntamenti, i guai della RSC sono l’ultimo dei vostri pensieri.

lights4Aggiungete poi l’infelicità di ritrovarvi con un impianto luci in cui non si può fare assolutamente nulla perché il suo funzionamento si riassume in acceso/spento. Oppure un impianto luci che consiste di coppie di faretti fissi nelle delicate sfumature puffo, anas, sangue di bue, sciroppo-di-menta e itterizia e ah-ma-i-cursori-mica-funzionano. Oppure un impianto che consente di variare tra diciotto colori fissi pensati per i concerti rock e un gazillione di sfumature intermedie, ma non c’è tempo per cercare e fissare quelle giuste, e in fondo il-giallo-è-giallo…

Avete presente tentare di riprodurre un acquerello con un pacchetto di evidenziatori?

Ecco.

E voi magari avete letto in proposito, e avete affrontato il corso online di lighting-design del MIT, e pianto un pochino di fronte a diagrammi pensati per il Metropolitan. E nondimento sognate di poter lavorare per una volta – una volta – con due americane di tagli e piazzati… lightboard

E poi un po’ per volta cominciate a capire con quale service preferite lavorare, e i tecnici si abituano a voi e alle vostre eccentriche richieste, e acquisite quel tanto di prepotenza che serve per ritagliare mezza prova tecnica ogni tanto, e fate ancora un sacco di errori e di tentativi, e ogni volta imparate qualcosa di nuovo, e rischiate alternativamente l’omicidio e il linciaggio, e studiate, e ogni tanto capita che vi piazzino a una consolle da soli, e qualche volta va bene e qualche volta no – ma non importa.

O meglio, importa eccome, ma non vi ferma affatto, e voi… voi continuate imperterriti a sperimentare con i tagli (ah, i tagli!), a chiedere del bianco caldo, del giallo giusto e dell’arancione, e adorate quando si recita all’aperto e si può avere un pochino di fuoco in scena, e strologate su Pinterest, e vi cercate un nonnulla di apprendistato…

lights2Perché in fondo la vostra è una quête – alla ricerca della luce del sole.

 

 

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* Nulla di amministrativo. Lo stage manager (o direttore di palcoscenico) se ne sta dietro le quinte, risolve problemi e tiene insieme le cose con il nastro isolante e le spille da balia.

Mar 22, 2015 - teatro    Commenti disabilitati su Prove Tecniche Di Nostalgia…

Prove Tecniche Di Nostalgia…

hannibal_coin_colorChe devo dire? Ho un colpo di nostalgia.

Nostalgia di Somnium Hannibalis.*

Nostalgia dell’epoca in cui stavo per essere rappresentata per la prima volta.

Nostalgia di quando, con Hic Sunt Histriones, avevamo una sede tutte nostra e una bellissima sala prove. Poi è arrivato il terremoto.

Nostalgia del tempo in cui facevo trailer delle prove – perché ne avevo visti un paio di bellissimi, e volevo provare anch’io…

E allora…

Ecco. E alcune di queste cose torneranno – prima o poi, in una forma o nell’altra – e altre invece no…

Oh well. Non badate a me, e buona domenica.

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* Se mi sente/vede/legge M., mi strangola lentamente… Ma è vero, o M. Tutto vero dalla prima all’ultima parola. Compresa la conclusione: certe cose torneranno. Davvero.

Feb 4, 2015 - teatro    Commenti disabilitati su Prima Lettura

Prima Lettura

bNo, nulla di liturgico.

Solo che quando si scrive teatro c’è una specie di primo incontro col pubblico – un pubblico smaliziato ed esigente, con delle attese precise e un occhio tecnico.

È la prima lettura.

Compagnia riunita, seduta attorno al tavolo (oppure no), testo stampato e distribuito… Per lo più l’hanno già letto, magari ne hanno parlato. E magari anche voi ne avete parlato. Con un singolo attore o due, col regista… magari è anche piaciuto. Vi hanno fatto dei complimenti, avete cominciato a scambiare qualche idea. O magari invece c’è qualche dubbio, qualche riluttanza, un filo di freddezza dietro l’incoraggiamento generico. O magari le reazioni sono miste…

Ma non è la stessa cosa.

È teatro, e non si sa come funziona finché… be’, in realtà non lo si sa finché non è in scena – scene, luci, costumi e tutto – davanti a un pubblico vero. Però prima, molto prima – a volte persino prima che si sappia con certezza se in scena ci si arriverà mai, o almeno si cercherà di arrivarci – prima c’è la prima lettura.

In una sala prove, in un teatro vuoto, a casa di qualcuno – non importa. Compagnia seduta in cerchio, parti distribuite in via provvisoria, e si legge.Chekov

E poi nemmeno questo è del tutto significativo – o almeno non sempre. A volte ci vuole del tempo perché le cose funzionino davvero. Bisogna frequentare il testo, dice G. la Regista – e in effetti, ho ricordi da far rizzare i capelli dei primissimi tempi di Annibale, quando G. proprio non riusciva a farselo piacere, il mio generale… E c’era voluto del tempo prima che mi riconoscesse l’intensità della faccenda. Inutile a dirsi, la prima lettura non era stata una faccenda scintillante.

Invece lunedì sera, la prima lettura del mio play metashakespeariano… E guardate, le premesse erano un nonnulla incerte, con la compagnia divisa equamente tra entusiasti e dubbiosi, e G. nel secondo campo, e io nervosa – tanto più perché dovevo coprire un’assenza e leggere una parte anch’io… Ad essere del tutto franca, mi aspettavo che tutto si spiaccicasse sul pavimento con rumore di semolino freddo.

E in effetti, la prima pagina, pagina e mezza è andata un po’ così. Prima lettura, a freddo, gente dubbiosa… La prima cosa buffa che scrivo da secoli a questa parte, poi. Vuoi vedere che ho perso il knack, e a me sembrava buffa, mentre in realtà…

E invece no.

imagesMentre leggevamo in cerchio, prendendo ritmo un po’ per volta, uno dopo l’altro gli attori hanno cominciato ad entrare nello spirito della cosa. Hanno cominciato a divertirsi. Hanno cominciato a ridere. Abbiamo cominciato a ridere. Alla fine del primo atto, funzionava già. Balzellon-balzelloni, si capisce, perché era la prima lettura, diamine – ma funzionava.

E non vi dico il sollievo.

S-S, ovvero IGdB* è buffa. Funziona. E andrà in scena.

Col che non voglio dire che adesso sarà tutto in discesa, perché la condizione naturale del teatro, e gli ostacoli insormontabili, e il disastro imminente, eccetera eccetera… ma intanto, per cominciare, la Prima Lettura è superata.

Con le bandiere al vento e molte risate.

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* No, non sul serio. Vi farò sapere…

 

Gen 30, 2015 - libri, libri e libri, teatro    2 Comments

Il Teatro Secondo Marsh

Ngaio_Marsh_by_Henry_Herbert_Clifford_ca_1935,_cropCerti libri si leggono per il motivo indicato in copertina e nient’altro, per altri la faccenda è meno lineare.

Prendiamo, per esempio, i gialli di Ngaio Marsh.

Miss Marsh, con questo nome singolare, era un’eclettica signora neozelandese. Pittrice, attrice, regista, drama teacher – nonché una delle Signore del Giallo dell’Età dell’Oro. La sua grande passione era il teatro, e  in effetti, negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, fu una delle grandi personalità del teatro neozelandese, tanto coraggiosa da proporre Shakespeare in abiti moderni fin dal 1942, e da portare Pirandello in giro per tutta l’Australia (trionfalmente) nel 1949.

Per cui non ci stupiamo poi troppo che il suo detective, l’ispettore upper-class Roderick Alleyn, porti il cognome di un celebre attore elisabettiano, né che, dei trentadue gialli in cui Alleyn fa carriera da ispettore a soprintendente capo, un terzo abbondante abbia a che fare con teatri, attori, produttori,debutti,  registi, prove, drammaturghi e sciarade.

Quando scrive di teatro, Ngaio Marsh sa quel che fa: le sue ambientazioni sono vivide e convincenti, popolate di personaggi credibili e piene di incidenti e particolari che tradiscono una lunga vita sul palcoscenico e dietro le quinte, con i suoi alti e bassi. Non c’è niente di convenzionale o generico nei teatri e nei teatranti della Marsh – tanto che molte volte la descrizione della vita dietro le quinte rischia di prendere il sopravvento sul meccanismo omicidio-indagine-risoluzione… questo può essere un problema per chi è in cerca di un giallo vero e proprio, ma è una completa – e varia – delizia per chi non ha troppe obiezioni alla polvere di sipario.

Varia, sì, perché il teatro di Miss Marsh è offerto in una varietà di atmosfere – e per provarlo confronteremo due titoli.NGM

Opening Night (tradotto in Italia come Sangue in Palcoscenico) comincia con una giovane attrice neozelandese a Londra. Senza soldi e con i sogni di gloria un nonnulla appannati, la ragazza accetta un posto di assistente di camerino per una celebre attrice, a pochi giorni dal debutto di un nuovo dramma. Il teatro è vecchio e un po’ cadente, i camerini sono polverosi, l’autore è irragionevole, la produzione scricchiola e la tensione dietro le quinte si taglia con il coltello… Quando l’indispensabile omicidio arriva, noi lettori lo accogliamo più che altro come un’ulteriore complicazione in vista del tormentatissimo debutto. E magari l’Ispettore Alleyn è un po’ standard, ma l’attore-regista frustrato, l’ingenua in crisi di nervi, il caratterista ultracinquantenne che continua a interpretare giovanotti a forza di cerone, la stanzetta disordinata del custode, i corridoi semibui, la tensione, le rivalità, gli aggiustamenti dell’ultimo minuto, la creazione dello spettacolo per balzi e lampi, le tazze sporche nel lavandino e i fazzolettini per il trucco… tutto infinitamente più vivido e, alla fin fine, più efficace del lato poliziesco della faccenda.

Death at the Dolphin (Il Guanto Insanguinato) è tutt’altra faccenda. È una specie di fiabesca rappresentazione del sogno di ogni regista e/o autore che si rispetti. Come non invidiare Peregrine Jay, che per un caso fortunato si ritrova a ristrutturare e poi dirigere uno storico teatro londinese, con un budget pressoché illimitato e la possibilità di produrre la sua commedia di argomento shakespeariano? Death at the Dolphin è Cenerentola a teatro, con tanto di bizzarra fata madrina e… yes well, con tanto di omicidio – ma diciamo la verità: se mi affidassero un teatro a queste condizioni, che sarebbe mai un piccolo omicidio? E in effetti, anche Perry Jay… No, sono ingiusta: Perry è debitamente sconvolto, perché è un bravo ragazzo. Quello che non risente poi troppo dell’omicidio è l’atmosfera generale. Nonostante il sangue, il Dolphin è un luogo gaio e luminoso, e tra gli eccentrici membri della sua compagnia, alla peggio, volano le scintille. Il dialogo è brillante, la caratterizzazione piena di ironia, l’attesa del debutto piena di eccitazione.

Death-at-the-DolphinTutto un altro mondo rispetto a Opening Night – tanto che, per lungo tempo, ho creduto che il Dolphin fosse un lavoro giovanile, e Night il prodotto di anni più maturi e più disincantati… Magari prima e dopo la guerra, alla maniera in cui, in Agatha Christie, in età postbellica i villaggi di campagna e le magioni aristocratiche s’incupiscono. E invece no: DatD è del 1966, e ON del 1951. Si direbbe che Miss Marsh, bene avvezza agli alti e bassi della vita teatrale, fosse decisa ad esplorare gli uni e gli altri alla stessa maniera in cui si presentano: in nessun ordine particolare – men che meno secondo logica.

Nei primi anni Ottanta, mentre progettava di riprendere Perry Jay e il Dolphin per The Light Thickens (mai tradotto in Italia), la longeva Miss Marsh scrisse a un’amica che in realtà dubitava di trovare molto interesse, se non presso la gente di teatro… In realtà TLT, incentrata su una produzione del Macbeth, fu un altro successo. È una storia di omicidio-indagine-soluzione e, più significativamente, una storia di prove, alti e bassi, superstizioni teatrali, temperamenti difficili – e del modo in cui il teatro inglese è cambiato attraverso i decenni. Magari non è la tazza di tè di chiunque. Magari, in fatto di gialli, si trova di meglio altrove. Ma per un ritratto della vita dietro le quinte – con il sale aggiuntivo di un po’ di sangue versato – si può davvero fare di peggio che leggere i gialli teatrali di Ngaio Marsh.

 

 

Dic 10, 2014 - Natale, teatro    Commenti disabilitati su Natalizietà Miste

Natalizietà Miste

Di solito, qui su SEdS, la stagione natalizia comincia con Santa Lucia… Quest’anno siamo in anticipo di un paio di giorni per un motivo – o meglio, un invito per sabato 13 dicembre.

VSA14

Nell’ambito del Dicembre Ostigliese, Voci Sotto l’Albero è una serata di musica e teatro in vista del Natale, una di quelle cose che un tempo si definivano “per grandi e piccini”. C’è anche, lo vedete in fondo, Hic Sunt Histriones – che, con la regia della bravissima Gabriella Chiodarelli, rappresenta due piccole cose mie.

I Ninnoli di Vetro, Carola di Natale a Due Voci, è una piccola e (si spera) poetica faccenda di alberi di Natale, tradizioni, memoria, radici e infanzia…

– È a forma di violino, vedi?  Attenta, è di vetro sottilissimo…

– Ma è rotto… l’hai comprato già così?

– Sì, perché nessuno lo voleva, e prima o poi l’avrebbero gettato via.

E un albero di Natale è il protagonista assente anche in Christmas Joy, un atto unico miniature in cui un padre e due figlie cominciano a rimettere insieme i cocci di una felicità spezzata.

– Ma non è giusto! Che Natale è senza l’albero?

– Il primo Natale senza mamma. Papà…

– Papà è sempre arrabbiato, papà mi sgrida se canto, papà non vuole che tu faccia i biscotti, papà non è venuto al concerto della scuola… che cosa crede? Che non siamo già abbastanza tristi? O che cancellare il Natale farà tornare mamma?

I Ninnoli e Christmas Joy sono le due prime parti di quello che è destinato a diventare un piccolo trittico natalizio – ancora non so troppo bene in che lingua. Il terzo pezzo, Yes, Virginia, è un altro atto unico miniature, e per il momento esiste solo in Inglese… staremo a vedere che cosa farne.

Nel frattempo, se siete da queste parti e se vi va, vi aspetto a Ostiglia, al Teatro Monicelli, sabato 13 dicembre alle nove meno un quarto.

Dic 6, 2014 - scribblemania    Commenti disabilitati su Piccolo Bollettino Tardivo

Piccolo Bollettino Tardivo

draft-stamp-14608998Sì, non è come se l’avessi finita adesso – ma volevo comunicarvi che ho finito un’altra prima stesura.

Nottetempo, ma qualche notte fa.

Teatro. Altra faccenda. Commissione.

E non sono insoddisfatta.

E sì, lo so – qui fioccano prime stesure. Ma ormai s’è visto che, se non molto altro, il teatro tendo a finirlo. E poi c’è Gente Che Aspetta. E, o GCA, se tutto va bene, dovrei poter consegnare entro…  diciamo entro la Dodicesima Notte?

Fine del Bollettino.

Nov 28, 2014 - scribblemania, teatro    6 Comments

Su Commissione

Mail:

Come fai a scrivere su commissione? Ne parli spesso, quindi penso che ti capiti normalmente. E io non capisco come fai: come riesci a ispirarti per un argomento che ti impone qualcun altro? E se poi il committente vuole dei cambiamenti che a te non vanno? Ma soprattutto, come fai se è un argomento che non ti interessa – o ti fa addirittura schifo?

Potrei cavarmela dicendo che l’ispirazione è sopravvalutata – ma in realtà è una buona domanda. Vediamo un po’.

CommissionSì, è vero: scrivo abbastanza spesso su commissione. Teatro, per lo più, ma anche l’occasionale racconto. Menzionerei anche gli articoli e le prefazioni – ma poi mi si direbbe che non contano… Il che, se vogliamo è un nonnulla bizzarro, perché a nessuno salterebbe in mente di sobbalzare all’idea che scriva articoli su commissione, giusto? Però la narrativa o il teatro… Apparentemente, il problema non è quello di piegare la mia scrittura alle necessità di una commissione. Il problema sorge con… la mia immaginazione?

E a questo punto farò bene a dire che non ho minimamente l’impressione di prostituire la mia immaginazione, la mia scrittura o alcunché d’altro. Ho scritto e scrivo su commissione – e, udite udite, tendo a trovarci gusto.

Si capisce, ci sono commissioni e commissioni. C’è chi arriva con richieste specificissime e non vuole nient’altro – ma di solito non funziona così. Soprattutto a teatro.

Le compagnie si fanno avanti con un’idea generale. Una richiesta. Un’esigenza. Di solito si comincia con qualcosa di vago tipo Acqua, Sonetti, Shakespeare, Anita Garibaldi. Virgilio… E qualche volta è un argomento che vi riempie di vibrante anticipazione, e qualche volta… er, no.

Acqua era parecchio generico. Anita Garibaldi la detesto con passione. Virgilio poco meglio.

E allora che si fa?

Quel che faccio io è una di due cose, a seconda del committente: o mi prendo un po’ di tempo per pensarci, o discuto fin da subito opzioni, possibilità e paletti. In realtà, spesso le due cose si combinano in ordine variabile. E a questo punto, in genere, succede. Succede che l’idea acquisisce un minimo di forma. Succede che capisco quel che voglio fare con l’argomento distante o poco congeniale. Succede che un’idea o due bussano alla porta, si presentano e si accampano per restare.

Perché mi ci sono voluti anni per capirlo, ma non c’è argomento così infelice, così vago, così ostico che non ci si possa trovare qualcosa – qualcosa da scrivere. Un taglio inaspettato. Una luce nuova su qualcosa che mi sta a cuore. Nella peggiore delle ipotesi, l’occasione di riesaminare un’avversione, e qualche volta correggere il tiro… E una volta trovato questo germoglio, non è più solo quel che vuole il committente: è diventato qualcosa chevoglio scrivere io.

Poi è chiaro – non sempre va bene. Ci sono i committenti irragionevoli, ci sono le incompatibilità di vedute, ci sono gli errori che si fanno, ci sono le diverse idee di non-negoziabilità, ci sono le ostinazioni… Il trucco, visto da qui, sembra risiedere in un certo grado di flessibilità, e nello scegliersi i committenti, più che le commissioni.

E alla fin fine, no: scrivere su commissione non è il male. Non è la tomba della creatività o dell’immaginazione. Potrei persino spingermi a dire che alcune delle mie cose migliori le ho scritte su commissione. Se non altro, perché spesso è una sfida. Un’occasione per lavorare fuori dalla propria zona di sicurezza – il genere di stimolo di cui chi scrive ha bisogno anche quando non lo sa.

 

Lug 23, 2014 - teatro    4 Comments

Il Palcoscenico Di Carta

Picture11-e1386900587309E per una volta, no: non parliamo affatto di toy theatres – nonostante l’illustrazione. Vi avevo promesso qualcosa di speciale per oggi, vero? Ebbene, eccoci qui con un progetto nuovo.

Allora, tutto è cominciato quando ho scoperto l’esistenza di The Paper Stage, e ci ho fatto un post su Scribblings. The Paper Stage, dovete sapere, è un’idea geniale nella sua semplicità: ci si riunisce e si leggono ad alta voce testi teatrali poco noti e/o poco rappresentati. Cose elisabettiane le cui probabilità di essere messe in scena sono, per vari motivi, da scarsine a nulle rivivono per una sera al Gulbenkian Café di Canterbury, ad opera del professor Harry Newman, della sua pattuglia di studenti e attori, e di chiunque desideri partecipare.

Niente grandi numeri, niente prove, niente esperienza richiesta: ci si accorda in anticipo per la distribuzione delle parti, ci si trova, ci si siede in cerchio e si legge – o si ascolta.

Magnifico, no? E pensate alle possibilità infinite… Ah, come sarebbe stato bello poter fare qualcosa del genere anche da queste parti, sospiravo per iscritto a conclusione del mio post.

E Harry Newman mi ha scritto per farmi la domanda logica: E perché non lo fate?

E in effetti, perché no?

Così mi sono messa all’opera. Il primo passo è stato quello di coinvolgere i miei amici dell’Accademia Campogalliani, con cui più volte si era lamentata l’impraticabilità di certi testi magnifici o anche solo interessanti, ma difficili o rischiosi da mettere in scena. Ebbene, ci siamo detti in coro con Maria Grazia Bettini, Adolfo Vaini e Diego Fusari, ecco la soluzione!415c89e920055ac5156094bd4b4af311

Insomma, presto Mantova ospiterà Il Palcoscenico di Carta – definiamolo il capitolo italiano di The Paper Stage. Stiamo lavorando per costruirlo, il nostro teatro che non c’è, e per trovargli una o più sedi. Probabilmente le letture avranno inizio in gennaio, partendo con Shakespeare e Marlowe – ma con il tempo, a differenza del progetto originale, intendiamo scostarci dal repertorio elisabettiano.  C’è un’infinità di testi teatrali cui possiamo dare voce e voci per una sera.

Sarà un’esperienza teatrale nuova e diversa, un modo per esplorare testi poco conosciuti, per perdersi nell’incanto della parola, un’occasione per mettersi alla prova, un gioco, una scoperta… Inutile dire che vi aspettiamo.

Intanto, per cominciare, tra qualche giorno nascerà il blog de Il Palcoscenico di Carta, destinato ad essere la casa del progetto – vi farò sapere.

Non vedo l’ora…