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Set 22, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Shakeloviana: Christoferus – or Tom Kyd’s Revenge

KydQuesto romanzo ha una premessa inconsueta, una favolosa e individualissima voce narrante, un punto di vista diverso dal solito e un finale così così.

Ora non so voi, ma personalmente non ho mai considerato Thomas Kyd il più interessante tra i drammaturghi elisabettiani: l’idea diffusa è quella dell’Autore Di Un Solo Titolo (The Spanish Tragedy, molto truculenta), una brava e lamentosa persona ai margini del suo ambiente per mancanza di titolo accademico e personalità fiammeggiante, implicato suo malgrado nei guai di Marlowe, indotto ad incriminare il suo più celebre e brillante collega a forza di tortura… non precisamente un eroe da romanzo, vero? E infatti, ammesso che compaia in narrativa o a teatro, tende a comparirci nelle vesti di comprimario dimesso, bilioso e sfortunato. Quello che ha i complessi perché non è andato all’università, quello che ha scritto una singola tragedia di enorme successo e poi più nulla, quello che paga un’amicizia sbagliata con la tortura e poi sparisce nell’oblio.

E invece Robin Chapman cambia le carte in tavola, facendo di Tom Kyd un uomo fascinoso e brillante, un autore di successo, mentore, amico, amante e sodale artistico di Marlowe, traditore involontario sotto i terribili ferri di Topcliffe, e per questo intento a vendicare sé stesso e il defunto Kit. Gli scrittori sono una genia di perfidi manipolatori: la storia di Christoferus non è sempre  del tutto credibile – alla luce delle fonti – ma è così ben raccontata che si chiude volentieri un occhio e ci si lascia trascinare. Fino al finale, un po’ blando, un po’ irrisolto e con qualche libertà storica di troppo. Ecco, magari il finale non è il più piacevole dei risvegli, ma a maggior ragione ci si dispiace di avere finito il libro, dopo trecento e tante pagine trascorse in una magnifica Inghilterra elisabettiana, intensa, dorata e pericolosa, popolata di gente affascinante e infida, retta su una combinazione di menzogne, paura e splendore…

E poi la scrittura… ah, la scrittura. La scrittura è meravigliosa: vivida, piena di luce e ombra, ricca, appagante – miele, velluto e filigrana, per dare un’idea. Ma miele di castagno, quello amarognolo… E sì, d’accordo – mi fermo qui, ma che posso farci se il giusto tipo di scrittura mi manda in visibilio e mi mette i brividini giù per la schiena?

Ma torniamo a noi. In tutto questo, Marlowe? Presente nel lungo flashback che costituisce due buoni terzi del romanzo, è il ragazzo di genio che nasconde l’insicurezza di fondo dietro una maschera di arroganza irriverente. Fiammeggiante, irragionevole e ingenuo, Kit si metterebbe nei guai molto più spesso e molto prima, se non ci fosse Tom a badare a lui… poi naturalmente ci riesce benissimo lo stesso – ma parte dell’interesse della storia sta nel vedere in che modo non sia tutta colpa sua…

Ah, peccato, peccato, cento volte peccato per quel finale che si affloscia – ma anche così, la lettura vale del tutto la pena. E poi si può sempre giocare a “Come L’Avrei Finito Io”…

E se a questo punto siete incuriositi, Christoferus si trova su Amazon.

Set 8, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: La Scuola Della Notte

Shakeloviana: La Scuola Della Notte

School_of_Night_Photo_9The School of Night, di Peter Whelan (classe 1931) è uscito nel 1992: due atti in prosa che mescolano sogni premonitori, commedia dell’arte e intrighi politici in una magione di campagna. Il favore della Regina, spie in abbondanza, Walter Ralegh in disgrazia, una moglie gelosa, uno Shakespeare in incognito, accuse di ateismo, assassini prezzolati… c’è davvero tutto e l’acquaio della cucina, in questo play – forse persino troppo.

L’idea di partenza sembra quella di raccogliere a Scadbury, la casa avita di Tom Walsingham, la maggior parte dei personaggi della vita di Kit Marlowe – e siccome siamo avanti nel maggio del 1593, noi sappiamo che la resa dei conti è vicina… Come spesso accade in questo genere di storie, molta della tensione si basa sul fatto che il lettore/spettatore sia consapevole del conto alla rovescia, il che non è un gran problema nel mondo anglosassone, ma devo domandarmi – e non solo a proposito di Whelan: sarebbe altrettanto efficace, questa storia, letta o vista con occhi ignari?School

Oh, well. In realtà, che Kit sia nei guai è evidente fin quasi dall’aprirsi del sipario. Scandalizzatore di professione, esploratore di cose proibite, impaziente e beffardo – ma spaventato. Si credeva più invulnerabile di quanto si scopra, ed è uno shock. La sfrontatezza si rivela presto per una facciata e una tattica difensiva, mentre intorno a lui si infittiscono gli intrighi e le minacce. E al centro di tutto sembra essere l’eponima Scuola della Notte, il gruppo di liberi pensatori, scienziati e stregoni dilettanti che un tempo si riuniva a Durham House sotto l’ala di Sir Walter Raleigh, e i cui membri cominciano a domandarsi con qualche nervosismo se ci si possa fidare davvero di Kit Marlowe…

Shakespeare entra in scena sotto falso nome, come un attore avventizio di molto buon senso e scarsa capigliatura, chiamato Tom Stone. La ragione non è chiarissimissima – e il modo in cui Whelan cerca di girare attorno al fatto che a questo punto in scena ci siano ben tre Thomas/Tom* suona forzatello anzichenò.

Tutto il resto è Kit che si dibatte mentre il passato torna a morderlo, il presente si complica e il futuro si fa viepiù incerto – ma prima deve venire a patti con l’idea che il calcatavole illetterato che non si chiama Tom Stone sia destinato a sorpassarlo in arte e in fama…

SchoolofnightRicordo di avere letto una recensione secondo cui questo dramma non ha le idee chiare – parte teatro e parte dissertazione accademica. Si trattava, detto per inciso, di una recensione americana: le recensioni britanniche ne apprezzano lo spirito brillante, lo humour cinico e la caratterizzazione. Tendo a concordare con i recensori inglesi, con l’eccezione delle caratterizzazioni: Marlowe, spavaldo, diffidente e visionario, è disegnato con cura, ma gli altri personaggi diventano sempre più piatti e generici mano a mano che ci si allontana dal protagonista. Un’altro aspetto bizzarro sono le indicazioni di scena che suggeriscono pensieri, implicazioni e subtesto… Da un punto di vista teatrale è una cosa dannatamente ingombrante – ma non si può negare che dia al testo una certa qualità narrativa, più adatta alla lettura di molti altri lavori teatrali.

E se voleste provarci, e a patto di avere un po’ di pazienza, The School of Night si trova su Amazon.

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* C’è un altro play, di D.E. Lillie – che ancora non sono riuscita a leggere – il cui programma di sala vanta “non meno di tre personaggi di nome Tom”… E in effetti, nella storia di Marlowe c’è una scomoda densità di Tommasi: Thomas Walsingham, Thomas Nashe, Thomas Kyd, Thomas Watson – e sono già quattro. Poi, a voler vedere, ci sarebbero anche Thomas Lodge, Thomas Dekker, Thomas Middleton…

Set 1, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Kit Marlowe

Shakeloviana: Kit Marlowe

138Kit Marlowe, di David Grimm, è stato prodotto per la prima volta nel 2000 ed è, tutto sommato, una strana bestia.

È un drammone affascinate ed eccessivo in tutto: linguaggio, effetti, complicatissime note di scena, quantità di personaggi, omicidi in scena, oscenità, sangue a secchiate, scene madri, voli pindarici… E tutto è gonfio e truce e rutilante.

Il Kit eponimo se ne va attorno in una frenesia di estremi – vitale e suicida, fiammeggiante e spaventato, assetato di conoscenza e ossessivo. È un Tamerlano pieno di nevrosi, un Faustus che vende l’anima a Walsingham anziché al diavolo, un Guisa vorrei-ma-non-posso, e alla fine un Edoardo che si sacrifica per il suo Gaveston (un Tom Walsingham tra soggiogato e disilluso).

Ci sono scene, come la navigazione notturna con Sir Walter Raleigh, che devono essere un incubo registico – ma, a patto di farle come si deve, hanno una potenza innegabile. Altre, come il passaggio in cui Kit si mette deliberatamente nei guai con il libello anti-olandese per sfidare il Servizio, non starebbero male in un film muto. E ad essere sinceri, si ha la sensazione che ad abbondare sia il melodramma al quadrato, e non è come se il linguaggio lussureggiante e sovraccarico fosse di grande aiuto – o forse sì?

Non ho mai visto questo play in scena, ma mi piacerebbe molto sentire come funziona in teatro – proprio perché già la lettura è un’esperienza singolare: irritante nella sua purpurea sovrabbondanza, eppure – eppure…

Perché il fatto è, vedete, che tutto ciò è così vivido, e così – non c’è altra parola – marloviano. DGKM

Non si può fare a meno di pensare che un nonnulla di misura, qualche taglio qua e là, qualche fioritura metaforica in meno e un uso più sottile dei simboli gioverebbero al risultato complessivo, ma a dire il vero, quale tragedia elisabettiana – e soprattutto quale tragedia di Marlowe – era misurata, sobria e sottile? Grimm può avere peccato di zelo, ma di sicuro ha colto un certo spirito, e l’ha colto in modo tanto acuto che persino il suo melodrammatico finale riesce a suonare, in qualche modo, quasi credibile.

Naturalmente, di traduzioni nemmeno l’ombra. Consiglio la lettura? Francamente, non lo so. Come ho detto, è un’esperienza – e a me alla fin fine è piaciuto – ma ammetto che forse richiede un nonnulla di dedizione alla causa. Se siete interessati, tuttavia, Kit Marlowe si trova su Amazon.

 

Ago 29, 2014 - Vitarelle e Rotelle    4 Comments

Compagnia Di Repertorio

Che sembra – ma non è – un altro post sul teatro. Almeno non del tutto. In realtà parliamo di scrittura in generale, e cominciamo con Gore Vidal. Gore Vidal diceva che…

“Ogni scrittore nasce con una compagnia di repertorio in mente. Shakespeare ne ha una ventina, Tennessee Williams più o meno cinque, e Samuel Becket uno – e un possibile clone di quell’uno. […] L’abilità nell’assegnare i ruoli è qualcosa che migliora con la maturità.”*

Immagine1Non so voi, ma personalmente la trovo un’idea meravigliosa – per le implicazioni teatrali (tutta la narrativa è teatro e lo scrittore diventa anche regista…) e per la faccenda in sé: non personaggi ricorrenti, badate, ma tipi di personaggi. Ruoli. Archetipi personali, se volete, che naturalmente dipendono dalle intenzioni, dai temi prediletti, dal gusto, dalla formazione, dalle paure, dai desideri e dalle ossessioni dell’autore – ma anche dal genere in cui scrive e dal contesto storico, letterario e culturale in cui legge, pensa, lavora.

Gente che ritorna.

La fanciulla preternaturalmente perfetta di Dickens, memoria della defunta cognata Mary Hograth, ripetut(issim)amente idealizzata nelle varie Nell, Rose, Emma, Florence, e con lei l’Orfanello/a, il Padre Inutile, il Giovane di Belle Speranze Intralciato dai Postumi di un’Infanzia Infelice, l’Amico Inaffidabile… Poi c’è l’ambizioso di umili origini, inarrestabile e amorale, di Marlowe, combinazione di autoritratto e wishful thinking. Il marinaio sradicato e inquieto di Conrad, sempre affiancato da una donna che cerca di ancorarlo a sé e da un amico-mentore-figura semipaterna.  Il byroniano bello, spregiudicato e tragico della giovane Charlotte Brontë, cui fanno da contrappunto da un lato il professore spigoloso e intelligente modellato sul suo amore impossibile, e dall’altro l’essenziale mascalzone che occupa sempre il centro nelle storie di suo fratello Branwell…

Col che non voglio dire che tutti costoro scrivano sempre la stessa storia o lo stesso personaggio – anzi. Guardate Tamerlano, Barabbas e Faustus: sono personaggi molto diversi tra loro, ma incarnano diversamente un certo tipo di preoccupazioni, una certa visione dell’umanità, un certo attrito con un ambito sociale e culturale. Una voce. E se cito Marlowe non è perché Marlowe sia una mia ossessione… Oh, d’accordo – anche per quello, ma il fatto è che Marlowe è perfetto per illustrare il tema, perché è meno condizionato di altri dalle convenzioni di genere, e perché i tre personaggi in questione furono interpretati per la prima volta dallo stesso attore – Edward Alleyn – in un elegante parallelismo tra metafora e realtà. 55105408

Il fatto che Shakespeare invece di questi “attori” ne abbia a decine, ce lo fa immaginare meno ossessionato da se stesso e dalla sua vita, più interessato di altri all’osservazione dell’umanità at large. Una compagnia talmente numerosa e variegata che l’autore sparisce e si confonde tra i suoi attori…

Così adesso ho deciso di mettermi a fare un piccolo inventario, e vedere chi ho nei camerini del mio teatro immaginario. Chi è che mando in scena e come. Magari ne parleremo. E intanto, ditemi, o Lettori: da chi è costituita la vostra compagnia di repertorio?

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* E a dire il vero mi è capitato d’incontrare anche un’altra versione, in cui gli “attori” di Shakespeare sono ben cinquanta, e ad averne uno solo è Hemingway… sospetto che sia inaccurata, ma la cito lo stesso, seppure in nota, perché mi piace la parte su Hemingway.

Ago 25, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: L’Informatore

Shakeloviana: L’Informatore

SilbertITPer una volta parliamo di un libro tradotto in Italiano – e indovinate un po’? Non è un granché.

Due piani temporali – e fin qui tutto bene. Kit Marlowe nel 1593 e Kate Morgan ai giorni nostri – e già la scelta del nome dell’eroina non sembra prometere il massimo della sottigliezza. Voglio dire, nomen omen nel 21° secolo? Andiamo! Tanto più che Kate è laureata in storia e letteratura elisabettiana, ma si è messa a fare l’investigatore privato e l’agente della CIA… Eh già: letterata & spia, proprio come il suo semiomonimo quattro secoli prima.

Hmf.

Ma ancora non basta perché, guarda un po’ il destino, a Kate capita il caso di un misteriosissimo manoscritto riemerso dopo secoli, e di che si deve trattare, se non di qualcosa di elisabettiano cifrato da Thomas Phelipes, il crittografo e steganografo di Sir Francis Walsingham – nonché collega di Kit Marlowe?

E così le due storie si intrecciano viepiù, mentre entrambi i protagonisti cercano qualcosa e hanno perso qualcuno – e se la parte elisabettiana tutto sommato può anche funzionare, è un gran peccato che sia sacrificata, sacrificatissima al lato moderno, che è scritto molto peggio e che procede saltellon-saltelloni, farcito d’improbabilità, coincidenze, divagazioni e clichés verso un finale affrettato e pasticciato…

Tanto la quarta di copertina quanto la popolazione della metà moderna si affannano prima di subito ad informarci di quel che accade a Kit a Deptford – qualora lo ignorassimo – ma tanta insistenza sa un pochino di coda di paglia: scrivere un duplice thriller di cui per metà il lettore conosce già l’esito richiederebbe una spudorata abilità nel confondere le carte, seminando sorprese e dubbi lungo la strada… cosa che in questo libro, alas, non succede affatto. Chiaramente si vorrebbe che, sapendo di Deptford, ci sentissimo in ansia per il modo in cui la sorte di Kate sembra destinata a seguire il binario della sorte di Kit… Il guaio è che non funziona e, se funzionasse, Kate è un personaggio talmente piatto e convenzionale che avremmo difficoltà a sentirci in ansia per lei. Silbert

Ripeto, la parte elisabettiana è leggermente migliore. È quasi un peccato che la Silbert non si sia limitata a un romanzo storico sul servizio segreto di Sir Francis Walsingham prima e dei Cecil/di Essex poi… Solo che poi si getta un’occhiata alla bio dell’autrice in cerca di lumi sulle ragioni di questa malguidata commistione, e si scopre che Leslie Silbert è laureata (a Harvard) in storia e letteratura elisabettiana e fa l’investigatrice privata con un collega ex CIA… Se è tutto vero, spiega molte cose – e deve essere il motivo per cui a qualcuno è parso bello pubblicare il romanzo. Se non lo è, come tattica di marketing forse non è stata la più sottile delle scelte.

E ad ogni modo, se proprio volete un enigma legato a The Intelligencer/L’Informatore, ve ne propongo uno io: perché, perché, perché, con tutti i buoni e ottimi libri su Kit Marlowe che l’editoria anglosassone ha prodotto, in Italia deve essere arrivato proprio questo?

 

Ago 20, 2014 - elizabethana, Storia&storie    Commenti disabilitati su Casa Andreasi – Di Nuovo

Casa Andreasi – Di Nuovo

Nachleben.

Non mi sentirete spesso ammettere che una parola tedesca è bella, ma Nachleben, dite quel che volete, lo è. La vita dopo. Dopo la morte, si capisce – ma nel senso letterario della fama postuma di un artista. In questo caso di un poeta – anzi, di due.

Perché questa sera torno a Casa Andreasi per una chiacchierata sulla fama postuma di Kit&Will. E ammettiamolo, è una fama postuma intricata come un romanzo… Uno, e non due – perché, nemmeno a farlo apposta, le due fame postume s’intrecciano più di una volta, attraverso quattro secoli di storia letteraria, teatrale, filosofica, imperiale…

Senza considerare il diluvio di bizzarrie, falsificazioni, iniziative dissennate, colpi di teatro, riscritture, dubbi, risse nelle strade, speculazioni selvagge, souvenir di legno di gelso – e qualche sorpresa… Davvero non ci si annoia mai, con questi due. E quindi, se siete nei dintorni, vi aspetto questa sera a casa Andreasi…

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E considerando il meteo in questo periodo, vale la pena di avvisarvi che, in caso di maltempo, bagoleremo al coperto, nella bellissima sala conferenze della dimora.

Ago 18, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Shakeloviana: Whiskey And Water

Cover of "Whiskey and Water: A Novel of t...E questa è un’altra di quelle serie in cui sono entrata da un volume successivo al primo – perché in quel volume c’era Marlowe. Che vogliamo farci?

Ad ogni modo, con la serie chiamata The Promethean Age Elizabeth Bear ha creato un mondo complicato e iridescente, in cui esseri fatati ed esseri umani convivono, per lo più in cauta sfiducia e occasionali sconfinamenti – e ogni tanto si fanno la guerra. A fare da sentinella dal lato umano è il Prometheus Club, una società segreta fondata in epoca elisabettiana, magi abbastanza potenti da essere riusciti, attraverso le generazioni, a bandire gli esseri fatati e a limtarne drasticamente l’influenza. Naturalmente non è come se gli esseri fatati fossero contenti, e ogni tanto provano a riprendersi quel che considerano loro… e in più ci sono l’Inferno e il Paradiso che interferiscono con fini non sempre comprensibilissimi.

All’inizio di Whiskey and Water sono passati sette anni dall’ultima sanguinosa recrudescenza – che ha avuto luogo a New York e nella fatata Annwn, e che è costata parecchie vite. A New York il malconcio Mattew Szczegielniak (no, davvero…), protettore magico della città nonostante l’invalidità fisica e magica, arriva per primo sulla scena di uno strano delitto – e si fa subito l’idea che Quegli Altri abbiano intenzione di riprovarci. Pur riluttante e disilluso gli toccherà ricominciare daccapo, se non altro per sondare l’intricatissima rete di contatti, rivalità e secondi fini che lega le due corti fatate, il Paradiso, l’Inferno e quel che resta del Prometheus Club che credeva di essersi lasciato alle spalle…

W&W è un fantasy complesso, letterario, affollatissimo, popolato di favolosi personaggi e assai ben scritto (soprattutto descrizioni vivide e dialoghi da leccarsi i baffi), che fonde, intreccia e riscrive folklore, letteratura e miti di mezzo mondo. Un po’ cerebrale a tratti – ma affascinante.

E Marlowe? Be’, secondo Elizabeth Bear Kit, uno dei membri del Prometheus Club originario, è finito all’Inferno – del che non siamo terribilmente stupiti – ed è stato per un certo numero di secoli l’amante del diavolo. Di più di un diavolo. E anche della Fata Morgana. E… sì, si è dato da fare – ma poi ha trovato il vero amore, e il vero amore ha fatto una pessima fine durante la battaglia di Times Square. Così Kit lascia l’Inferno con l’intenzione di vendicarsi sfidando a duello l’arcimaga prometeica Jane Andraste, che è l’ex mentore di Matthew e anche la madre dell’attuale regina delle fate…

Sì, è tutto un nonnulla complicato – ma molto soddisfacente, e il Kit di Elizabeth Bear è un piacere a leggersi: irrepressibile e malinconico, leale e vendicativo, spericolato e calcolatore… Quando il solitario Matthew, che quando non è occupato a salvare il mondo insegna letteratura elisabettiana, si ritrova ad allacciare un’inattesa e stretta amicizia con l’autore di Tamerlano, non possiamo non invidiarlo un pochino.

O quanto meno, io non posso – ma si sa che sono di parte.

Ad ogni modo, di traduzioni nemmeno l’ombra, ma la lettura è consigliata a patto che non abbiate un’invincibile avversione per il genere. E se siete lettori di fantasy… well, nonostante il drago, non aspettatevi lo Hobbit.

Ci sono anche altri due volumi di ambientazione più strettamente elisabettiana – presumo che li si possa considerare un duplice prequel (orribile parola!), e prima o poi li leggerò. Semmai, vi farò sapere.

 

 

Ago 4, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: A Plague Of Angels

Shakeloviana: A Plague Of Angels

PLagueChe i Carey Mysteries di P.F. Chisholm mi piacciano tanto non è una novità. Ben costruiti, ben ambientati, ben scritti, provvisti di dialoghi scintillanti e un’irresistibile popolazione di personaggi storici e fittizi, sono una gioia da leggere, e probabilmente la migliore serie di gialli storici in cui mi sia imbattuta da quando ho cominciato a interessarmi al genere.

Dubito che vi stupirete granché se vi dico che, invece di cominciare dal primo volume come fa la maggior parte della gente sensata, sono entrata di lato – dal quarto volume, per l’ottimo motivo che in A Plague of Angels compaiono Marlowe&Shakespeare. Soprattutto Marlowe.

Perché dopo avere investigato omicidi sul Border anglo-scozzese per tre volumi, Sir Robert Carey viene imperiosamente richiamato a Londra da suo padre, il formidabile Lord Hunsdon – Lord Ciambellano e primo cugino (e forse anche fratellastro sub rosa) della Regina Bess. Non è il tipo di convocazione cui si dice di no, soprattutto quando si è ultimogeniti squattrinati in perenne dipendenza dalla borsa paterna…

E così Carey si avvia a sud, e si trascina dietro il suo recalcitrante secondo, il Sergente Henry Dodd – attraverso i cui occhi semi-scozzesi (ma guai a dirglielo!) vediamo la grande, affollata, malsana, malsicura, sconcertante Londra Elisabettiana. I nostri due, che a questo punto sono bene avviati verso tanta spigolosa amicizia quanta ne consente la differenza sociale, si ritrovano a indagare su una faccenda di monete false, alchimia, fratelli scomparsi e giochi di potere – ma a mio timido avviso, per quanto la trama gialla sia davvero molto buona, tre quarti della gioia stanno nella gente storica che attraversa il libro. Carey, il suo irascibile padre, il gobbo e sottile Sir Robert Cecil, Emilia Lanier, l’orribile torturatore Richard Topcliffe, la Regina in persona, l’impossibile Robert Greene e, l’ho già detto, Shakespeare e Marlowe.

A parte Greene – sempre troppo ubriaco per far altro che danno casuale – tutti hanno secondi e terzi fini, tutti sono agenti di qualcun altro, tutti hanno segreti da nascondere. Persino il prudente Shakespeare, che tra un dramma e una tragedia, cerca di inserirsi nel servizio di spionaggio dei Cecil – e forse troppo prudente non è, considerando lo spudorato interesse che mostra per la bella amante di Lord Hunsdon. E Marlowe… be’, siamo a metà 1592, quando le cose per Kit cominciano a prendere l’inconfondibile forma di una pera: Chisholm lo dipinge sul punto di perdere il controllo, talmente preso dai suoi intrighi, talmente doppiogiochista, talmente imprevedibile che nessuno si azzarda a fidarsi di lui. Decisamente il tipo d’uomo destinato a non morire nel suo letto.

L’idea di fondo delle due caratterizzazioni non è originalissima: uno Shakespeare un po’ grigio, ma sempre occupato ad annotare tutto quel che sente per tradurlo in poesia, e un Marlowe fascinoso, fiammeggiante e del tutto inaffidabile, pericoloso per se stesso e per gli altri. Epperò, il modo in cui Chisholm svolge il tema è favoloso e originalissimo – non ultimo per lo stratagemma di mostrarci i due mostri sacri del teatro elisabettiano attraverso gli occhi spassionati e per nulla impressionati del granitico Dodd.

Alas, niente traduzioni – ma se siete in grado di affrontare un Inglese appena un po’ complesso, la lettura è consigliatissima.

Lug 31, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Piccolo Promemoria Così

Al volo. Vi ricordate di Gonzaga domani sera, vero?

ElizinFrameCirca1589

S&M

Se siete nei dintorni e se v’incuriosisce l’idea di una romanzesca rivalità poetica tra due uomini che più diversi non si può, vi aspetto venerdì I Agosto, alle 21, nel bel chiostro dell’ex Convento di Santa Maria. …

Lug 28, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: The Player’s Boy

Shakeloviana: The Player’s Boy

1628599In realtà ci sono almeno due libri con questo titolo, ma oggi parliamo di Antonia Forest, prolifica autrice per ragazzi negli anni Sessanta, con un paio di romanzi storici al suo attivo.

Il primo è questo – e cominciamo dicendo che, a differenza di altri romanzi per fanciulli, lo si legge volentieri anche da adulti. La storia è quella, tutt’altro che inusuale in narrativa, di un ragazzino che fugge di casa e si ritrova in un mondo vasto e inaspettato e scopre la sua vocazione, ma ci sono alcuni particolari a differenziarla dalle centinaia di altre simili.

A undici anni, Nicholas Marlow è un orfano fortunato. Vive con un fratello molto maggiore, agiato e indulgente, e la sua giovane moglie – e studia con profitto, se non con grande soddisfazione, alla grammar school.  I guai cominciano quando, in vista della nascita del primo figlio, fratello e cognata decidono di mandare Nicholas come pensionante presso la scuola. Allontanati da casa a undici anni, ci si sente traditi – e si fanno salti logici non indifferenti: per non volersene stare lontano da Trennels fino a Natale, Nicholas non trova di meglio che fuggirsene a Londra con l’aiuto di un ospite occasionale del fratello – l’affascinante quanto allarmante Kit Marlowe, che si potrebbe ascoltare per ore, che non ha la minima remora a dichiararsi (gasp!) ateo, e che conosce Sir Walter Raleigh.

Perché la grande idea di Nicholas è quella d’imbarcarsi per il Nuovo Mondo, e in quest’epoca di spelling fluido, non sarà difficile farsi passare per un cugino del ben connesso Marlowe… Ma è la fine di maggio del 1593, e tutti sappiamo che succede: Kit viene ucciso a Deptford, e Nicholas si ritrova da solo. Ci vorrà qualche avventura prima di trovarlo installato come apprendista attore presso la Compagnia del Ciambellano, dove un altro poeta, un certo Will Shakespeare, si prende sommaria cura di lui, in parte per buon cuore e in parte perché lo crede cugino del defunto Kit.

Seguono teatro, bugie, cospirazioni cattoliche e avventure miste assortite, tutto molto grazioso a leggersi, ben raccontato e gradevole – ma quel che conta ai fini di Shakeloviana l’abbiamo già visto. Un’era elisabettiana un po’ di fantasia (soprattutto in fatto di disinvolture sociali) e Kit & Will visti attraverso gli occhi di un ragazzino.

Marlowe è affascinante e pericoloso, pieno di ombre e di misteri e alla fin fine irresponsabile, ma capace di simpatizzare con l’infelicità e l’irrequietezza di Nicholas. Probabilmente non è una buona idea aiutare un undicenne a scappare di casa – soprattutto se poi ci si fa uccidere, lasciando l’undicenne in questione in un mare di guai – ma per tutto il libro, quando qualcuno gliene parlerà male, Nicholas continuerà a ripetere che Marlowe è stato buono con lui. Shakespeare, per contro, è affidabile, paziente e gentile, e diventa una presenza rassicurante nella vita di Nicholas, accompagnandolo alla maturazione e sviluppando per lui un affetto quasi paterno, soprattutto dopo la morte di Hamnet.

Quel che colpisce di questo romanzo, è come il rapporto del fittizio Nicholas con questi due uomini diventi una graziosa metafora del ruolo di entrambi nella creazione del teatro moderno: Marlowe è quello audace e pericoloso, che rompe con i precedenti e dà inizio a un nuovo corso di cose, mentre Shakespeare, una volta “ereditato” Nicholas, lo fa crescere sul piano personale e artistico…

Alla fin fine, non so se come romanzo per fanciulli TP’sB sia invecchiato benissimo – conosco molti fanciulli contemporanei che probabilmente ci si annoierebbero più che un pochino – ma un adulto, a patto di sorvolare sull’occasionale inaccuratezza nella descrizione dei rapporti sociali, può trovarci qualche soddisfazione. Per quanto ne so, non è mai stato tradotto in Italiano, ma il linguaggio è del tutto abbordabile – e la lettura vale la pena.

 

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