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Apr 12, 2013 - teatro, Vitarelle e Rotelle    2 Comments

Bibi Al D’Arco

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A volte capita di scrivere per un’occasione specifica.

Capita per il teatro, capita per le commissioni.

Si scrive con dei vincoli, e può capitare che siano vincoli di tempo. Cose come “E soprattutto, al massimo un’ora, non più di un’ora e guai a sforare oltre l’ora.”

A suo tempo è capitato con Bibi e il Re degli Elefanti, da presentarsi a un pubblico di medici, genitori e bambini a chiusura di un convegno di medicina pediatrica. Parte della platea aveva una lunga e impegnativa giornata alle spalle, parte del pubblico era piccino… E così Bibi è nata piccola.

E sia ben chiaro, non c’è assolutamente nulla di male nel limitare i tempi. A volte è necessità, a volte è buon senso, a volte funziona così.

Poi però capita che le compagnie riprendano in mano le cose e le portino in teatro, e ne chiedano… un po’ di più. Per fare una serata di teatro completa.

E allora si aggiunge, si amplia, si ramifica – a volte si popola un po’ di più. È interessante vedere che cosa si riesce a fare senza stravolgere proporzioni e atmosfera, e in genere è un’occasione per sviluppare qualche idea che nell’esecuzione originale si era dovuta sacrificare o era rimasta in un angolo.

La tentazione poi è quella di risistemare tutto… si riprende in mano il testo, giusto? Perché non approfittarne? Ecco, questa non è sempre la migliore delle idee, perché in genere la compagnia preferisce non dover imparare tutto a memoria daccapo, thank you very much – e anche questo è un limite salutare per evitare di avventurarsi in rimaneggiamenti dissennati e vagabondaggi tangenziali…

 

Ed è andata così anche per Bibi. Da un limite all’altro – una porta aperta con limiti. E sempre di più vado scoprendo che nulla stimola la mente come un limite entro cui lavorare. Ne sono usciti un quadro in più, nuovi personaggi, nuovi compagni immaginari… perché Bibi non è la sola ad avere amici speciali. Per cui, ad andare in scena la settimana prossima per un giro di quattro repliche, è una Bibi nuova – buona anche per chi ha già visto la versione breve.

Se siete a Mantova e dintorni, e se vi va, queste sono le date:

Giovedì    18 Aprile   ore 20.45
Venerdì    19 Aprile   ore 20.45
Sabato       20 Aprile   ore 20.45
Domenica 21 Aprile   ore 16.00

Info e prenotazioni presso il Teatrino di Palazzo D’Arco dal mercoledì al sabato, tra le 17 e le 18 e 30. Telefono e fax: 0376 325363

Gen 10, 2013 - scribblemania, teatro    Commenti disabilitati su PBN

PBN

Uh, d’accordo: rapida divagazione non ectoplasmatica per una rapidissima revisione ad Alta Diplomazia – altro atto unico su richiesta.

Rivisto 12mila e rotte parole in una sera. Se è procrastinazione, almeno è una forma produttiva.

Ma con questo domani dovrei finire, e poi son fantasmi, giuro.

Dic 5, 2012 - scribblemania, teatro    Commenti disabilitati su PBN

PBN

Fòs eghéneto! happy ends, teatro

Happy Ends ha finalmente il suo finale nuovo.

Più amarognolo, più appuntito, assolutamente privo di zucchero – perfetto. Ed essendo le cose come sono, si è trascinato dietro anche un inizio nuovo e assai migliore.

No, ok: perfetto è una parola grossa, e comunque tra domani e dopodomani il ruolino prevede un serio lavoro di limatura, ma per il momento gioite con me: alla maggior parte degli effetti pratici, il sipario è calato sulla seconda stesura.

PBN

Ok, cinquecentoquarantasette parole e la scena che non è quel che sembra è finita e – numericamente parlando – si trova proprio dove dovrebbe essere. E non so se non comincio a provare un po’ troppa simpatia per AW, che dopo tutto è l’antagonista – anche se a prima vista non si direbbe… 

Fin qui tutto bene.

Dopodiché ho ricevuto una richiesta* per un play che esiste già in buona parte, ma deve essere allungato di due o tre migliaia di parole, e per uno di quei miracoli che a volte succedono, capita che possa allungarlo inserendoci una cosa che volevo tanto scrivere, ma cui non sapevo troppo che forma dare. Non sapevo nemmeno se potesse funzionare per conto suo, e di certo non avevo nemmeno la più lontata idea che potesse essere connessa a questo play… E invece sì, le due trame s’incastrano perfettamente e tutto si sistema in un modo che è la materia di cui son fatti i sogni. 

Per cui, alle cinquecentoquarantasette parole dei fantasmi ne possiamo aggiungere seicentodiciotto per Happy Ends – e per un po’ avremo un doppio conto-parole.

Chi si duole in terra più? Va bene persino l’influenza, se proprio deve esserci. Oh, ineffabile letizia…

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* Il genere di richiesta, per capirci, che tende a condurre su un palcoscenico…

Set 29, 2012 - scribblemania, teatro    4 Comments

Piccolo Bollettino Notturno

Oggi niente.

Nemmeno una parola.

Non è che non ci abbia pensato – e ho preso appunti sul mio taccuino nuovo, perché non c’è nulla di più perso di un appunto non preso.

Ma la giornata è stata inghiottita completamente da Bibi e il Re degli Elefanti. E dalla commemorazione del mio mentore.

E dopo sono stata a cena con la compagnia, e abbiamo brindato. Ripetutamente. E fatto progetti per il futuro. Un futuro comune.

Per cui, qualora ve lo chiedeste, la risposta è dodici.

E magari non è che sia al massimo della lucidità.

Ecco.

Mag 26, 2012 - Somnium Hannibalis, teatro    4 Comments

E… Sipario

Posterellino fulmineo – e no, non sto riprendendo a postare tutti i giorni, ma ero in debito di un finale: qualora ve lo chiedeste, giovedì mattina abbiamo avuto il placet del perito più o meno all’ultimo momento utile, e stavamo forsennatamente puntando luci in un incrocio tra una prova tecnica e un bignamino quando Le Scuole sono piombate su di noi, colme di avido zelo teatrale.

Avido zelo e cicaleccio, bisogna dire, e confesso che ci siamo guardati in faccia e ci siamo chiesti: saranno capaci alcune centinaia di ragazzini di starsene in ragionevole silenzio per l’ora che occorre ad arrivare in fondo a un atto unico?

Ma siccome era un pochino tardi per porsi dei dubbi sull’idoneità didattica del progetto, we soldiered on. E, a dispetto di tutte le più radicate superstizioni teatrali, a dispetto del mese di travasi di bile e sconforto generale, a dispetto del terremoto e di tutto quanto, è andato tutto straordinariamente bene.

Fluido, vivido, efficace.

Sì, abbiamo avuto un paio di minor hitches, come quando le cantine dei senatori romani sono diventate panchine, o l’istante in cui la luce si è accesa sulla scala praticabile illuminando a perenne gloria futura la collisione tra il Piccolo Annibale e un membro del coro…

Ma son dettagli.

È andato tutto così bene che era quasi un peccato avere in platea solo Le Scuole… per carità, sono molto felice che abbiamo mostrato a Le Scuole del buon teatro, ma sarei stata contenta anche di un pubblico adulto a vedere quello che forse è stato il migliore Somnium di questi due anni. Perché ridendo e scherzando domani faranno due anni dal debutto, ed è stato bello tornare a ripeterlo nello stesso teatro in cui avevamo iniziato – ma con tanta esperienza e sicurezza in più, la musica giusta e un disegno luci che era bello a vedersi & funzionava senza intoppi.

Adesso, si capisce, tutta la gente che per un mese ho tormentato con i miei sinistri presagi (“Stavolta sarà un disastro. Davvero. Un disastro orribile. E so che lo dico tutte le volte, ma stavolta è proprio vero…”) mi dice che non sarà più capace di prendere sul serio le mie geremiadi teatrali. Pierino e il Lupo, immagino – ma non è colpa mia: stavolta sembravamo veramente avviati rotolon rotoloni alla catastrofe. Chiedete agli attori. Chiedete alla regista.

Solo che poi, alla fine, tutto si sistema. Come mai? Non si sa. È un miracolo, è lo Spirito del Bardo, sono gli arcobaleni gemelli – è la natura del teatro. E non sapete quante volte, in questi ultimi giorni, mi sono ripromessa di tornarmene ai miei romanzi, miles and miles away da teatri, compagnie, registi, attori, consolles luci e pubblico in sala…

Però non dicevo sul serio.

Mag 24, 2012 - Somnium Hannibalis, teatro    3 Comments

Entra Dal Fondo Il Destino Beffardo

Lasciate che vi racconti una piccola storia.

Oggi andiamo in scena – Somnium Hannibalis per le scuole, come da progetto originario. O forse sarebbe più accurato dire che dovremmo andare in scena…

Dovete sapere che il giro di prove in vista di stamattina è stato forse il più raccapricciante della mia esperienza teatrale. Tutto quello che poteva andare storto lo ha fatto, in una sarabanda di defezioni, guai, ritardi, idee abortite, allievi promossi sul campo e malcerti, litigi furibondi, incidenti di percorso, ulteriori defezioni dell’ultimo minuto, défaillances tecniche, sconforto profondo, ritirate sull’Aventino, interrogazioni di chimica, e disastri misti assortiti.

Ieri mattina abbiamo… abbiate pazienza: sono un nonnulla incoerente. Volevo dire che ieri mattina ci siamo ritrovati con un buco da coprire nel dramatis personae, non avevamo mai fatto una filata, il prim’uomo era demoralizzato, la prima donna riottosetta anzichenò, l’uomo delle luci risentito per il budget all’osso, la fonica lacunosa – e c’erano parti corali di cui ancora non sapevamo chi diavolo le avrebbe fatte…

“Be’, ormai credo proprio che sia capitato tutto,” ho incautamente detto a mia madre al telefono. “Why, che altro potrebbe succedere?”

Per cui, quando ieri sera mi sono avviata al teatro per una di quelle prove inclassificabili à la Rumori Fuori Scena* il mio cuore non era colmo di letizia. Diciamo pure che ero in preda al più cupo sconforto, e poi ero in ritardo, e poi pioveva… Persino il ciondolo shakespeariano che avevo al collo** mi pareva un assai magro conforto. Quando a metà strada è comparso il primo arcobaleno ho fatto un risolino amaro.

Poi gli arcobaleni sono diventati due, speculari, luminosissimi, e distanziati così che la strada sembrava dirigersi tra due pilastri curvi di luce versicolore – quasi che dovessi imboccare un ponte iridato…

“Che spreco di effetti speciali, O Destino Beffardo,” ho mormorato. “Francamente, mi sentivo già beffata a sufficienza senza gli arcobaleni…”

E poi arrivo, trovo parcheggio lontano dal teatro, tanto lontano quanto è possibile, e galoppo sotto la pioggia, ed entro in platea dall’ingresso di servizio, e…

Mi blocco incredula tra due tende di velluto rosso. Scena in corso. Campo cartaginese la sera di Canne. Annibale e Maarbale stanno recitando il loro litigio con una convinzione, efficacia e scioltezza che non si vedevano da mesi. La vivandiera arriva al momento giusto senza impallare nessuno. Il Coro*** sul fondo interviene come si deve, gli allievi (quelli  che ci sono) non incespicano e non gigioneggiano…

Resto dove sono, a bocca aperta. E poi lo sguardo mi cade sull’americana – dove ci sono tutti i fari che avevo richiesto – compresi i due tagli che l’uomo delle luci in mattinata sembrava propenso a negarmi.

Il cuore mi si allarga. Possibile? Possibile? Lo Spirito del Bardo, gli Arcobaleni, la condizione naturale del teatro che è una serie di ostacoli insormontabili sulla via del disastro immintente e poi tutto si sistema? Possibile?

E intanto la prova procede, liscia e vivida… ecco, se volessi, potrei obiettare che una generale così liscia e vivida promette, per immemorabile tradizione teatrale, magagne nella rappresentazione. Ma m’impedisco di pensarci troppo, e mi godo la prova, e trotto nelle mie funzioni di quasi-assistente-di-palcoscenico, fonico supplente, lighting designer e occasionale aiuto-regista…

E poi naturalmente succede.

Succede che arriva gente del Comune, con la notizia che martedì sera il proiezionista del cinema**** ha notato delle crepe e una caduta di calcinacci. Terremoto, naturalmente. Ma qualcosa nella comunicazione tra il proiezionista e il gestore, tra il gestore e l’ufficio tecnico comunale, tra l’ufficio tecnico e il perito non ha funzionato, per cui ieri sera ancora nessuno era venuto a constatare estensione e gravità dei danni.

Morale?

Morale, non si può far accedere del pubblico (men che meno le scuole) finché il perito non si è pronunciato, e il perito viene questa mattina. Alle nove. E noi andiamo in scena alle dieci e mezza. Dovremmo andare in scena. Ma in realtà non lo sappiamo. E quindi adesso io vado a teatro, e tutti ci andiamo come se dovessimo andare in scena, ma poi non è detto. Non è detto per nulla. E se il perito ha anche solo qualche dubbio, gli arcobaleni, lo Spirito del Bardo, l’improvviso rinsavimento della compagnia – tutti i piccoli miracoli di ieri sera saranno stati per nulla.

E intanto il Destino Beffardo sogghigna alle mie spalle. Beffardamente.

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* “Se questa è la prova tecnica, quando facciamo la generale?” “Ma se questa è la generale, quando facciamo la tecnica?”

** Non so, magari nella tenue speranza che lo Spirito del Bardo si commuovesse tanto da tenermi la man sul capo…

*** Don’t ask.

**** Struttura multifunzione. E infatti… but let’s not even start on that.

Feb 20, 2012 - teatro, virgilitudini    5 Comments

Ricapitolando

E così, con oggi pomeriggio, è finito il mio primo run ufficiale: cinque repliche di Di Uomini E Poeti.

Cinque, non sei, perché la prima è stata cancellata per una combinazione di neve e influenza, ma lo sapete – oh, se lo sapete. A dire il vero non ne potete più di sentirmi parlare di Di Uomini E Poeti, ma portate pazienza ancora per oggi, mentre rimugino di teatro, di scrittura e di massimi sistemi applicati.

Cominciamo col dire che, contrariamente, alle mie pessimistiche previsioni, sono sopravvissuta al run e non sto scrivendo dall’oltretomba. Per questa volta, niente sincopi e niente fama postuma. Ci sono stati brevi momenti di sconforto, si sono intrattenuti fuggevoli pensieri di emigrazione a St. Helena*, si è invocata, senza considerarla seriamente, l’ipotesi di fare harakiri con una matita HB, ma si è trattato di piccoli cedimenti dovuti al meteo e alla proverbiale instabilità degli artisti.

C’è stato il fatto che le prime sono sempre prime, che nevicava e i marciapiedi cittadini parevano fatti di vetro insaponato, che il teatro era mezzo pieno – ma al momento sembrava proprio mezzo vuoto. Nonostante questo, il primo quarto d’ora della prima è stato un quarto d’ora di beatitudine – poi la compagnia si è fatta prendere da un filino di Empty House Syndrome… C’è stata una certa quantità di smagliature, e alla fine non è che il mio primo vero pubblico pagante sia stato calorosissimo.

Dopodiché le cose sono andate germogliando e fiorendo di volta in volta, e i piccoli incidenti come il telefonino dimenticato acceso in tasca da un attore, e la bizzarra non-recensione sulla stampa locale sono stati piccoli incidenti pittoreschi. È stato affascinante sedere in mezzo al pubblico per cinque volte di fila, dividendo la mia attenzione tra quel che succedeva sul palco, le reazioni del pubblico e gli appunti per la riscrittura.

E allora andiamo con ordine.

Come ho detto e detto e detto ancora, questo era il mio primo run. La prima volta che vedevo uno spettacolo – mio o altrui – per cinque volte in dieci giorni. Sapevo in teoria che in teatro mai nulla succede due volte allo stesso modo, ma constatare la pratica, per così dire, sulla mia pelle, è stata un’esperienza elettrizzante. Ad ogni replica si produceva una diversa qualità di tensione e di fluidità, un ritmo diverso, un diverso colore complessivo… “Non ti stufi di vederlo tutte le sere?” mi ha chiesto la bambina di un’amica, sentendomi raccontare della mia avventura. “Oltretutto, lo sai a memoria…” Ebbene, posso confessare che potrei continuare a lungo? Non foss’altro che per vedere in quanti altri modi ogni singolo attore può affrontare ogni singola battuta. Non sempre ho condiviso tutto, non tuttissimo mi è piaciuto ogni volta, ma le possibilità, le possibilità, le possibilità

Il pubblico, dopo la prima è diventato più caloroso. Immagino che avere sfidato la tormenta per andare a teatro renda esigentissimi e freddini all’applauso**? E comunque, l’ho già detto, la prima non è stata affatto la migliore delle serate – come è collaudata tradizione in teatro. Che posso dire? Son cose che si prendono con più filosofia quando capitano a qualche altro autore. Epperò, la cosa che ho notato di più fin dalla prima sera, è stato il silenzio. DUeP non è il genere di lavoro che ecciti risate o reazioni facilmente registrabili a sipario aperto – ma c’era (caramelle a parte) quel silenzio immobile che significa attenzione. Oppure sonno profondo – ma se non altro nessuno ha russato. E poi, all’uscita, o via mail, o riferiti, o attraverso Twitter, arrivavano i complimenti. So di gente che si è commossa, di gente che è tornata una seconda volta, di gente che ha deciso di rileggere l’Eneide, di gente che era partita prevenuta e poi ha apprezzato… Non è solo merito mio – in teatro non è mai merito di una persona sola e la compagnia ha fatto un lavoro favoloso (con menzione speciale alla regia di Maria Grazia Bettini e al Vario di Diego Fusari) – ma lasciate che mi ci crogioli un pochino. Dopo tutto era la prima volta. E oggi pomeriggio, a teatro finalmente pieno, mi è spiaciuto pensare che era l’ultima volta, che dovrà passare del tempo prima che possa sedermi di nuovo in mezzo a un pubblico silenzioso e immobile – catturato dalle mie parole.

Adesso inizia la riscrittura. Non ho mai assistito alle prove, e quindi non ho mai avuto modo di lavorare insieme alla compagnia. Così ho usato le repliche come workshop, annotando le rigidità e le manchevolezze di cui sulla carta non mi ero accorta, e interrogando gli attori su quel che li rendeva infelici nel testo. Non ho ancora finito con loro, ma ho tutte le intenzioni di farli parlare. E poi riscriverò, allungherò e renderò più liscio l’insieme. Per la prima versione la committenza aveva fissato una durata massima di un’ora, cosa che mi aveva costretta a prendere degli angoli un po’ stretti, qua e là… E se sulla carta era tutto perfettamente logico, una volta in scena ogni spigolo, ogni scorciatoia, ogni semplificazione, tutto è emerso, evidente come una fila di coni segnaletici. Adesso posso sciogliere nodi, sfumare passaggi, sviluppare accenni, e sistemare tutto quello che ho sentito piatto, lacunoso o acerbo nel corso di queste repliche. “Tu sei matta,” mi ha detto D. – che probabilmente non ne può più di Virgilio e compagnia. “Ma allora quand’è che consideri definitivo un testo?” mi ha domandato P. con un’ombra di sconcerto, rigirandosi tra le mani la versione pubblicata di DUeP. “E però, nel frattempo, ci scrivi anche qualcosa di nuovo, vero?” hanno chiesto regista e diversi attori.

E le risposte sono, rispettivamente, che sono matta da legare, che non c’è ancora nulla che abbia scritto e/o pubblicato e sia disposta a considerare definitivo, e che sono tanto, tanto, tanto sollevata e lieta che la compagnia non ne abbia avuto abbastanza di me.

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* O altro luogo isolato e privo di teatri.

** Devo riferire un particolare un nonnulla eerie. Nel mio primo e fallito tentativo di romanzo, c’era un debutto – una prima teatrale in una sera di neve, con il teatro semivuoto, la compagnia di malumore e il pubblico maldisposto, e un mangiatore di caramelle in prima fila. Sapeste com’è strano ritrovarsi nel bel mezzo di un proprio romanzo… C’era persino la signora con le caramelle.

Dic 12, 2011 - self-publishing, teatro    Commenti disabilitati su L’Itala Giuditta A Teatro

L’Itala Giuditta A Teatro

l'itala giuditta, ebook, teatro, accademia teatrale campogalliani, i lunedì del d'arcoCi sono cose che si scrivono appositamente per la scena, e quindi non si vede l’ora di vederle rappresentate, perché quella è la loro natura, il motivo per cui sono nate.

Poi invece ci sono le sorprese.

L’Itala Giuditta, forse lo sapete già, è una novella risorgimental-steampunk ambientata in un 1857 alternativo: in un Regno Lombardo-Veneto dominato dagli Austriaci col terrore e col vapore, si apre il sipario sulle avventure dell’audace Giuditta Pasta, un tempo idolo dei teatri lirici, ora pronta per il ruolo più drammatico della sua vita – quello di musa delle rivoluzioni.

E intanto a Firenze, chiuso nella sua cantina, un dotto e pio inventore lavora con riluttanza a un segretissimo marchingegno che potrebbe cambiare le sorti dell’Europa intera.

 

Tra misteriose armi, abati timidi e calabroni a vapore, riuscirà l’incomparabile Giuditta a sottrarsi alla Regiaimperial Polizia, trascinare all’azione i timorosi e metter mano all’Unità d’Italia?


Ecco, in marzo eravamo a questo punto, con un ePub che era anche il mio primissimo esperimento di self-publishing digitale (e che, volendolo leggere, si può reperire qui).


Poi è accaduto che Grazia Bettini, una dei bravissimi registi dell’Accademia Teatrale Campogalliani di Mantova, venisse a sapere dell’esistenza della Giudi e me ne chiedesse notizie.


“Sai, essendo l’anno che è, siamo in cerca di testi risorgimentali – per epoca o per ambientazione – per i Lunedì del D’Arco…”


Io ero molto felice di far leggere la Giudi a Grazia, ma dubitavo che fosse quello che cercavano. I Lunedì del D’Arco sono una meritoria e seguitissima para-stagione mantovana: letture drammatiche e rappresentazioni semisceniche offerte gratuitamente alla cittadinanza – e quest’anno erano dedicati, per l’appunto, al Centocinquantesimo. A dire la verità temevo che il Confortatorio dei Martiri di Belfiore e la Giudi Steampunk non si sposassero bene…


E invece sottovalutavo la Campogalliani!


La sottovalutavo perché Quella Gente Lì ha coraggio, intelligenza e sense of humour da vendere, e stasera porta in scena L’Itala Giuditta sforbiciata, adattata e magicamente mutata in atto unico – in forma semiscenica – con la favolosa Francesca Campogalliani nei panni della Giudi.


E io non vedo l’ora, perché se è eccitante veder prendere vita un testo teatrale, non so immaginare l’emozione di veder succedere la stessa cosa a una novella, nata per restare sulla carta – letterale o elettronica. A parte tutto il resto, per me è uno straordinario regalo di Santa Lucia.


Quindi, qualora foste curiosi anche voi e vi capitasse di essere dalle parti di Mantova, vi dò appuntamento a questa sera alle ore 21.00 al Teatrino D’Arco.


Ott 28, 2011 - Oggi Tecnica    3 Comments

Trascrivi… Ed Essi Verranno

“Essi” nel senso di “personaggi con una voce propria.”

Nel corso di un seminario sul dialogo narrativo, Elizabeth Sims consigliava di sedersi in luoghi pubblici e ascoltare la gente che parla. E di trascrivere, magari.

“Io lo faccio spesso,” dice. “Mi siedo da solo in qualche Starbucks affollato, fingo di lavorare e in realtà ascolto e annoto. Ho trovato delle gemme, in questa maniera…”

E badate che non si riferisce a gemme di storie, ma gemme di usi colloquiali, espressioni, giri di frase e cose del genere. Il tipo di gemme che, opportunamente lucidate e incastonate nel posto giusto, servono a dare a un personaggio una “voce” individuale e credibile.

Qualcosa del genere consiglia anche Jeffrey Sweet in fatto di teatro: “Non potrò mai raccomandare abbastanza l’utilità di registrare conversazioni e trascriverle.”*

Perché entrambi cominciano col raccomandare di leggere trascrizioni: libri di storia orale, raccolte di interviste, trascrizioni di processi e tutto quello su cui si possono mettere le mani – e non so bene che cosa e quanto si trovi in giro in Italiano. Oddìo, tutte le trascrizioni giudiziarie che si possono volere e anche molte di più, apparentemente, ma pensavo alla storia orale e alle interviste senza interventi cosmetici…

Tolto questo, e al di sopra e al di là, però, Sims e Sweet cantano separatamente le lodi dell’ascoltare conversazione spontanea e trascriverla. Sweet propone un’alternativa per la gente che, come la sottoscritta, è un po’ terrorizzata dall’idea di farsi beccare a trascrivere la conversazione altrui: registrare un talk show e – you guess it – trascriverlo. L’idea di base è, suppongo, che in un talk show non si parli in modo particolarmente sorvegliato… ed è quello che si vuole: conversazione per quanto possibile spontanea**, in cui la gente s’interrompe, usa intercalari, ellissi, sgrammaticature, espressioni peculiari, digressioni.

E, dice Sweet, sarà particolarmente istruttivo notare la scarsità di aggettivi ed avverbi che si usano davvero in conversazione. Gli aggettivi che Twain consiglia di sterminare. Gli avverbi che secondo King lastricano la strada per l’inferno… Questo è un esperimento interessante: ascoltatevi e ascoltate altra gente, e vedrete che parlando si usano altri mezzi per far passare intenzioni, sfumature e colori – tutta la roba che, in un romanzo (e nel teatro di autori inesperti), viene affidata alle bestioline infestanti.

Sweet dice addirittura che l’attore americano medio, quando trova un aggettivo altisonante o un avverbio decorativo, ingrana un riflesso automatico e inserisce un’impercettibile esitazione. Come se il personaggio stesse cercando l’aggettivo o l’avverbio in questione. Affascinante teoria – e istruttiva.

Badate: con questo nessuno vuol dire che si possa ascoltare la conversazione dei vicini di tavolo e piazzarla così com’è in una pagina scritta. Il buon dialogo narrativo (e teatrale), si sa, è pesce già sfilettato: solo le parti buone, accuratamente ripulite da tutto ciò che è innecessario o non significativo.

Jon Dorf propone una versione “per sottrazione” dell’esercizio: ascoltare una conversazione*** e badare tutti gli “Er…” e “Ah,” tutte le ripetizioni, tutte le frasi non terminate, tutto ciò che non aggiunge nulla alla conversazione. E tutti sappiamo che, scrivendo, ogni parola deve servire ad almeno una di due cose: avanzare la trama e/o caratterizzare il personaggio.

E quindi? E quindi la sfida consiste nel bilanciare tra essenzialità dell’informazione e individualità della voce, e il segreto potrebbe risiedere proprio in quei patterns of speech, quelle costruzioni peculiari, quei modi d’interrompersi a vicenda o di implicare strati di conoscenza in comune – quelle gemme che Sims raccoglie da Starbucks.

Insomma, ecco un gioco: ascoltare, annotare, trascrivere. Perché in fondo in scrittura, come in alchimia, nihil ex nihilo fit. Le voci ci sono già, basta catturarle, sfilettarle e combinarle per la bisogna dei personaggi e delle storie.

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* Da The Dramatist’s Toolkit – trad. mia.

** Col che non intendo dire che ci sia alcunché di spontaneo in un talk show dal punto di vista del contenuto, ma la forma dovrebbe essere uncensored e brada quanto basta. E poi non lo so per certo, perché parlo da platanicola poco meglio che ignara. dubito di avere mai davvero guardato un TS per più di un paio di minuti…

*** “La prossima volta che uscite con gli amici, passate un po’ di tempo ad ascoltare davvero, senza dire nulla, e prendete mentalmente nota…” Oh sì, fatelo: è un po’ meno imbarazzante che farsi sorprendere con un taccuino o un registratore, ma è il genere di cose che vi fa considerare distratti e inclini ad attacchi di vaghezza. Then again, i vostri amici non ci faranno caso, perché vi considerano già così. In fondo siete scrittori – vale a dire gente un pochino strana.