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Mar 21, 2018 - angurie    2 Comments

Un Post Pigro Ma Non Del Tutto Dissennato

In realtà ho fatto qualcosa del genere la settimana scorsa su Scribblings – ma…

Voltaire on Writing ITA

As I said, già fatto altrove – ma ho pensato che, considerando tutto il recente parlare di sinestesia… E no, sono certa che non è esattamente il senso in cui Voltaire intendeva questa cosa, e nondimeno si presta, non credete? Trovo che sia vero – o almeno possa esserlo – in più di un senso.

Ma insomma, ecco.

Un post pigro, dicevasi, ma non del tutto privo del suo vago e contorto perché.

 

Feb 26, 2018 - teatro, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Il Fantasma di Ciò Che È Stato

Il Fantasma di Ciò Che È Stato

bernardo-sceneE in realtà questo titolo si deve a qualcosa che ancora non vi posso dire – ma è qualcosa di bello all’orizzonte… Ma ve ne parlerò presto, credo. Per oggi pesco da Sheridan (che domani, ricordate, leggeremo al PdC) per illustrare come certe cose siano in realtà vecchie come le colline…

Il Fantasma di Ciò Che È Stato, appunto – ovvero antefatti, antecedenti, backstory, informazione pregressa… comunque vogliamo chiamarlo, è tutto ciò che ha condotto a Pagina 1 e di cui, in un modo o nell’altro bisognerà pur mettere a parte il lettore/spettatore. Un tempo i romanzi se la cavavano raccontando quel che andava detto in un numero variabile di pagine iniziali, affidate alla voce narrante. A teatro la funzione spettava spesso al Coro… poi il Coro andò per lo più in pensione, sostituito in parte dal Prologo… ma in realtà ci si accorse che era tutto molto più efficace se, invece di spiattellare Ciò Che È Stato in un’unica rata, lo si faceva passare un po’ per volta tramite il dialogo dei personaggi… Avete presente Orazio e i soldati che discutono delle brighe danesi, del Fantasma che somiglia al re defunto e della situazione generale all’inizio dell’Amleto?

Interessante ed efficace – anche perché veniamo a sapere di tutto ciò attraverso i dubbi, le paure e l’incertezza di Orazio e compagnia…

Mi piace considerare tutto ciò una tecnica eminentemente teatrale, per la sua natura dialogica. Però resta il fatto che, in teatro e in narrativa, occorre applicarla con qualche riguardo alla verosimiglianza. È molto bello che i personaggi s’informino a vicenda o discutano e ricordino Ciò Che È Stato… ma hanno delle buone e plausibilit ragioni per farlo?

Prendete per esempio questo scampolo di dialogo tra gli elisabettiani Christopher Hatton e Walter Raleigh, preso dalla tragedia-nella-commedia* di Sheridan:Hatton&Raleigh

SIR CHRISTOPHER
Ma dove? Come? Quando? Donde?
E quale Il pericolo sia, vorrei sapere.

SIR WALTER
Tu non ignori, amico, che due soli
E meno di tre lune eran mutati…
E sprezzando la pace già Filippo
Insidiava i commerci d’Inghilterra.

SIR CHRISTOPHER
Ben lo sapea.

SIR WALTER
Sai che Filippo è il fiero Re di Spagna.

SIR CHRISTOPHER
Invero.

SIR WALTER
E sai che opprime il popol suo
Con il credo di Roma; da noi invece
La fede protestante è praticata.

SIR CHRISTOPHER
Sollo.

SIR WALTER
Sai inoltre che l’orgoglio del suo regno,
L’invincibile Armada, ossia la flotta
Destinata dal Papa all’invasione…

SIR CHRISTOPHER
Ha preso il mare
E muove a questa volta; non lo ignoro.

SIR WALTER
E inoltre sai…

DANGLE Mr Puff, ma visto che sa già tutto quanto, perché Sir Walter continua a raccontarglielo?

PUFF Non mi direte mica che anche il pubblico sa già tutto.

SNEER   Giusto; ma io dico che qui non è risolto. Non si vede ragione per tutta questa comunicatività da parte di Sir Walter.

PUFF Dio santissimo, questa è una delle osservazioni più piene di ingratitudine che abbia mai sentito! – Secondo me, meno ragione ha di raccontarlo, più grato voi gli do­vreste essere perché ve lo racconta. Infatti se non fosse per lui voi non sapreste niente di tutto l’antefatto.

richard-brinsley-sheridan-200x290Appunto. È chiaro che, se Sheridan ci scrive sopra una commedia, il problema doveva essere vivo e diffuso duecentoquarant’anni fa come lo è adesso. E adesso come allora, il guaio si è che il Pubblico, nella sua congenita e nigerrima ingratitudine, di rado la vede come Mr Puff…

Possiamo forse consolarci, quando ci accapigliamo col Fantasma di Ciò Che È Stato, dicendoci che è un Problema con la maiuscola, vecchio di secoli e ancora complicato – ma ciò non toglie che dobbiamo sempre fare tutta l’attenzione possibile a chi espone cosa. E quando siamo tentati di far esporre a qualcuno informazioni che l’interlocutore dovrebbe conoscere nel sonno, potremo forse ricordarci di Sir Christopher che risponde “Sollo”, e comportarci di conseguenza.

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* “E di che tratta la tragedia?” “Well, è ambientata nel 1588, e si suppone che gli Spagnoli stiano arrivando in forze.” “Oh, l’Invincibile Armata?” “Esatto. E non a caso, la tragedia s’intitola proprio così.” “Chi l’ha scritta?” “Nessuno… that is, Sheridan per questa cosa. Ma l’autore nominale è Puff.” “E gli altri?” “Ah sì, Sneer e Dangle. I critici che assistono alla prova generale.” “Orrore! Ma chi invita i critici alle prove?” “Puff, evidentemente.”  Dialogo espositivo, see? Ciò Che È Stato.

Gen 3, 2018 - considerazioni sparse, tradizioni    Commenti disabilitati su Diciotto!

Diciotto!

2018Ossignore… ri-gennaio!

Sì, sì – un’altra volta, e non ci si può fare assolutamente nulla, se non iniziare l’agenda nuova e… ballare? Non la migliore delle metafore, nel mio maldestro caso – but never mind. Tutto sommato, suona ragionevolmente bene, soprattutto dopo avere contemplato quella meraviglia che è Roberto Bolle l’altra sera.

E allora, o Diciotto, apriamo le danze.

No, wait: prima ricapitoliamo un attimo. Com’è andata con il Diciassette? Non del tutto male, direi.

Volevo condurre il romanzo in qualche genere di porto isolano e, come dicevasi, non è precisamente approdato, ma ha ricevuto promettenti rassicurazioni sulla rotta.

Jan18Volevo darmi da fare in fatto di teatro, e… well. Il Fantasma di Canterville, il Pasticciaccio Brutto, l’Edipo, l’ingresso da socia nell’Accademia Campogalliani, il corso di scrittura teatrale, la prima stesura di un altro play nuovo che non ha nemmeno un titolo… Sì, credo che il Diciassette conti decisamente come un buon anno, theatre-wise.

E volevo uscire un pochino dai sentieri battuti (i miei sentieri battuti, per cominciare), e anche qui non posso dirmi del tutto insoddisfatta, considerando tutto quanto: ho cominciato a scrivere in un campo interamente nuovo – il che è stato complicato, stimolante ed estremamente istruttivo; ho seguito un e-corso di tecnica poetica del CalArt, e vale la descrizione al punto precedente; ho sceneggiato un piccolo cortometraggio sulla lotta allo spreco alimentare; ho lavorato alla riduzione teatrale di un romanzo che non mi è mai piaciuto granché, e l’ho guardato trasformarsi nel più intenso workshop della mia vita; mi sono riaccostata dopo più di vent’anni alla tragedia greca – e ci ho trovato gusto… Sì, direi che anche qui ci siamo.

E questo significa due e mezzo su tre. Non male, direi.

E adesso, Diciotto. Che fare di quest’anno tutto nuovo e intonso?

  • 2018Dance

Oh dear. Ma sapete che in definitiva le intenzioni sono ancora quelle dell’anno passato? Il romanzo, il teatro, i sentieri meno battuti… Ha funzionato bene, e sono tutte cose su cui vale la pena di lavorare ancora e far di meglio. Quindi, perché no?

Non sono sicura che valga del tutto, ma tant’è. Aggiungiamoci la ferma intenzione di non trascurare gli amici come ho vergognosamente fatto per tutto il Diciassette, presa com’ero ad occuparmi del romanzo e del teatro e a trotterellare per sentieri inusuali. E anche l’intenzione di occuparmi un po’ di più di faccende pratiche e quotidiane. Oh – e combinare qualcosa qualcosa con SEdS, una buona volta. Suona come un anno, che dite?

E allora ci siamo. Diciotto, a noi due: danziamo!

E voi, o Lettori? Che intenzioni avete?

 

Bugiarda, Ipocrita – e Impaziente

JaneLiarSi era a lezione e si discuteva dei motivi che spingono un autore a scrivere una specifica storia. A un certo punto…

Allieva – Per raccontare la propria esperienza umana, per comunicare ciò che si ha dentro.

Io (che sono cinica) – Sì, anche questo. Soprattutto qui da noi, dove impera l’autobiografismo narrativo.

Un’altra Allieva – All’estero non è così?

Io – Nel mondo anglosassone, per esempio, da meno a molto meno.

Allieva – Ah, ma questo è perché gli Inglesi sono ipocriti!

Ecco che ci risiamo

Ho levato un sopracciglio e chiesto se allora solo l’autobiografia è sincera e tutta la narrativa non autobiografica è per sua natura menzognera e ipocrita. L’allieva cui non piacciono gli Inglesi non è stata molto chiara in proposito, e degli altri, qualcuno era decisamente contrario all’idea, qualcuno dubbioso. Poi purtroppo la discussione ha virato in altra direzione, e siamo passati oltre.

Però, reitero: ecco che ci risiamo, con l’idea che scrivere consista nell’aprirsi le coronarie e versare il contenuto sulla pagina. E quando non è così, allora si scrivono bubbole irrilevanti nella migliore delle ipotesi, e deliberate menzogne nella peggiore.

Qui, a dire il vero, eravamo a mezza strada: lo scrittore che “inventa” le sue storie è (britannicamente) ipocrita. Non so se riuscirò ad approfondire la faccenda – e potrei sbagliarmi – ma per ora sono costretta ad assumere che l’ipocrisia consista nel nascondere la propria vera natura dietro uno schermo di finzione non autobiografica…?

Il che, in teoria, non incide sulla qualità della narrativa in questione. Ora, di nuovo, non ho indagato – ma dubito che la signora in questione voglia sostenere che tutta la narrativa anglosassone (e/o non autobiografica) sia inferiore a quella italiana (e/o autobiografica). O almeno lo spero vivamente. E, una volta chiarito questo, riecco la sciaguratamente radicata idea che l’autobiografia goda di qualche genere di superiorità morale, di un grado di sincerità preclusa all’invenzione narrativa.

JaneEyreConfessione (autobiografica!): questo piccolo scambio mi ha riportata indietro di qualche decennio, all’asilo – dove, nelle rare occasioni in cui mi azzardavo a coinvolgere qualche altro implumino nei miei make-believe o a raccontare qualcuna delle storie che immaginavo, le suore mi punivano perché ero bugiarda. E sì, ricordo almeno un’occasione alla Jane Eyre, in cui fui piazzata in piedi in mezzo alla stanza. “La vedete? Lei dice le bugie!”

Inutile dire che in quell’asilo non rimasi a lungo – e che ne dite? magari sono i postumi di questo trauma infantile a rendermi così spinosetta e reattiva sull’argomento?

Perché devo confessare: in realtà, se la discussione che dicevo si è arenata è stato per colpa mia. “Spero di non sconvolgere nessuno dicendo che gli scrittori inventano,” ho detto, con più sarcasmo di quanto fosse il caso. Il che ha divertito la maggior parte della classe, ma non è stato dialetticamente carino da parte mia. Avrei dovuto invece argomentare che in realtà nessuno scrive a prescindere da se stesso e che, specularmente, la sincerità assoluta non esiste da nessuna parte, men che meno in narrativa – ma non l’ho fatto.  E ho sbagliato.

Cercherò di riparare alla prima occasione, riprendendo la discussione se appena sarà possibile e se i tempi ristretti del corso lo permetteranno – perché è giusto e perché l’argomento merita di essere discusso sul serio, non risolto con una battuta.

 

 

Nov 10, 2017 - pessima gente    Commenti disabilitati su Novembron Novembroni

Novembron Novembroni

DaydrNovembron novembroni si va verso la fine d’anno – e, prima di ciò, verso il mese in cui si finisce per non scrivere mai una parola. A meno che non salti su l’ispirazioncella randagia per qualche storia natalizia. O play… but never mind. Novembron novembroni si va, dicevamo, e la Clarina è determinata a finire il play nuovo – o almeno la prima stesura – entro la fine del mese, prima di smarrirsi in natalizietà miste assortite.

Determinata. Molto determinata. Determinatissima.

“Ma se sei così determinata, o Clarina, perché non scrivi affatto, e fissi invece accigliata lo schermo e pensi a tutt’altro?”

(La Clarina sobbalza alto un miglio, si morde la lingua e si sloga la spina dorsale nel voltarsi di scatto. Dietro di lei, of course, appoggiato allo spigolo della scrivania con fare negligente, c’è lo Spirito di Kit.)

C. – Non penso affatto a tutt’altro! E tu sei un delinquente che si diverte a spaventarmi.

SdK – Ma se ho persino aspettato che appoggiassi la tazza di tè! E stai pensando a tutt’altro. Chiaro come il giorno.

C. – Sciocchezze. Sto cercando di capire in che anno si è sposato Perrée.

SdK – E speri che ti giunga un’epifania in proposito, se fissi abbastanza ferocemente le ultime tre battute che hai scritto?

C. – Non sto fissando le battute. Sto cercando di pensare dove posso disseppellire l’informazione – o se posso barare un pochino.

SdK – Da dieci minuti?

C. (digrigna i denti) – Stavo pensando a tutte queste utili cose. Poi mi sono distratta con una rappresentazioncella impromptu delle ultime battute nel Teatro Immaginario.

SdK – Tillyvally. Ci sono passato un momento fa, e il Teatro Immaginario è vuoto, buio e triste.

C. (contemplando i costi e benefici dello scaraventare quel che resta del tè addosso allo Spirito di Kit) – Oh, piantala. Stavo… Stavo…

Lo Spirito di Kit inclina la testa di lato, leva un sopracciglio e guarda la Clarina annaspare.

C. – Stavo–

SdK – Pensando al Romanzo?

C. (arrossisce furiosamente) – No! Nono. Nonono. Come ti salta in mente? Il romanzo è finito. Finitissimo, perbacco. Devo solo mandare i primi due capitoli a Ms. Darwin ai primi di dicembre… Well, forse dovrò rivedere la sinossi, almeno un pochino, visto com’è andata a Oxford. Ma a parte quello, il Romanzo è finitissimissimo, e nulla potrebbe essere più lontano dai miei pensieri e dalle mie intenzioni…

SdK (si osserva le unghie) – Ah, certo, certo.

C. – Davvero!

SdK – I’m sure.

C. – Ma sì! Davverissimo. Figurati!

SdK – Mi figuro.

C. – Ti dico di sì… Cioè, no: ti dico di no!

SdK – Ma sì, ma no. Non ti salterebbe mai in mente di riprenderlo in mano. Non stai affatto prendendo appunti di nascosto…

(La Clarina non riesce ad evitare uno sguardo colpevole al taccuino.)

SdK – E già che ci sei, non rileggeresti mai i vecchi appunti, tu. Nemmeno morta considereresti la possibilità di risistemare i primi due capitoli prima di mandarli a Ms. Darwin. E magari, visto che hai riaperto la porta, dare un’altra occhiatina alla faccenda del non-proprio-Dottor-Lopez…

C. (scrolla le spalle con finta noncuranza e si produce in una risatella nervosa) – Ma ti pare?

SdK – Oh no, giammai. Non tu, vero? E il finale, il leone… nulla ti indurrebbe a riprenderli in mano, lo so. Lo dicevamo proprio ieri sera con lo Spirito di Ned…

C. (drizza le orecchie) – Lo Spirito di Ned? Nel senso di Ned Ned? È qui anche lui?

SdK (apre la trappola…) – Oh, no! È un bravo ragazzo, lui. Non si sognerebbe mai di venire a infrangere gli involucri mentre tu sei così evidentemente occupata con tutt’altro.

C. (entra a passo di danza nella trappola aperta) – Oh, ma no! Nessunissimo involucro infranto – anzi! Sarei così lieta… – (Chiama in nessuna direzione in particolare) – Mastro Alleyn? – (A Kit, semisottovoce) – Perché in effetti quella teoria dei colori come buccia mi piace davvero tanto, e si potrebbe applicare… e il leone, sì. E in realtà anche l’esecuzione… o meglio, le motivazioni precise dopo l’esecuzione? Ho quattro pagine di appunti e domande in proposito, e vorrei davvero…

(Lo Spirito di Kit inclina la testa dall’altra parte e sogghigna a mo’ di Gatto del Kentshire. )

C. – Oh. Ops.

SdK – Eh…

C. – Ma… No, è che… È che…

SdK (cominciando a svanire) – Tranquilla, lo so benissimo. Non stai ripensando al romanzo. Non hai nessunissima voglia di riprenderlo in mano un’altra volta. Non hai nemmeno la più lontana ombra di nostalgia di noi. Tu, nostalgia? Figurarsi!

(Ciò che resta dello Spirito scompare con un “puf!”)

C. – Aspetta, sciagurato. Torna qui! Kit? Mastro Alleyn… Ned? Siete qui?

(Una risatella echeggia da direzione indistinta)

C. – Kit!

Voce Fuori Campo con Riverbero – Torna a scrivere il tuo play nuovo, o Clarina, che novembre passa e dicembre arriva. Non vorremmo mai e poi mai che Monsieur Maquet e compagnia cantante si rodessero il fegato…

(La Clarina lancerebbe volentieri qualcosa di pesante)

SIPARIO

Ott 16, 2017 - pessima gente, scribblemania    Commenti disabilitati su La Natura dello Scrittore

La Natura dello Scrittore

writGli scrittori, queste bizzarre creature, sono mostri dalla coscienza atrofizzata in posizione contorta.

O almeno, questa scrittrice è un mostro dalla coscienza atrofizzata eccetera.

Una volta, qualche tempo fa, ero a un funerale, e a un certo punto mi sono sorpresa ad ascoltare solo molto vagamente quello che diceva il sacerdote. Il resto del mio cervello, avendo colto un possibile spunto nella predica, era già impegnato a strologarci sopra una trama. Mi sono sentita davvero orrida, perché sono sinceramente affezionata alla famiglia della persona di cui si stava celebrando il funerale, e non avevo nessuna intenzione di distrarmi o, peggio ancora, di mettermi a scrivere.Writeinoneshead

Scrivere, sì. James Thurber raccontava che sua moglie, quando lo coglieva con lo sguardo assente, durante una cena con gli amici oppure a teatro, sbottava dicendogli “Dannazione, Thurber, piantala di scrivere!”, con questo intendendo (a ragione) che il marito era impegnato a rimuginare trame o giri di frase. E sono certissima che Thurber non faceva apposta, come io non ho fatto apposta durante il funerale: è come se un lembo di cervello rimanesse sempre di sentinella, pronto a cogliere la minima circostanza passibile di sviluppi narrativi e ad elucubrarci sopra. Ci si scopre a farlo mentre si fa la coda all’ufficio postale, mentre si guida, mentre si fa conversazione senza troppo interesse, mentre si sfoglia una rivista, mentre si fa ginnastica, in treno, al ristorante, in chiesa (sigh!), al cinema**… O per la maggior parte del tempo non ci si scopre affatto: lo si fa e basta.

Immagino che faccia parte del gioco. Una volta un vigile del fuoco mi ha detto che, dovunque vada, per prima cosa cerca con gli occhi gl’impianti antincendio e le uscite di sicurezza. È più o meno lo stesso, se si eccettua il fatto che tendono ad esserci molti più spunti narrativi che idranti. Salvo forse in un negozio d’idranti, ma non è detto.

DistractedE poi che cosa si fa con queste schegge? Se ci sono sia il mezzo che la possibilità, le si annota***, spesso e volentieri le si lascia perdere. Qualcuna mette radici, la maggior parte no. Qualcuna si sviluppa, qualcuna torna in mente al momento giusto per combinarsi con qualche altra cosa, qualcuna diventa un racconto, una poesia o un romanzo, magari dieci anni più tardi. La maggior parte si dimentica, o rimane annotata a matita sull’orlo di una pagina o su un biglietto ferroviario: il tasso di sopravvivenza fino a compimento è infinitesimale. E però non per questo si smette di partire per strane tangenti alla minima provocazione, con l’occhio assente e la figuraccia sempre dietro l’angolo: è una seconda natura, anzi una prima natura.

La natura dello scrittore, diciamo a noi stessi, per consolarci quando siamo sorpresi (o ci sorprendiamo da noi) a scrivere nella nostra testa nelle situazioni meno opportune.

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* Giuro di averlo fatto durante una lezione di Sociologia, pur continuando a prendere appunti per tutto il tempo. Ma allora ero molto più giovane, e probabilmente avevo più neuroni per fare del multi-tasking.

** È per questo che sarebbe bene avere sempre un taccuino al seguito. E una penna, ovviamente.

Set 15, 2017 - grillopensante, scrittura, teatro    Commenti disabilitati su Lo Specchio d’Inchiostro

Lo Specchio d’Inchiostro

MirrorMirrorCredo di avervi detto qualche centinaio di volte, nel corso dell’ultimo anno o giù di lì, che il Coro di Shakespeare in Words è stato il mio ritorno sulle scene dopo più di vent’anni. Così come vi ho detto che stavo scrivendo (e adesso ho finito) un romanzo che parla di teatranti – un teatrante in particolare – nella Londra elisabettiana.

Ebbene, quello che forse non vi ho detto è come le due cose si siano incrociate e influenzate a vicenda…

Allora, cominciamo dicendo che il mio protagonista è, appunto, un attore. Un attore di notevole talento, insoddisfatto delle parti che si trova a recitare – ma questo non ha molto a che fare con me. La cosa rilevante è che, in seguito a un incontro rilevante, N. comincia a mettere in discussione quel che fa in scena – e come lo fa. Non è proprio un caso di Millepiedi di Kipling, perché N. non si rovescia nel fosso a ActorElizdomandarsi che zampa muovere per prima – però diventa molto più consapevole dei rapporti di causa ed effetto in quel che fa e nelle reazioni che ottiene. E altre cose di questo genere. Diciamo che comincia a elaborare una teoria dietro la sua pratica quotidiana – e a pensare a quel che questa teoria implica…

E no, non allarmatevi: è un romanzo, e funziona romanzescamente – o almeno spero. Però questa consapevolezza fa parte della crescita del protagonista.

E della mia, si direbbe – perché scrivere di tutto questo mentre reimparavo a stare in scena, è stato infinitamente d’aiuto. Il modo in cui N. pensava, la tecnica che usava, le scoperte che faceva in fatto di rapporto scena-platea eccetera… tutto ciò è servito ad esplorare quello che stavo cercando di fare, a disciplinare e sistematizzare un sacco di idee – qualcuna vecchia di vent’anni, qualcuna nuova, qualcuna solida, qualcuna allo stato gassoso. Ed è servito a tradurre e capire cose che G. la Regista buttava lì per vedere che cosa ne avrei fatto. Ed è servito, la sera del debutto, a farmi guardare negli occhi l’uno o l’altro membro del pubblico.Me-Writing

Non vi stupirà troppo se vi dico che la cosa ha funzionato anche nell’altra direzione: quel che facevo in prova o in scena – scoperte, rovelli, progressi, terrori e travasi di bile – diventava materiale per i rovelli di N. Poi, si capisce, N. è molto più bravo di me – per non parlare del fatto che vive, pensa e recita in un altro secolo. Io non sono N. e N. non è me. Però ci sono sempre quelle cose che non cambiano troppo attraverso i secoli (e che qualche fortunata volta sono lì a strizzarci l’occhio, annotate su un copione del tardo Cinquecento), e quelle cose che sono cambiate, ma vanno tradotte perché il romanzo possa essere un romanzo.

Ed è stata una piccola, luccicante, soddisfacentissima rivelazione vedere come, pur trattandosi di due storie diverse, scrittura e recitazione si siano incontrate a mezza strada, specchiandosi l’una nell’altra, dandosi forma a vicenda. Sono certa che tanto il Coro quanto N. ne hanno tratto giovamento.

Un Taccuino, Più Taccuini

Parlavasi nei commenti a questo post, con Lucius Etruscus, di taccuini – le gioie e le scomodità, il grado di Taccuinoprobabilità di ritrovare e utilizzare davvero un’annotazione, la comparativa comodità del computer… E io spiegavo che, se una parvenza di metodo c’è nel mio disordine in proposito, esso consta di una singola idea: non un solo taccuino, ma un certo numero di essi.

Perché il fatto è che mi ci è voluta mezza vita per arrivare alla conclusione che devo sempre avere con me un taccuino. Mezza vita, un sacco di frustrazione e l’occasionale lacrimetta versata su idee perdute, scampoli di dialogo o descrizione, riferimenti bibliografici e tutte quelle cose che non arrivavano mai a diventare annotazioni perché non avevo sottomano il mezzo per annotarle.

Con gli anni sono diventata marginalmente più saggia, e mi sono provvista di un taccuino. Un taccuino, con la sua matita al seguito – e l’idea generale era di portarlo sempre con me e annotare felice e contenta per sempre. Sennonché, mi si potrebbe descrivere, senza troppi sforzi d’immaginazione, come un tantino distratta – e Un Taccuino aveva la pessima abitudine di essere spesso al piano di sotto quando io ero a letto, oppure sul mio comodino quando ero fuori casa…

Notebook Paper MugE siccome però era evidente che un’idea non annotata è un’idea persa, ho cominciato ad annotare tutto e sempre – dove capita, come capita – con la vaga intenzione di trasferire poi le annotazioni sull’Un Taccuino. Cosa che evidentemente non ho mai imparato a fare, a giudicare dalla quantità di biglietti ferroviari o del teatro, vecchie buste, volantini, quadratini di cartone e whatnot che  continuano a saltar fuori da tutte le parti, magari coperti di annotazioni per cose che ho pubblicato, rappresentato o venduto da anni… Una volta ho trovato due battute di dialogo scritte su uno di quei tovagliolini da bar con quella che ha tutta l’aria di essere una matita per occhi blu – e io non uso la matita blu…taccuini

Finché non mi è albeggiata in mente la soluzione – una soluzione di una semplicità luminosamente lapalissiana: non ho bisogno di Un Taccuino, ma di più taccuini.

Così adesso ho Più Taccuini:

– Un Moleskine classico, con la copertina rigida e le pagine non rigate. Questo è quello ufficiale, quello su cui, in teoria, dovrei trascrivere le annotazioni randagie – o almeno quelle rilevanti.. Qualche volta se ne viene in giro con me, qualche volta no – ma questo non è terribilmente importante, perché poi ci sono…

– Un taccuino più piccolo che risiede stabilmente sul mio comodino. Perché non importa quanto sia sicura di ricordarmelo domattina, l’esperienza mi ha insegnato che è sicurezza mal riposta. Però adesso ho imparato, ed è diventato del tutto normale accendere la luce nel cuore della notte per prendere appunti.

taccuini2– Un taccuino ancora più piccolo per la borsetta. In realtà di questi ce ne sono diversi, sparsi tra le mie numerose borsette. È vero che ho fatto progressi da questo punto di vista, e in genere quando cambio borsetta il taccuino è la prima cosa che sposto – ma non si sa mai…

– Un taccuino davvero piccolo per borsettine da sera, tasche e marsupi. Perché è facile dirsi oh che diamine, che può mai venirmi in mente di così vitale mentre cammino/ceno/ballo/scio/sono a teatro… e se avete mai scritto alcunché, sapete fin troppo bene come vanno a finire queste cose.

Ecco. Che altro? Oh sì: quando viaggio mi porto sempre dietro due taccuini, e naturalmente ciascuno ha sempre al seguito due penne o matite – perché non c’è nulla di peggio che avere idea e carta, e niente per annotare. O di avere una penna sola che rende l’anima all’improvviso. Avete mai provato a graffire qualcosa con una biro defunta, a mo’ di stilo, come uno scriba antico? Io sì, e posso dirvi che, otlre a non essere facile, tende ad accendere bizzarri sospetti negli occhi di eventuali osservatori. TakingNotes

E questo è tutto, direi. Significa che non mi perdo più nessuna idea? Alas, no – però è d’aiuto.

Tutto ciò che vale la pena di essere ricordato, vale anche la pena di essere annotato, dice McNair Wilson – e a mio timdo avviso, è proprio vero. E questo significa taccuini, taccuini e ancora taccuini.

Apr 12, 2017 - scribblemania    4 Comments

Liste

Mail di A.M.:

Cos’è questa faccenda delle liste che ogni tanto tiri fuori? Serve davvero tenere delle liste? E liste di cosa? Io ho una lista di nomi ma non li uso mai, perché quando inizio una storia la prima cosa che so è come si chiamano i miei personaggi (che poi comunque hanno dei nomi molto normali, non sono mica Barbara Cartland che chiamava le sue eroine Shona o Drena*). Ma tornando alle liste: come le fai e a cosa dovrebbero servire?

listieAh, le liste! Mi piacciono tanto le liste, ne ho in ogni dove e di ogni genere. Qualcuna la uso, altre presumibilmente non le userò mai in vita mia, ma mi piacciono tanto lo stesso. Come le faccio? Inizio scegliendo un argomento ed elencando tutto quello che mi viene in mente in proposito, e poi aggiungo mano a mano che trovo pezzi nuovi per la collezione. A cosa servono? A parte il fatto che non sai mai quando ti serviranno un nome bulgaro, un aggettivo che rimi con abside e un’imprecazione medievale, ho constatato che scrivere elenchi stimola le associazioni di idee, produce bizzarri accostamenti, avvia storie potenziali, conduce in luoghi inaspettati, lega ricordi, sviluppa il gusto per le parole, i suoni, le immagini, le sinestesie… Poi a me piace anche solo rileggerle quando ne ritrovo una da qualche parte – ma questo è soggettivo.

Ora, mi piacerebbe molto dire che le mie liste sono sensate, metodiche, ordinate e facilmente consultabili, organizzate alfabeticamente e suddivise per genere… Mi piacerebbe davvero, ma il fatto è che le mie liste sono sparse tra quaderni, scatole, files in due diversi computer, annotazioni sul kindle, fogli volanti, segnalibri, notes, borsette – e credo di avere reso l’idea.

Nondimeno (a dimostrazione ulteriore del fatto che la gente tende a predicare meglio di quanto razzoli), ecco qualche suggerimento pratico in fatto di liste.

Quali liste tenere?List2

Well, dipende dal gusto personale e dal genere in cui si scrive – ma qui c’è qualche idea:

– Liste di nomi: titoli di coda dei film, necrologi, annuari scolastici, registri parrocchiali, organici delle orchestre, elenchi del telefono e cartelle antispam sono altrettante miniere. Vi ricordate quei giochini di cartone che, bagnandoli, si gonfiavano e diventavano tridimensionali? Per me alle volte funziona così: da un nome un personaggio, dal personaggio la storia…

– Liste di posti: i nomi geografici tendono ad essere belli ed evocativi, a suggerire colori, consistenze, odori… Anche i nomi di posti in cui non si è mai stati. Di Bruxelles non ho mai visto altro che l’aeroporto, ma non posso fare a meno d’immaginarla come una città grigia, ed è per via di una certa qualità fuligginosa del nome.

– Liste di parole: divise per funzione, per genere, per lingua, per ambito, per periodo storico oppure anche solo per suono, per associazioni, per connotazione. Non c’è davvero limite, ma una prima lista che consiglierei di tenere a chi non l’ha mai fatto prima è quella delle parole preferite. Tutti abbiamo delle parole preferite, per un motivo o per l’altro, per significato o per suono: tra le altre cose, un principio di elenco di questo genere tende ad essere significativo.

– Liste di libri: titoli, libri letti, libri che si vogliono leggere, libri amati, libri detestati, libri utili, libri che descrivono un luogo, un’epoca, un’atmosfera, un personaggio, libri scoperti per caso, libri fondamentali, libri iniziati per forza e finiti per incanto, libri deludenti, libri che avremmo scritto diversamente; generi e sottogeneri, personaggi, temi, trame, poetiche distorsioni della realtà, errori clamorosi, finali, promesse non mantenute, sorprese, idee…

– Liste di colori, di sfumature, di accostamenti, di strumenti musicali, di venti, di miti, di stoffe, di sinonimi, di sogni, di momenti particolari, di gesti, di date, di fiori, di scoperte scientifiche, di trattati, di musei, di strade, di imperi, di essenze, di luoghi immaginari…

Credete: una volta che avrete iniziato – sempre che sia davvero la vostra tazza di tè – il difficile è fermarsi.

listmakingCome organizzare le liste?

– Come dicevo sopra, io non organizzo. Sperimento, annoto, butto giù dove capita e dimentico qua e là. E’ pittoresco e dà adito all’occasionale sorpresa, ma non è spaventosamente comodo. Il consiglio che posso dare in proposito non è originalissimo: meglio tenere sempre un notes a portata di mano.

– Conosco gente che usa sistematicamente uno o più quaderni, oppure rubriche, schede o persino registri. Una cosa che mi è parsa sensata sono i raccoglitori ad anelli, che consentono di aggiungere più o meno indefinitamente. Il sistema più bello che abbia mai visto contemplava un raccoglitore ad anelli organizzato con quei divisori di cartoncino, ciacuno provvisto di tag sporgente e lista di liste sul dorso. Magnifico. Ho invidiato molto e cercato d’imitare – senza il minimo successo, naturalmente. Siccome non si può avere sempre al seguito il proprio Libro delle Liste, questa gente metodica e ordinata è anche provvista di notes e foglietti volanti, il cui contenuto poi trasferisce là dove va messo.

– I files elettronici hanno un sacco di vantaggi, primo tra tutti quello di poter ordinare alfabeticamente il contenuto delle liste. La consultazione e l’aggiornamento diventano molto più facili ed è possibile tenere tutto a portata di mouse in un’unica cartella. Anche qui ci vuole un certo grado di dedizione per riportare sistematicamente annotazioni e appunti volanti.

Che farne di preciso?List1

La prossima volta che avete un attacco di Blocco, quando vorrete un’idea per una storia o un personaggio, quando vi sarete scritti in un angolo, quando non saprete come iniziare, potrete tirar fuori le vostre liste e scorrerle in cerca di illuminazione. L’illuminazione tenderà ad arrivare, perché le liste sono mappe, reti, percorsi che la vostra mente ha messo da parte per più tardi, scegliendone gli elementi con molta meno serendipità di quanto possa sembrare.

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* Nota della Clarina: se è vero che Barbara Cartland ha scritto quasi settecento romanzi, immagino che a un certo punto abbia esaurito i nomi normali…