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Lug 21, 2014 - elizabethana, grilloparlante, Storia&storie    Commenti disabilitati su Piccoli Drammi, Colpi Di Calore E Promemoria

Piccoli Drammi, Colpi Di Calore E Promemoria

Sì, lo so – è lunedì e dovrebbe esserci Shakeloviana…

Ma il fatto si è che al Destino Beffardo piace accanirsi un nonnulla. Abbiamo cominciato con turbolenza sulla linea ADSL, poi all’Innominatino è parso bello farsi venire un colpo di calore, e poi non so se i guai siano ancora della linea o di MyBlog, ma postare in questi giorni è agevole come traversare l’Oceano Indiano in bicicletta.

Per cui credo che per oggi mi limiterò a ricordarvi che mercoledì sera sono a Casa Andreasi a bagolare del mio prediletto Kit Marlowe – poeta, tragediografo, innovatore, provocatore e personaggio poco raccomandabile. Nonché, a detta di Tennyson, la stella del mattino del grande teatro elisabettiano.

Loc Casa Andreasi

 È una faccenda che potrebbe quasi sottotitolarsi dickensianamente Le Tre Città.  Se siete da queste parti, e se vi va, vi aspetto a Casa Andreasi – nel magnifico giardino rinascimentale se il tempo lo consente, oppure nella bellissima sala conferenze.

Shakeloviana torna lunedì prossimo, ma prima – se la tecnologia e il Destino Beffardo lo consentono – mercoledì parliamo di qualcosa di speciale.

Lug 14, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Entered From The Sun

Shakeloviana: Entered From The Sun

41Ms42H990L._SL500_AA300_Su Entered from the Sun, di George Garrett, ho fatto un diario di lettura, quasi quattro anni fa.

E a ben pensarci sono secoli che non posto un diario di lettura… ma non divaghiamo. In realtà in questo bizzarro romanzo non compaiono né Shakespeare né Marlowe, per cui sono stata a lungo incerta se includerlo in Shakeloviana. Alla fine decido di sì, perché è un libro notevolissimo, e perché, sebbene Kit non compaia mai in scena, è un’indagine sulla sua morte a occasionare la storia narrata da Garrett.

O dai suoi narratori – plurale, pluralissimo, perché di narratori ce ne sono a bizzeffe, e non sempre individuabili. Tutto questo libro è un mosaico di esperimenti narrativi, di punti di vista bizzarri, di dialoghi costruiti meravigliosamente, di mezzaloghi, di giochi narrativi, di voci, d’incastri, di personaggi sfaccettatissimi, di ambiguità morali, di reticenze, di menzogne, di fuochi d’artificio linguistici, di scenari dipinti, di false impressioni, di ribaltamenti… il tutto imperniato in apparenza attorno a una singola domanda: chi ha ucciso Kit Marlowe?

Ma s’impiega poco a rendersi conto che in realtà le questioni in gioco sono ben altre…

È un romanzo complesso, intricato, affascinante oltre ogni dire. Una piccola enciclopedia di meccanismi narrativi e di scrittura stilizzata – nonché 101 modi per imbrogliare con grazia il lettore. Letto con lo spirito giusto – ovvero una piena disponibilità a lasciarsi condurre attorno – è una virtuosistica delizia.

Figurarsi se è stato tradotto, e per quanto riguarda l’originale, questa volta devo consigliare (vivamente) la lettura a chi con l’Inglese ha qualche dimestichezza. George Garrett, prima di essere un romanziere era un poeta – e si sente molto.

Il mio diario di lettura, ovvero La Clarina Irreparabilmente Catturata Da Un Libro Che In Teoria Non Dovrebbe Piacerle Nemmeno Un Po’, si trova qui, qui, qui e qui.

A riprova del fatto che la teoria è teoria – e poi c’è la Scrittura con la S maiuscola.

 

 

Lug 7, 2014 - Shakeloviana    4 Comments

Shakeloviana: Enter A Spy

EnterASpy017Herbert Lom era un attore inglese di origine cecoslovacca – e non so voi, ma io lo conosco distrattamente per quell’incantevole film che è La Signora Omicidi e per una versione così così de Il Fantasma dell’Opera. Non avrei mai scoperto che ha scritto due romanzi storici, se uno dei due non fosse Enter A Spy – the double life of Christopher Marlowe.

E in realtà forse chiamarlo romanzo storico è un po’ tanto. Tolte una corposa (e un nonnulla prolissa) introduzione e un certo numero di illustrazioni, rimane una settantina scarsa di pagine dedicata agli avventurosi casi di Kit. Una novella lunga.

E in realtà non si tratta nemmeno di questo, e lo dice Lom stesso all’inizio della sua introduzione, raccontando che si tratta di un trattamento, lo studio preliminare per una sceneggiatura cinematografica. E si sente. Si sente nella narrazione scarna che procede per quadri molto visivi, si sente nelle transizioni di scena in scena, si sente nella natura del dialogo, si sente nella caratterizzazione. Si sente tanto che, se non avessi saputo che cosa aspettarmi, sarei rimasta perplessa nella migliore delle ipotesi.

Ma Merlin Press è un editore saggio – o lo era nel 1978 – e non ha tentato di contrabbandare Enter A Spy per qualcosa che non è, e così ho letto il trattamento con qualche soddisfazione. Ci sono buone cose in questa storia, come il modo in cui Kit si rovina da sé per incapacità di valutare le conseguenze delle sue scelte, come il senso di irreparabilità di ciascuna decisione avventata, come il ritmo serrato di cause ed effetti, come parte del dialogo – a patto che i personaggi non si mettano a teorizzare, perché allora si sente molto la cassa di sapone – come un certo numero di scene, come la caratterizzazione di Kit.

Dopodiché, tutti gli altri personaggi oscillano tra il convenzionale e il lievemente schizofrenico quando devono servire a più di uno scopo, e c’è un’attrazione appena abbozzata per una Frances Walsingham in Sydney particolarmente insipida, e c’è un personaggio fittizio che svolge parte delle funzioni di Robert Poley mentre Poley fa qualcosa di diverso, e c’è un finale melodrammaticissimo che impila una sull’altra tre coincidenze purpuree e maiuscole – compreso un Faust di fortuna recitato chez Mrs. Bull proprio omicidio durante…

Eh.

Eppure, sapete, forse al cinema funzionerebbe. Il finale, intendo. Preferirei di gran lunga comprimari disegnati con qualche finezza in più, thank you very much, ma il finalone gonfio potrebbe funzionare al cinema molto meglio di quanto funzioni sulla carta. Abbastanza da farmi quasi dispiacere che il progetto sia stato abbandonato e il film non si sia fatto.

Si direbbe che sia una costante: ogni tanto l’idea di un film su Marlowe emerge, si fa trattare o sceneggiare, magari va anche in pre-produzione – e poi frana a valle. Oh well.

Ma intanto, giochiamo al casting da salotto: dal trattamento ricavo l’impressione che a Lom non sarebbe dispiaciuta la parte di Sir Francis Walsingham, ma secondo voi, nei secondi anni Settanta, chi avrebbero reclutato per Kit?

 

Parli Del Diavolo…

Vi ricordate le Serate in Giardino di Casa Andreasi?

Bene, mercoledì scorso Giovanni Pasetti ha aperto le danze con Shakespeare e Marlowe, gemelli diversi – da Faust ad Amleto. Tecnicamente, se vogliamo, non è stata proprio una serata in giardino: c’era un’umidità da nuotarci, e così le signore di Casa Andreasi hanno saggiamente deciso di spostarci tutti nella bellissima sala conferenze… e confesso secondi fini nel dirvelo, casomai, in occasione dei prossimi appuntamenti, foste tentati di lasciarvi scoraggiare dal tempo.

Hamlet-and-the-ghostOra, mercoledì la conferenza è stata gradevolissima e, tra molte altre cose, ha toccato un confronto molto interessante tra le due opere nel titolo – e di conseguenza i rispettivi autori. A partire da diavoli e fantasmi che – ne abbiamo già parlato – per gli Elisabettiani non erano necessariamente due cose diverse.  Ciò che, come ci ha fatto notare il professor Pasetti l’altra sera, consente di far confronti tra l’esperienza di Faust con Mefistofele e quella di Amleto con il Fantasma.

In realtà io trovo che di parallelismo non si possa parlare, se consideriamo che Faust il diavolo va a cercarselo con ogni pervicacia, mentre Amleto l’ectoplasma se lo ritrova tra capo e collo suo malgrado – e non è un ectoplasma qualsiasi, ma uno che sostiene di essere il suo defunto genitore… ma questo non impedisce di osservare la diversità di atteggiamento.

Di fronte al diavolo, l’uomo di Marlowe vuole discutere di teologia (e il diavolo è ben felice di accontentarlo), mentre l’uomo di Shakespeare… Be’, gli uomini di Shakepeare in realtà sono diversi, e incarnano tutti i dubbi Elisabettiani in proposito: Bernardo e Marcello hanno paura, Orazio reagisce con protestantissimo disprezzo mentre Amleto, essendo Amleto, dubita. Dubita se quello che ha di fronte sia un diavolo protestante o un fantasma cattolico. Dubita se dandogli retta ci sia da finire abbrustoliti. E continua a dubitare per un pezzo, e passa un sacco di tempo a cercare conferme di altra natura – ragioni di vendetta che non abbiano troppo a che fare con la terrificante apparizione.

Di fronte al diavolo, Faust chiede Come? Amleto chiede Che cosa?

Faust vuole sapere. Amleto, cui la conoscenza viene sbattuta in faccia, era più tranquillo quando ignorava. mephisto_erscheint_faust

Faust, che il diavolo se l’è cercato per fargli delle domande – e al diavolo le conseguenze – incarna il lato indagatore del Rinascimento. È tutti i matematici, gli esploratori, i pensatori, gli sperimentatori, gli scienziati, i filosofi…  Amleto incarna l’umano tremar di ginocchia davanti a un mondo che sussulta e cambia, la vertigine di fronte agli squarci in quel che si era sempre creduto.

Faust è un cercatore insaziabile, un Ulisse cinquecentesco, un avventuriero della mente. Amleto è, molto più semplicemente, un uomo pieno di dubbi.

Entrambi pagheranno un prezzo molto alto per avere dato retta al diavolo – e, di nuovo, lo studioso di Marlowe paga un prezzo teologico, mentre il principe di Shakespeare paga un prezzo umano.

E d’altra parte, Faust è l’opera di un giovane alquanto tranchant, con più fuoco e teoria che compassione per l’essere umano medio, mentre Amleto è l’opera di un uomo maturo e disilluso…

Due facce della stessa medaglia, a ben vedere – e in una quantità di modi, ad enesima riprova di come quel che si chiama lo Spirito dei Tempi non sia mai una cosa sola. Mai un uomo solo. Mai uno spirito solo.

 

Giu 23, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Shakeloviana: The Reckoning Of Kit And Little Boots

indexVi ho mai detto quanto mi piace il modo in cui, nel mondo anglosassone, i Classici magari portano la maiuscola, ma non sono mai relegati sotto una campana di vetro impolverato?

Ecco, questo play è un esempio di quello che intendo. La Resa dei Conti di Kit e Stivalino (e con “Stivalino” s’intende Caligola), è brillante, irriverente, originale – e molto, molto diverso da quello che la frase “un play su Marlowe” tende a farci immaginare.

Nat Cassidy prende Kit subito dopo la coltellata fatale a Deptford, e poi costruisce sulla buona e vecchia idea che prima di morire ci si veda scorrere davanti tutta la vita. Solo che a fare da guida è un Caligola un tantino squilibrato – sul quale Kit aveva accarezzato l’idea di scrivere una tragedia. E onestamente, Caligola sarebbe stato proprio il tipo di personaggio che poteva interessare a Marlowe, così che l’idea di partenza è tanto brillante quanto plausibile, e lo diventa sempre più, mano a mano che Caligola in persona mette in luce tutti i punti di contatto (veri o immaginari o inclinati a 45° e tinti di violetto) tra la sua storia e quella del suo mancato autore. A cominciare da due terribili sorelle, che per tutta la storia si esibiscono in metamorfosi da Anne e Dorothy Marlowe a Drusilla e Livilla, e ritorno. E poi c’è uno Shakespeare a malapena articolato, un bevitore di parole altrui che scrive le sue storie come se dovesse raccontarle ai suoi bambini, e diventa eloquente soltanto per iscritto.

E ci sono questioni di identità, di arte, di umanità, di potere – il tutto servito con abbondanza di dialoghi efficaci e humour nero. Si ride, si sobbalza, si riflette… È possibile che TRoKaLB* non sia , in senso stretto, il mio genere – ma questo va soltanto a dimostrare, una volta di più, che deviando occasionalmente dal proprio genere, si fanno ottime scoperte.

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* No, non me lo sono inventato. Cassidy per primo lo chiama così. O in alternativa TRoK&LB… Tra parentesi, nell’immagine lì sopra, è lui quello nei panni di Kit.

Giu 18, 2014 - elizabethana    Commenti disabilitati su Shakespeare & Marlowe A Casa Andreasi

Shakespeare & Marlowe A Casa Andreasi

CasaAndreasiE cominciamo con il dire che Casa Andreasi è una magnifica dimora quattrocentesca nel bel mezzo di Mantova, con un incantevole giardino rinascimentale – nonché sede dell’attivissima Associazione per i Monumenti Domenicani, una delle realtà culturali più vivaci e interessanti di Mantova.

Ogni estate, l’Associazione organizza le Serate in Giardino, una serie di conferenze nel giardino rinascimentale di cui vi dicevo. Lo vedete in fotografia: bel posto, vero? Immaginatevelo di sera e d’estate, fiorito, illuminato…

Ebbene, quest’anno le Serate sono dedicate a Shakespeare&Marlowe – e tra i relatori ci sono anch’io.

Ma andiamo con ordine.

Si comincia il 25 giugno, mercoledì prossimo, con Giovanni Pasetti che parla di “Shakespeare e Marlowe, Gemelli Diversi – da Faust ad Amleto.”

Il 23 di luglio sarà il mio turno, con “Kit Marlowe: Vita, Morte e Misteri.” E poi di nuovo il 20 di agosto, con “Ai Posteri l’Ardua Sentenza – la fama postuma di Shakespeare e Marlowe.”

Chiuderà il ciclo, il 24 settembre, Rita Severi con “Mantova in Shakespeare: un itinerario.”

Vario e promettente, non vi pare? Tra tutti e tre, cercheremo di esplorare vita, opere, nachleben e questioni irrisolte dei due festeggiati – e lo faremo in un posto davvero perfetto per atmosfera. Personalmente, non vedo l’ora.

Vi ricorderò le mie date più avanti, perché sono spudorata e tutto quanto, ma se siete a Mantova e dintorni e l’argomento v’inuriosisce, credo proprio che valga la pena di seguire tutto il ciclo, a partire da mercoledì prossimo.

Intanto, qui* potete scaricare il programma dell’attività estiva dell’AMD.

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* O almeno spero. Se il link dovesse condurvi di nuovo alla homepage, fate caso ai rettangolini color grano maturo impilati sulla sinistra. Ce n’è uno che recita “Calendario Attività.” Cliccatelo, e vi ritroverete sulla pagina giusta, con un altro rettangolino che vi permette di scaricare il PDF del programma.**

** Nota alla nota: sì, lo so: ci sareste arrivati anche da soli. Però mi si è fatto notare che tendo a dare istruzioni un nonnulla criptiche, così questa volta ho cercato di essere chiara, esplicita ed esauriente. Ecco.

Giu 2, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Un Cadavere A Deptford

Shakeloviana: Un Cadavere A Deptford

E così ritorna anche Shakeloviana… sembra proprio che stiamo ritornando alla normalità, vero?

English: Anthony Burgess visited us at home in...Ebbene, oggi parliamo di Anthony Burgess – che magari tutti conosciamo più che altro per Arancia Meccanica, ma era un poeta, linguista, commediografo, traduttore, critico letterario, compositore (scrisse la sua prima sinfonia a diciotto anni), autore di libretti d’opera e romanziere abbastanza versatile da scrivere romanzi diversissimi tra loro – e uno di questi è A Dead Man In Deptford , pubblicato nel 1993, in occasione del quattrocentesimo anniversario della zuffa fatale chez Mrs. Bull.

In realtà, e non se siamo spaventosamente sorpresi, non furono pochi i romanzi marloviani pubblicati quell’anno – ma questo… ah, questo!

A Dead Man in DeptfordQuesto è pieno di meraviglie e di sorprese, a partire dal linguaggio… pseudoelisabettiano? Semielisabettiano? Metaelisabettiano? Whatever, ma non immaginatevi una di quelle legnose, faticosissime collezioni di calchi, per favore. Au contraire, il linguaggio di Burgess è ricco, vivido, efficace, scintillante, denso… e non so quanto di tutto ciò vada perso se leggete la traduzione – perché, per una volta, la traduzione* c’è: Un Cadavere A Deptford, pubblicato da Garzanti e disponibile su Amazon.it. E poi, linguaggio a parte… be’, non troppo a parte, se vogliamo, in un romanzo a proposito di Kit Marlowe scritto da Anthony Burgess – ma linguaggio a parte, che dire della meravigliosa voce narrante, che esordisce presentandosi come inaffidabile e del tutto incurante della fiducia del gentile (o non troppo) lettore? O della famiglia Marlowe a Canterbury, dapprima così orgogliosa del figlio/fratello destinato a prendere gli ordini, e poi via via dubbiosa, spiazzata e poi scandalizzata da quel che Kit diventa? O della progressione delle illusioni di Kit a proposito di sé stesso, dell’arte, di Tom Walsingham e del mondo in generale? O del dialogo con (forse) Dio nella Cattedrale di Reims?

Ecco, il dialogo con (forse) Dio è una di quelle cose meravigliose che si leggono, rileggono e rileggono ancora, in reverente ammirazione per la combinazione di voci perfette, aerea leggerezza e vertici di acutezza e profondità. Una di quelle pagine che si vorrebbe tanto saper scrivere una volta nella vita…

Ma insomma, si è capito che questo libro mi piace proprio tanto, vero? Naturalmente, il fatto che ci si parli di Marlowe aiuta, ma è davvero una gemma di romanzo storico – magistrale nella narrazione, superlativo nella caratterizzazione dei personaggi e brillante nel linguaggio.

A mio timido avviso, da leggersi, da leggersi, da leggersi.

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* E dico che non so che cosa vada perduto perché non la conosco affatto… magari mi documenterò e vi saprò dire.

 

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Giu 1, 2014 - elizabethana, teatro    2 Comments

Credo: Un Assaggio

Vi avevo detto che non avevamo finito con Credo, vero?

Ebbene, questa sono io che ne leggo il primo minuto e mezzo durante la premiazione, sabato 24 maggio, al Caffè Colombre di Pisa.

Per motivi che non arrivo del tutto a divinare, convertire, mettere insieme e caricare online questo pur minuscolo video è stata un’impresa di proporzioni piuttosto epiche – e non è come se fossi del tutto soddisfatta del risultato… Per dirne una, il volume è un pochino anemico, temo. Ma insomma, abbiate pazienza – e buona domenica, e buon giugno.

Mag 7, 2014 - teatro    2 Comments

Lo Spirito Di Marlowe E La Clarina – Ovvero, Matilde In Ostiglia

(Foto GB)

(Foto GB)

Kit – “Spirito del Bardo, tienmi la man sul capo,” dice… Tcha!

Clarina – Be’, tende a funzionare.

Kit (snorts) – Ho visto.

Clarina – Sì, in realtà hai proprio visto. Considerando che non c’era stata nessuna crisi pre-sipario, direi che è andata proprio benino.

Kit – Soprattutto l’Avventizio.

Clarina – Yes, well…

Kit – Non mi pare che lo Spirito del Bardo lo abbia fulminato mentre saltava le prove, o che gli abbia ispirato qualche entrata giusta ogni tanto… Né l’ho visto disperarsi per impedire la ritirata sull’Aventino che vi ha costretti a ricorrere all’Avventizio in the first place.

Clarina – Oh… non ci avevo pensato. Credi che quello valga come crisi pre-sipario?

Kit – Non saprei. Vedi un po’ tu.

Clarina – Forse no, eh? Voglio dire, Quello ha soltanto generato una collezione di disastri minori. A meno di voler pensare che, se non fosse andata così, sarebbe andata peggio…

Kit – Ah teatranti, gente obnubilata dalla superstizione! E tu, in particolare, sei obnubilata e indicibilmente contorta.

Clarina – No, è che era andato tutto troppo bene. Abbiamo persino fatto qualcosa che somigliava a una prova tecnica, eravamo tutti ragionevolmente placidi e collaborativi–

Kit – Tutti?

(Foto GB)

(Foto GB)

Clarina – Quasi tutti. Dico davvero: non sembravamo nemmeno noi.

Kit (snorts) – Peccato che, già che c’era, lo Spirito del Bardo non abbia pensato di fare le cose per bene fino in fondo.

Clarina – Per l’Avventizio? Be’, ha detto che non funziona così…

Kit – Chi l’ha detto? L’Avventizio?

Clarina – Lo Spirito del Bardo.

Kit (si osserva elaboratamente le unghie) – Ha detto così?

Clarina – Detto, scritto, whatever. Ad ogni modo, non è come se potesse controllare quel che fanno gli avventizi, giusto?

Kit – Evidentissimamente no.

Clarina – Perché, tu che cosa avresti fatto al suo posto? Evocato un plotoncino di diavoli per tenere il ragazzo in carreggiata?

Kit – Chi lo sa? Magari ne sarebbe bastato uno. Il diavoletto medio sette battute le impara in fretta, non si distrae quando tocca a lui, e mentre danza si blocca e riparte nei momenti opportuni…

Clarina – Ah, quella è stata una cosa pittoresca. Per poco A. non gli sfonda due costole con una gomitata.

Kit – Di sicuro l’ha bloccato.

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(Foto GB)

Clarina – È quasi un miracolo che poi si sia rimesso in moto. Ad ogni modo, gli altri sono stati bravi. È venuta bene, è stata bella a vedersi, i buchi sono stati coperti con sufficiente disinvoltura, le battute scritte sullo scotch da finestre alla fin fine non sono servite a nulla, le luci hanno funzionato, le bimbe sono state deliziose, col coro è filato tutto liscio, e la melagrana… persino la melagrana, anziché essere lanciata in platea, ha trovato un uso elegante e grazioso.

Kit – Lanciate spesso melagrane in platea?

Clarina – Sono rischi che si potrebbero correre – ma non importa. Ammettilo: nel complesso è andata proprio benino.

Kit – Non ammetto un bottone. Ci fossi stato io, a sovrintendere… Altro che Spirito del Bardo!

Clarina – Non saprei dire. Sei risaputamente pericoloso. Metti che poi ci troviamo attori soprannumerari che odorano di zolfo, o moschetti carichi in scena… robe così. Sono passati i tempi in cui un omicidio vero in teatro faceva cassetta.

Kit – Trascurabili minuzie. E comunque, se le cose stanno così, farai bene a trattenerti dal cuocere l’Avventizio al forno.

Clarina – Oh… Non ci avevo pensato. Sarà il caso che me lo annoti bene in vista.

Kit –  Sì, sullo scotch da finestre. E comunque, la prossima volta lascia fare a me. Lo spirito del Bardo è troppo placido. Voi avete bisogno di… un po’ di fuoco… -oco… -oco… -oco! (Getta indietro la testa, ride, si assesta sulla spalla la cappa di velluto ed esce a gran passi – tra gli sbuffi di una macchina del fumo che non sapevamo di avere).

Clarina (seguendolo a precipizio) – Ehi! Non ho detto che lascio fare a te! Non ho firmato niente! Non prendere iniziative, hai capito? E quando dici “un po’ di fuoco”, che cosa–?

(La Clarina sparisce a sua volta nel fumo. Buio. Sipario. Ci risentiamo presto per Aninha.)

Mag 5, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Un Pugnale Per Due

Shakeloviana: Un Pugnale Per Due

Df2A Dagger for Two, di Philip Lindsay, è un romanzo degli anni Trenta, talmente dimenticato che persino in rete se ne trovano scarse tracce. La mia copia ha la mia età, e l’ho comprata secoli orsono a Londra, su una bancarella di libri usati – ma la pubblicazione originale risale al 1932, quando il suo autore australiano si era da poco trasferito a Londra.

Ora, Lindsay era uno scrittore piuttosto prolifico – e anche piuttosto celebre, back in the day, specializzato in romanzi storici a tinte… non tanto forti quanto cupe. A Dagger for Two non fa precisamente eccezione, e ritrae un Kit Marlowe depressivo, insoddisfatto, temperamentale, con propensioni all’anarchia, alla violenza e all’autodistruzione.

Il tipo che procrastina tormentosamente, frequenta cattive compagnie for the hell of it, beve per dimenticare – nemmeno lui sa troppo bene che cosa – dà voce a qualsiasi idea perniciosa gli passi per la mente, si fa nemici con allarmante facilità, coltiva una relazione torbiduccia e colpevole con la moglie del suo mecenate (forse la più odiosa Audrey Walsingham che sia dato trovare in narrativa e teatro) e aspira alla redenzione in quella maniera tra vaga e frenetica di tanti personaggi di questo stampo.

Poi l’occasione di una vita migliore gli cade più o meno addosso nella persona della dolce (pur se traviata) Alice – a patto di riuscire a districarsi dal passato, da Audrey, dai falsi amici e dal servizio segreto… Ma ormai siamo nella primavera del 1593, e tutti sappiamo che Deptford incombe.

La trama di base è quella standard – post Hotson, con l’aggiunta della fittizia Alice, che assume un ruolo piuttosto centrale nella demise del nostro eroe. Di notevole ci sono la caratterizzazione – vecchio stile, ma tutt’altro che banale o edulcorata, piena di ombre e di spigoli – e la scrittura, che ha un gran bel ritmo e squarci descrittivi di vividezza notevole. C’è qualche turgore qua e là, se vogliamo, ma nulla di atipico per il genere e l’epoca – e anzi, direi meno della media.

In più, l’ambientazione è ben costruita e ben dosata, densa senza essere opprimente – e le scene ambientate a teatro sono una gioia. Nel complesso, un librino snello ed efficace, con l’occasionale sussulto purpureo – ma ricordiamoci che siamo negli anni Trenta.

E allora, perché tanto oblio?

Capita. C’erano questi autori di genere, spesso anche gente solida che sfornava decine di titoli nel corso di una carriera – cose scritte per la contemporaneità, il rapido consumo, le letture in treno. Discreta narrativa destinata… be’, a nulla di particolare, se non ad avere qualche successo e poi, superata dal gusto, a scivolare nel limbo dei libri che nessuno legge più.

Se volete divertirvi, leggete questa entusiastica recensione su The Bookman, datata febbraio 1933, e poi l’unica recensione che ho trovato su Amazon, il cui autore non ha nulla da segnalare se non le inaccuratezze storiche connesse al personaggio di Alice.

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