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Ott 3, 2016 - posti, Somnium Hannibalis, teatro    Commenti disabilitati su Un Regno per Scenario – ovvero, lo Spirito dei Luoghi

Un Regno per Scenario – ovvero, lo Spirito dei Luoghi

 

2PTeresianaParlavamo qualche tempo fa del potere degli oggetti di scena, vero?

Ebbene, Il Testamento di Virgilio alla Teresiana, sabato pomeriggio, mi ha ricordato con una certa energia che il potere dei luoghi non è affatto da meno. E questa volta non sto pensando ai luoghi ricreati dallo scenografo – quella è un’altra faccenda. No, ho in mente i luoghi in cui si recita.

I teatri prima di tutto, s’intende. I teatri sono luoghi deputati a contenere rappresentazioni, pensati e costruiti per essere funzionali a quella specifica attività – e fin qui siamo tutti d’accordo. Poi ci si può dividere sul fatto che alcuni teatri siano più teatri di altri, o quanto meno su quali lo siano di più. A volte è una questione di antica tradizione, a volte invece di atmosfera, consuetudine, pubblico, chimica – o magari di quelle cose che ci sono in cielo e in terra, più che in tutta la filosofia. E immagino anche che per lo più sia una questione molto soggettiva.

Per dire, adoro la Scala, Covent Garden, L’Opera di Roma e quella di Vienna e, contro ogni aspettativa, l’Arcimboldi, mentre l’Opera di Torino e quella di Firenze mi lasciano freddina, e detesto di cuore l’Opernhaus di Zurigo – nonostante ci abbia visto un magnifico Onegin. Ricordo con affetto il New Theatre di Cardiff e il Noël Coward a Londra, e al Romano di Verona sono ambientati alcuni tra i miei più meravigliosi e miliari ricordi teatrali.3750945359

Posso soltanto immaginare che funzioni come, in piccolo, funziona per me con tre teatri di Mantova e Provincia: il Bibiena è bellissimo a vedersi, in teoria una cornice perfetta per quasi tutto – ma non posso  e non ho mai potuto fare a meno di trovarlo un pochino freddo. Il Teatro all’Antica di Sabbioneta è un altro posto incredibile – ma ho due ricordi soltanto: un recital di lirica con un pubblico distratto e disattento, e un mio son-et-lumière con nessuno in platea se non genitori, zii, coniugi, figli e gente che ci eravamo portati da casa. Il posto era magnifico, ma ci sentivamo attorno la Sonnetscompleta indifferenza degli indigeni… Not nice. E poi invece il minuscolo Teatrino d’Arco, ricavato nelle scuderie di un palazzo, strettino e intimo, ha qualcosa-qualcosa. Sarà che palco e platea si guardano negli occhi sarà che è la sede di una storica compagnia e ne ha assorbito lo spirito… Potreste sospettare che io sia di parte, ma credo di non essere l’unica mantovana a sentire la differenza di temperatura teatrale e ideale tra il d’Arco e il Bibiena…Hannibal

E poi ci sono i posti fuori. Quelli che non sono, tecnicamente parlando, teatri – ma sono così perfetti, così ideali. Si fondono con il testo e con l’interpretazione, aggiungono colore e personalità… Ho avuto fortuna, e me ne sono capitati diversi. La Sala Teresiana, l’altra sera, con i suoi scaffali altissimi pieni di tomi antichi, la galleria, i globi del XVII secolo, le teche e i banchi… perfetto per questa storia di ciò che resta  scritto, e ciò che resta otherwise. E Shakespeare in Words nell’Esedra – che non solo è bella ma, essendo rinascimentale e classicheggiante, calza come un guanto alla Roma di Shakespeare. E, qualche anno fa, il Somnium Hannibalis alla Rotonda di San Lorenzo, che non ha richiami storico-ideali con il testo, ma è una cornice di bellezza straordinaria. E molti anni fa, un angolo di cortile in un collegio pavese, con una pergola d’uva e una porticina dalla ringhiera di ferro battuto, che sembrava fatta apposta per l’Uomo del Destino di Shaw…

13912691_10205166157872777_3639161210640259264_nPoi ci sono state le cose non fatte – più di tutto un certo cortile rinascimentale illuminato di taglio a luce ramata, con un palcoscenico per metà smontato. Se avessi potuto scegliere, se fosse stato sicuro, se tante cose – è lì che avrei voluto il mio Somnium. E  ci sono le cose che vorrei fare. Ormai amici e famigliari hanno imparato a riconoscere il luccichio matto che mi compare negli occhi alla vista di un posto, un cortile, uno scalone, una piazza, una facciata, una sala, un tratto di mura che secondo me…

“Sì, sì – teatro. Che meraviglia sarebbe farci qualcosa,” sospirano – e portano pazienza, perché sono rassegnati all’idea che è così che si diventa: si vedono storie e teatro dappertutto.

 

Set 16, 2016 - teatro    Commenti disabilitati su Di Uomini e Poeti (Ovvero il Testamento di Virgilio)

Di Uomini e Poeti (Ovvero il Testamento di Virgilio)

LocVirgTeresiana16Tradizione vuole che, in punto di morte, Virgilio abbia chiesto con insistenza la distruzione della sua opera incompiuta, il poema epico che ancora non si chiamava Eneide. Ma Vario Rufo, poeta a sua volta e amico di Virgilio, non obbedì alla richiesta, e anzi ebbe da Augusto l’incarico di curare la pubblicazione dell’Eneide così come Virgilio l’aveva lasciata. È per una disobbedienza alla volontà di un amico defunto che l’Eneide è giunta a noi attraverso venti secoli, con l’occasionale verso imperfetto, con qualche incoerenza, con le sue asimmetrie narrative e con un eroe un nonnulla bidimensionale… I latinisti si sono interrogati a non finire sul brusco finale del Libro XII, e innumerevoli generazioni di studenti ginnasiali (me compresa) hanno storto il naso davanti al Pio Enea, più paradigma di obbedienza e abnegazione che essere umano.

Rileggendo il poema da adulta, mi sono trovata a meditare, più che sulle vicende di Enea e dei suoi, su ciò che Virgilio non ebbe tempo di compiere prima di morire. La tentazione di considerare la gelida caratterizzazione di Enea un difetto da prima stesura era irresistibile – e non ho resistito. Il mio Virgilio, che torna nei sogni di Vario Rufo per deciderlo a bruciare il manoscritto incompiuto, non si preoccupa tanto dell’imperfezione dei versi, quanto di non avere avuto il tempo di tratteggiare come avrebbe voluto personaggi e significati. Ma a complicare il dilemma di Vario, lacerato tra la lealtà e ammirazione, irrompono nel sogno i personaggi dell’Eneide – non l’eroe vincitore, ma gli sconfitti: Creusa, Turno e Amata, pieni di risentimento e certi che solo la distruzione del manoscritto li libererà dalla sorte cui Virgilio li ha condannati. E allora la lotta per il rogo dell’Eneide diventa una metafora per l’intrecciarsi di arte e vita, dovere e istinti primari, libero arbitrio e destino, amore, sconfitta, giustizia e memoria – in una parola, l’umanità.

Difficilmente la questione di che cosa davvero mancasse troverà una risposta inoppugnabile. Però dove storiografia e filologia non possono giungere,il teatro può tessere, con la richiesta di Virgilio, i dubbi di Vario e la volontà di Augusto, una riflessione sul rapporto tra l’autore e la sua opera, tra poesia e storia.

Il Testamento di Virgilio ritorna, sabato 1 ottobre alle ore 18.00, nella magnifica Sala dei Mappamondi alla Biblioteca Teresiana – per cominciare. L’ingresso è gratuito, ma i posti sono limitati. Prenotate al numero 0376338450. La locandina si può scaricare qui.

Set 12, 2016 - considerazioni sparse, Shakespeare Year, teatro    Commenti disabilitati su La Maschera di Rame (Atto III)

La Maschera di Rame (Atto III)

Ricordate? Il sipario si era chiuso sul ritorno di Alchemilla a una Clarina vaga e confusa, smarrita tra due direzioni di pensiero: mascheramascheramaschera e terrorpanico!

Quando le luci di scena si riaccendono, immaginate Alchemilla & Clarina sedute a un tavolo coperto di carte colorate, mascherette di plastica, nastri di raso, tubetti di colore e barattoli di colla, intente a strologare sulla dozzina di disparate idee di cui si diceva.

ea65fe86ec0a2c5e58c55b70ba08d7d6Color rame – e questo è assodato. La bacchetta… sì, la bacchetta serve assolutamente, perché la maschera deve essere gesticolabile. Ma allora la mezza maschera à la Phantom of the Opera confina l’uso a una mano soltanto. Right, niente Fantasma. Una maschera intera. Ma quanto intera? E sopra? E sotto? Deve arrivare al mento, altrimenti dove si attacca la bacchetta ambidestra? E alla fine, dopo molto rimuginar di filigrane, tagli, forme e massimi sistemi, si giunge alla conclusione di ispirarsi all’immagine che vedete qui di fianco – ma con il mento.

E si comincia. O meglio, Alchemilla comincia, mentre la Clarina guarda, porge forbici e taglierini, gira attorno e ritaglia foglie/fiamme di cartoncino.

E intanto il tempo scorre, e la prima si avvicina…

“E la maschera?” chiede G. ogni sera, vedendomi arrivare con la mascheretta provvisoria.

“Quasi pronta,” dico io – anche se, a dire il vero, qualche piccolo palpito d’ansia comincio ad averlo. 20160731_193410_resized

Ansia e anche un nonnulla di dubbio quando, al primo applicar di foglie/fiamme, la maschera assume un’aria un nonnulla lapina… “Sembrerò il Bianconiglio…” non posso fare a meno di mormorare. “Il Ramconiglio.”

Alchemilla ride e mi rassicura e procede – come se avesse maneggiato teatranti nervosi per tutta la vita. D’altra parte è stata una teatrante nervosa a sua volta, in tarda fanciullezza: un’idea di come funziona la specie, dopo tutto, ce l’ha. E se entrambe abbiamo l’impressione che la maschera, di per sé, abbia dei lineamenti un tantino alieni, le cose cambiano incredibilmente all’aprirsi di occhi e bocca, e poi man mano che la plastica sparisce sotto gli strati di carta di riso… Intanto A. il Consorte Paziente offre consiglio e aiuto, e io rivesto la bacchetta (oh, biadesivo – dove sei stato per tutta la mia vita?!) e faccio pensieri ad alta voce su due sfumature di color rame, e fingo di non agitarmi perché il tempo passa e passa.

“E la maschera?” chiede G., alla prova generale.

“Pronta domani,” rispondo allegramente. È bellissima.”

E forse G. crede che voglia farle una sorpresa – oppure metterla davanti a un fatto compiuto – ma non è affatto così. La maschera è ancora chez Alchemilla, in attesa del color rame. Quasi pronta, e nel corso del pomeriggio l’ho tenuta in mano con tanto di bacchetta, ma non era ancora pronta quando me ne sono andata per fuggire direttamente alle prove…

E la prova generale va fin troppo liscia, e la notte sogno facce color rame che mi guardano con disapprovazione, e poi è il giorno della prima.

“È pronta,” mi informa Alchemilla in tarda mattinata.

20160805_182428_resizedE nel pomeriggio, prima della prova tecnica, vado a ritirare la maschera.

E la maschera, nella sua custodia blu e rame, è meravigliosa e perfetta. La prendo in mano, ed è giusta: né troppo pesante, né troppo leggera, bilanciata che è una bellezza. La guardo in faccia – e lei mi guarda a sua volta: bellissima, enigmatica, un nonnulla inquietante. La provo, e mi sento antica, e onnisciente… mi sento il Coro. Sono il Coro. Qui dietro niente può andare meno che bene, penso. È perfetta.

E la rimetto nella custodia, e parto, e vado a Ostiglia, e non ho più molto tempo per pensarci, perché la prova tecnica va come vanno le prove tecniche, e finiamo tardissimo, e c’è a malapena il tempo di fuggire a indossare il costume – e allora, e solo allora, sfodero la mia maschera, nella luce rossiccia dietro le quinte che non sono quinte affatto. E G. è incantata – si vede benissimo – e tutti lo sono.Chorus

E mi sistemo dietro una colonna, pronta per il mio ingresso – e guardo la maschera, e la maschera guarda me. Sono il Coro. Sono il Coro. La giga riempie l’aria, le luci si accendono, e io entro in scena – dietro la mia maschera.

La maschera di rame.

“Oh, aver qui una musa di fuoco…”

Sipario. Il resto è un’altra storia.

 

Ago 1, 2016 - teatro    Commenti disabilitati su Il Potere del Cappello

Il Potere del Cappello

anitagaribaldi3Provavasi Aninha, secoli orsono…

No, d’accordo – non secoli, but still un’invereconda quantità di anni orsono. Ad ogni modo, la si provava in vista del debutto, ed eravamo a quella fase delle prove in cui nulla ha ancora una forma precisa, e si scava faticosamente alla ricerca delle altre dimensioni dei personaggi, al di sotto e dietro le parole… Se tutto ciò vi sembra a mezza strada tra il criptico e l’eccentrico, è perché lo è. Bisogna esserci stati in mezzo, ma immaginate di nuotare nel caramello alla ricerca di pezzettini luccicanti.

Nello specifico, c’era Manuel Duarte, il primo marito di Aninha, che di pezzetti luccicanti non ne aveva ancora nemmeno uno. Era lì, diceva quel che doveva dire, assolveva alla sua funzione drammatica (povero Manuel!) e basta. E a teatro, diciamolo subito, assolvere alla propria funzione drammatica è necessario ma non, non, non sufficiente. A Manuel mancava una personalità. E continuava a mancare, prova dopo prova… C’era questa scena in particolare, in cui il pover’uomo chiede in moglie la giovanissima Aninha. È una piccola scena rivelatrice, una delle due che stabiliscono il carattere di Manuel – e tutto sommato faceva il suo mestiere, ma mancava sempre qualcosa. Era chiaro che poteva esserci molto di più – ma non c’era. Il bravo attore che interpretava Manuel cominciava a irritarsi, e io cominciavo a dubitare di avere sbagliato qualcosa nella scrittura della scena…

Finché G. la Regista se ne saltò fuori con l’ordine di trovare a Manuel un oggetto di scena. Manuel

“Un oggetto, un elemento, un qualcosa…”

Dopo un po’ di discussione, giungemmo alla conclusione che ci voleva un cappello. Ora, un cappello non sembra terribilmente caratterizzante, eppure…

Alla prova successiva, Manuel entrò in scena rigirandosi in mano il cappello, gualcendo la tesa nella più nervosa e incerta delle maniere. La sua offerta la fece al cappello, gettando solo qualche occhiata obliqua ad Aninha, e ritirando appena appena la testa tra le spalle a tratti, e strizzando la tesa tra le mani ad ogni tentativo di rifiuto da parte della ragazza…

Una cosa da levare il fiato: all’improvviso, Manuel Duarte era lì, personalità, tic, incertezze, tre dimensioni e tutto.

“Io l’avevo detto, di portarti un oggetto…” disse compiaciuta G. Ed era vero. L’aveva detto – e non solo quella volta. Lo dice spesso – e magari secca un pochino ammetterlo – ma, come la mamma, la Regista tende ad avere sempre ragione.

Red-Masquerade-Eye-MaskÈ successo anche questa volta, con SiW: il Coro… oh be’, il Coro non è qualcuno – è qualcosa, ma nondimeno aveva bisogno di una personalità, e non c’era. Non del tutto, almeno. Vagolavo un po’ incerta tra possibilità e possibilità, fino a quando non ho cominciato a portarmi la maschera. La maschera c’era fin da quasi subito, a livello teorico – e anzi, era stata oggetto di una vivace discussione sul fatto che io fossi un coro greco o un coro elisabettiano… Ma era, appunto, una maschera teorica, un gesto fatto qualche volta, un’idea. Nel momento in cui è apparsa, seppure in forma provvisorissima, le cose sono cambiate. Il Coro ha acquistato dimensioni e sicurezza… Immagino che, in un certo senso, abbia scoperto che fare di sé.

È stato come il Cappello di Manuel – con l’aggiunta delle connotazioni che vanno insieme alla maschera in sé. Un Cappello al Quadrato.

Lug 29, 2016 - elizabethana, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Di Giochi E Di Candele

Di Giochi E Di Candele

Player's BoyIn The Player’s Boy, Bryher racconta la vita di un apprendista attore che poi non diventa attore a cavallo tra i regni della Grande Elisabetta e di Giacomo VI e I. Bryher aveva una passione non solo accademica per il mondo elisabettiano, e in questo romanzo ne racconta il declino con un’intensità struggente. Il suo protagonista James Sands, orfano e sognatore, non è equipaggiato per essere felice mentre il suo mondo tramonta, e la sua parabola di occasioni mancate e aspirazioni calpestate, pur narrata in maniera un pochino episodica, è il genere di storie su cui mi sciolgo.

Ma ancora più rimarchevole del romanzo è la lettera dell’autrice che la mia edizione Paris Press pubblica in appendice. Bryher discute con un amico la sua passione per il mondo elisabettiano e la storia in generale, e conclude così (traduzione mia):

Sì, è questo il bello del “gioco”: la ricerca e l’occasionale scoperta. Se potessimo cambiare il corso del tempo per veder tornare [Sir Francis] Drake, sarebbe solo come vedere un ennesimo film. E’ tutto nello spulciare; nel tenere tra le mani, dopo vent’anni di duro lavoro, un singolo, minuscolo frammento che s’incastra con un altro pezzetto altrettanto incompleto; nel sapere che la soluzione del problema magari verrà in mente a qualcuno che non è ancora nato. E’ per tutto questo che il gioco vale come e più della candela.

funny_historian_tshirt-p235294641369602717qtdg_400.jpgDiscorso da storici – e forse sono d’accordo, almeno in parte. Non dico che mi dispiacerebbe poter dare un’occhiatina al ritorno di Drake, ma capisco in pieno il fascino della ricerca per la ricerca. Anche da un punto di vista narrativo (e sto parlando di narrativa a sfondo storico) la ricostruzione del personaggio, il lavoro paziente di rimettere insieme una personalità combinando fatti, aneddotica, speculazione, conoscenza dell’umana natura e intuizione, è forse la parte migliore del gioco. E’ possibile che il corollario di fittizietà renda leggermente più malsano il lavoro del romanziere rispetto a quello dello storico – anche solo perché, per l’autore e talvolta per i lettori, il personaggio fittizio finisce col diventare quasi più reale dei frammenti di fatti superstiti – ma il crescente numero di storici che sono anche romanzieri mostra che le due specie sono meno incompatibili tra loro di quanto possa sembrare. E la Sindrome di Bryher colpisce imparzialmente entrambe.

In realtà è una scelta lapalissiana, visto che non possiamo viaggiare nel tempo, ma possiamo studiare e ricostruire. Resta però il fatto che la fiamma puntigliosa e insaziabile della ricerca è una seria parte del fascino della storia, una parte che andrebbe perduta il giorno in cui il passato diventasse un altro posto che si può visitare – senza pregiudicare, presumibilmente, il mercato del romanzo storico.

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Oh, e per gli storici: la maglietta HISTORIAN – you’d be more interesting if you were dead si può acquistare qui.

Lug 27, 2016 - Shakespeare Year, teatro    Commenti disabilitati su Shakespeare in Words… Meno Otto

Shakespeare in Words… Meno Otto

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Otto giorni al debutto, e… well, non siamo pronti, ovviamente. Se lo fossimo, sarebbe allarmante.

Siamo in quella iridescente situazione in cui, nel corso delle quotidiane – quotidianissime – prove, si nuota tra gli inceppi, gli impicci e le magagne, e a tratti si vedono lampi di Come Dovrebbe Essere.

La forma dello spettacolo c’è. L’abbiamo intravista tutti, in qualche momento… Magari mentre provavamo con la musica (vi ho detto che avremo in scena due favolosi musici? Contrabbasso e timpani?), oppure durante un tentativo di filata, o ancora mentre riprovavamo per la terza volta di fila il blocking di una scena.

E ogni volta c’era qualcosa qualcosa, ma mancava qualcosa d’altro.

Oh, non so se sono preoccupata davvero… Voglio dire: lo sono – e a morte – perché da quattro anni non recitavo una singola battuta davanti a un pubblico, e quindi sono terrorizzata-terrorizzatissima, ma per quanto riguarda l’insieme dello spettacolo siamo perfettamente all’interno di quella che in teatro va sotto il nome di normalità. È la faticosa, intensa, puntigliosa Penultima Settimana – e, se non si può dire che tutto vada bene, è tuttavia vero che va come deve andare.

Se non fossi terrorizzata-terrorizzatissima, credo che sarei teatralmente tranquilla, in attesa dello scoppio della tradizionale Crisi Catartica dell’Ultima Settimana, un po’ in pensiero per il disegno luci – ma nulla di più. Stando le cose come stanno… Rehearse

Eh.

C’era un motivo, se avevo smesso, e me ne sto ricordando con terrificante vividezza – ay de mi.

Ma non fate troppo caso a me. Shakespeare in Words sta crescendo con ogni prova. Ci pensavo ieri sera, mentre galoppavo (in ritardo, tanto per cambiare) verso la sala prove provvisoria con un mantello, uno sgabello, una maschera, il copione, il prompt book e una bottiglietta di autan. Ci pensavo con quel misto di soddisfazione, anticipazione, frustrazione e lepidotteri (ugh!) nello stomaco che ho imparato a considerare naturale quando si tratta di teatro: non ci siamo, non ci siamo affatto, non ci siamo ancora – ma siamo al punto in cui è chiaro che, al momento giusto, ci saremo.

Vi aspetto giovedì 4?

Mag 27, 2016 - libri, libri e libri, romanzo storico, Shakeloviana, Shakespeare Year, teatro    Commenti disabilitati su Liste, Pagine, Letture…

Liste, Pagine, Letture…

ShakelovianaVi ricordate di Shakeloviana?

Romanzi, teatro, cinema, radio… A est della Manica fatichiamo a immaginare la quantità di storie che il mondo anglosassone ha dedicato all’uno e all’altro. E non è soltanto una questione di quantità, ma anche di selvaggia varietà: romanzi storici in senso stretto, ça va sans dire, ma anche gialli, ucronie, rinarrazioni, fantasy, spionaggio, metateatro, storie di fantasmi, la Questione del Vero Autore, l’omicidio a Deptford…

A patto che ci fossero in scena Marlowe e/o Shakespeare, andava bene, giusto?

Da un certo numero di anni vado a caccia di queste cose – e poi ci posto su. Molto di questo lavoro (such hardships!) risale al 2014 – anno di Shakespeare & Marlowe – ma poi mi sono detta: perché non continuare? E, già che ci siamo, perché non dedicare alla faccenda una pagina accessibile dalla colonna qui a destra? Da tempo mi proponevo di farlo, e adesso, con l’Anno Shakespeariano, è arrivato il momento.

E sì, il festeggiato deve dividere la lista con Kit Marlowe – ma mettiamola così: nel 2093 Shakespeare si prenderà la sua rivincita.

Per ora, la pagina si trova qui.

Mag 23, 2016 - Storia&storie, teatro    Commenti disabilitati su Di Viaggi nel Tempo

Di Viaggi nel Tempo

sfilata-palio-di-FerraraE così il Palio è stato. O meglio – niente affatto: è appena iniziato, perché l’omaggio al Duca è stato solo l’inizio – ma che inizio!

Dovete considerare che la mia esperienza di rievocazioni era… be’, era un sacco di cose, a ben vedere.

Da un lato, ho avuto a che fare con dei rievocatori, per dire così, da fuori. Di solito si trattava di malguidati tentativi di far interagire teatranti e rievocatori nel modo sbagliato. Perché il punto si è che, in linea generale, rievocatori e tratranti vogliono cose diverse. Si rievoca per ricreare un’epoca passata tanto accuratamente quanto si può, con somma attenzione ai particolari più minuti. In teatro, invece, si prendono scorciatoie, si tagliano angoli, si ignora con allegro sollievo tutto quel che non si vede dalla prima fila di platea, si adorano cerniere e velcro – ma soprattutto, non si ricrea: si evoca, si suggerisce, si richiama, si inclina a 45° gradi e si tinge di violetto… Cattura

Morale: i rievocatori inorridiscono davanti al costume teatrale medio e i teatranti levano gli occhi al cielo di fronte al rigore dei rievocatori. Mescolarli e farli lavorare insieme non sempre funziona. A me era capitato un po’ di tutto – dalle volte in cui proprio non aveva funzionato a quelle in cui si era rimasti a guardarsi sospettosamente da una riva all’altra del fossato… E poi c’erano i rievocatori che ho conosciuto di qua e di là senza vederli veramente all’opera. Compagni di studi, colleghi, amici, conoscenze occasionali… Gente che tornava dalla rievocazione della battaglia di Prestonpans definendo uno zigomo e un pollice fratturati come “roba da nulla” o che poteva passare ore e ore e ore a disquisire di fucili ad avancarica attraverso i secoli… Disse la donna che può passare ore e ore e ore a disquisire di minuzie teatral-elisabettiane – per cui sì, forse dovrei sentire più vicinanza di spirito con i rievocatori, ma devo confessare che almeno alcuni di loro mi fanno lievemente paura.

Untitled 40Dall’altro lato, però, desideravo molto partecipare a una rievocazione vera e propria, indossare uno di quei costumi meravigliosi, sperimentare questo genere di sguardo sui secoli passati…

E  il Palio di Ferrara mi ha dato ragione su questo secondo aspetto, modificando al tempo stesso molte delle mie idee in fatto di rievocatori&teatro.

Intanto, è chiaro che esiste un modo giusto per mescolare le due cose: con Hic Sunt Histriones siamo stati inseriti nel lato più teatrale della faccenda – in cui, una volta rivestiti come si doveva, potevamo interagire alla perfezione con i membri della Corte Ducale. In secondo luogo c’era G., histrio e rievocatrice – posizionata perfettamente a cavallo del fossato e in grado di fungere da cerniera tra i due mondi. È stata lei a Untitled 42volere me e gli Histriones – del che le sono grata. A parte il fatto che è stato molto divertente scrivere in endecasillabi simil-ariosteschi, e che ho conosciuto un simpatico gruppo di cortigiani ducali, tanto appassionati di storia quanto disponibili verso i nuovi venuti – ebbe, a parte tutto questo ho avuto l’occasione di sfilare nel corteo indossando uno di quei meravigliosi costumi di cui si diceva – una tra i millecinquecento figuranti, al suono dei tamburi e delle trombe, lungo le vie di Ferrara antica, mentre cadeva il crepuscolo… Che devo dire? È stato emozionante. Smaltito il timore di pestarmi la gonna – e quello di sollevarla troppo nel tentativo di non pestarla (perché il magnifico costume era stato pensato per gente più alta di me…), mi sono persa nell’impressione che certe cose non fossero cambiate poi troppo negli ultimi cinque secoli e moneta… E poi lo spettacolo – o meglio, gli spettacoli di corte e contrade, nove in tutto, con punte di rimarchevole bellezza e, per lo più, nulla di troppo diverso da quel che avrebbero potuto vedere, all’epoca, i personaggi che interpretavamo seduti sul palco ducale.

Dopodiché, essendo quel che sono, non mi sono saputa impedire di strologar storie attorno alla mia dama in rosso, alle sue circostanze e alla gente che aveva attorno… Ma in fondo, ditemi: avete idea di un singolo motivo per cui, nella sera azzurra e nella città d’oro rosso, al suono delle trombe e al garrire dei gonfaloni, me lo sarei dovuto impedire affatto?

Mag 13, 2016 - lostintranslation, romanzo storico, scribblemania, teatro    Commenti disabilitati su Piccolo Bollettino Generale

Piccolo Bollettino Generale

draft announcingAllora, ricapitoliamo, volete? Una volta consegnato il Serpente è arrivato il momento di quella che, se tutto va bene, sarà l’ultima e definitiva stesura del romanzo.

La Terza Stesura.

No, non c’è un contaparole, perché questa volta non funziona così. Sto asciugando, per cominciare, e assottigliando, e potando, e sfoltendo, e tagliuzzando, e sfrondando, e snellendo – e quindi un contaparole sarebbe di scarso aiuto. Magari lo sarà di più quando inizierò ad aggiungere le scene che ho lasciato indietro nella seconda stesura… Potrei forse organizzare uno di quegli arnesi che, anziché le parole, contano i capitoli. Questo magari sì, perché sto procedendo capitolo per capitolo… Non in ordine – perché mai in ordine? Ieri ho lavorato sul quinto capitolo, oggi sul secondo, domani ancora un po’ di secondo e poi il terzo entro la fine della settimana. Il quarto è già a posto. Sentite: sul campo ha più senso di quanto possa sembrare dalla descrizione – e ad ogni modo potrei davvero aggiungere un contacapitoli.

Ma in fondo è lo stesso. Quel che importa è che va piuttosto bene. Per lo più si tratta di aggiustare e potare. Ho eliminato qualcosa, girato come un guanto qualcos’altro, non ho ancora deciso che fare dell’abominevole William Bradley (tre o quattrocento parole…) e in questa stesura il protagonista litiga molto di più con suo fratello. Nel complesso: so far, so good.

Nel frattempo ci sono in corso altre cose, naturalmente. Draft

1) Il Project F. Questo è una traduzione… Una terrificante traduzione con secondi fini di natura teatrale. Dico che è terrificante perché sotto molti aspetti è un sogno che si realizza, ma mi rendo conto di essermi assunta un compito dannatamente complicato – e per di più me lo sono assunto da miscredente. Quante volte ho detto di non avere un briciolo di fede nella traduzione letteraria? Ebbene, eccomi qui, ma non è come se fossi convertita o nulla del genere. Sono quei secondi fini che vi dicevo e nient’altro. È una traduzione strettamente mirata, e con l’intenzione di riprodurre una serie di idee e condizioni, più che altro… Ma basta così. Dopo tutto, se fosse facile forse non ne varrebbe la pena, giusto? Vi farò sapere.

2) L’editing. Un editing in Inglese che promette molto bene. Su un tipo di testo diverso dal consueto. Non sono certa di avere una zona di sicurezza in fatto di editing, e di sicuro, se ne avessi una, tutto questo è troppo piacevole per poterlo considerare un’escursione… Ma di sicuro è qualcosa che non ho mai fatto prima, à la Colazione da Tiffany – e ciò è bello e anche istruttivo.

3) BJ è un racconto. Quasi quattromila parole. Non ne sono affatto insoddisfatta, tanto che mi piacerebbe mandarlo a un concorso di una certa importanza. Peccato che il concorso accetti testi fino a 2500 parole. E duemilacinquecento sono meno di quasi quattromila. Un bel po’ di meno. Quindi sto cercando di capire se vale la pena di provarci. Se posso ridurre BJ alle dimensioni necessarie senza danneggiarlo irreparabilmente. Per ora sono alla fase potatura – con risultati modesti. La settimana prossima comincio a rimuginare su eventuali amputazioni.

Ecco, più o meno è così che funziona. Poi ci sono gli altri lavori, le traduzioni di saggistica, le revisioni, e le idee di tre plays – una vecchia, una nuova e una di mezz’età – che strillano Scrivimiscrivimiscrivimi… Ma quello per ora è rumore di fondo.

More to come. E sarà bene che torni al lavoro.

Mag 11, 2016 - Shakespeare Year, Storia&storie, teatro    Commenti disabilitati su La Dura Vita del Teatrante Elisabettiano

La Dura Vita del Teatrante Elisabettiano

fortune.jpgOra, se c’è una forma artistica per cui l’Inghilterra elisabettiana è più nota di altre, è senz’altro il teatro, il che è quasi paradossale quando si considera la posizione di teatro e teatranti nella società dell’epoca.

Da un lato vigeva un ostracismo sociale alquanto rigido: il teatro era considerato immorale, e teoricamente confinato al di fuori dagli spazi cittadini. La maggior parte degli attori e autori abitava fuori dalle mura di Londra propriamente detta e, se le locande e i palazzi che ospitavano le rappresentazioni si trovavano spesso dentro la città, i primi teatri costruiti appositamente per l’uso delle compagnie (come il Theatre, il Curtain e il Rose) sorsero a Norton Folgate o a Southwark, dove erano facilmente raggiungibili e, al tempo stesso, fuori dalla giurisdizione delle autorità cittadine londinesi. Non aiutava particolarmente che il teatro fosse spesso connesso ad altre attività ritenute fonte di corruzione: Philip Henslowe, uno dei più celebri impresari del tempo, si occupava abbondantemente di combattimenti di orsi e galli, e possedeva diversi bordelli. Tra le varie carriere connesse con il teatro, quella di attore seguiva le regole dell’apprendistato, pur senza averne la struttura formale: i ragazzi cominciavano giovanissimi, nelle compagnie di bambini, oppure sotto la guida di un attore adulto, svolgendo mansioni di servi di scena e interpretando comparse e ruoli femminili. L’idea che un bambini e adolescenti apparissero in scena in abiti da donna era considerata malsana e, tanto per cambiare, immorale.

Si tende a credere che attori e scrittori fossero gente violenta e sregolata, ma almeno questo è un globe.jpgpregiudizio che può essere ridimensionato. È vero che Ben Jonson e Thomas Watson uccisero un uomo ciascuno, che Marlowe morì accoltellato in circostanze dubbie, che Greene fu più volte arrestato per rissa, ma stiamo parlando di un’epoca violenta e con un tasso di criminalità stratosferico: francamente non credo che i playwrights fossero molto più sregolati di molti loro contemporanei – di certo erano personaggi pubblici, e mai in una luce favorevole.

Tutto considerato, non fa meraviglia che scrivere per il teatro fosse considerata una degradazione per un uomo di lettere – ciò che non impedì a tutta una generazione di poeti usciti da Oxford e Cambridge di darsi alla drammaturgia con straordinario successo. Era una carriera malcerta nella migliore delle ipotesi, tuttavia: i diritti d’autore non esistevano, e lo scrittore perdeva qualsiasi controllo sulla sua opera nel momento in cui la vendeva a una compagnia – di solito per cifre non astronomiche. Per il Tamerlano, Marlowe ricevette quattro sterline e mezzo all’acquisto, e poi i proventi della seconda giornata (poco meno di quattro sterline). Era una volta e mezzo l’appannaggio annuo di un parroco di campagna, ma la scala di valutazione cambia quando si considera che la Compagnia dell’Ammiraglio, che comprò il Tamerlano, poteva spendere quattro o cinque sterline per un singolo costume femminile. Inoltre i guadagni restavano sempre aleatori, perché il gusto della folla era mutevole, e il Master of Revels, il funzionario regio preposto alla supervisione degl’intrattenimenti, il Lord Mayor e il Privy Council potevano chiudere i teatri in ogni momento per qualsiasi motivo di ordine pubblico. Durante queste sospensioni, che potevano durare mesi, le compagnie, pur relativamente tutelate dal fatto di “appartenere” al loro mecenate (di cui gli attori ufficialmente portavano la livrea), non avevano altra scelta che andarsene a recitare nelle provincie. Quel che è certo è che in questi periodi non compravano testi nuovi, e gli autori erano lasciati ad arrangiarsi come meglio potevano.

inn-yard.jpgSi può dire che nessun playwright dell’epoca vivesse di solo teatro. Tutti scrivevano poesie, saggi, libelli e qualsiasi cosa potessero vendere o dedicare a qualche danaroso mecenate, e molti avevano una seconda carriera: Shakespeare e Ben Jonson recitavano nelle rispettive compagnie, Thomas Kyd faceva lo scrivano, Robert Greene era un libellista particolarmente velenoso (e comunque morì in miseria), Beaumont era avvocato (oltre che ricco di famiglia e poi sposato a una donna ricca), Marlowe, Watson, Nashe e altri lavoravano più o meno saltuariamente per il servizio segreto di Sir Francis Walsingham. Nel complesso, arricchirsi era più facile per un attore che per un autore: Edward Alleyn, stella delle scene londinesi per decenni, morì ricchissimo dopo avere fondato persino un collegio. Shakespeare si arricchì perché era azionista della sua compagnia – e perché aveva un solido senso degli affari.

Dall’altra parte c’era però la frenetica passione che tutta Londra dedicava al teatro, a partire dalla Regina fino ai popolani che pagavano un penny per assistere in piedi, mangiando salsicce e ululando il swan.jpgloro favore o sfavore. Era di moda tra i grandi cortigiani finanziare una compagnia che portava il loro nome (The Admiral’s Men, The Chamberlain’s Men…), ed Elisabetta stessa portò l’uso nella famiglia reale (The Queen’s Men). Va detto che l’augusta protezione non si estendeva praticamente mai all’autore, cui in compenso non era difficile crearsi nemici potenti scrivendo le cose sbagliate. La Grande Bess condivideva il gusto non eccessivamente raffinato dei suoi sudditi: a teatro le piaceva ridere, e Tarlton, il buffone della sua compagnia personale, era celebre per la quantità di scurrili licenze che poteva prendersi davanti alla sua sovrana. Le cosiddette burle (improvvisazioni in prosa, generalmente trivialucce anzichenò) erano moneta corrente persino nelle tragedie più truci o e nei drammi più lacrimevoli. Quando volle che il suo Tamerlano fosse rappresentato senza burle, Marlowe creò sensazione; il fatto che Ned Alleyn, il giovane ma già celebre primattore dell’Ammiraglio, fosse disposto a rinunciare a un elemento di sicura presa sul pubblico la dice lunga sull’impatto del genio di Marlowe e sull’acume di Alleyn.

Resta il fatto che, se avesse voluto, Ned Alleyn avrebbe potuto ignorare del tutto le intenzioni di Marlowe: aveva comprato la tragedia e poteva farne quello che voleva; per di più, i teatri pullulavano sempre di copisti che cercavano di trascrivere quello che potevano del testo, che veniva poi stampato in versioni fantasiose, e venduto senza che l’autore potesse metterci becco o riceverne un singolo penny.

Insomma, considerando l’ostracismo sociale, i guadagni moderati e non troppo sicuri, lo scarso riconoscimento e le molte difficoltà, viene da chiedersi che cosa motivasse le schiere di autori teatrali tra il tardo Cinquecento e il primo Seicento. Se dovessi fare un’ipotesi direi sete di gloria – per effimera che fosse – e l’eccitazione della vita teatrale, e un buon livello di pragmatismo… Ma di certo doveva esserci anche una sincera passione per la loro arte e per l’incandescenza artistica e umana di un teatro in fieri.