Tagged with " scrittura"
Giu 30, 2010 - scribblemania    Commenti disabilitati su Luglio

Luglio

Dunque, domani è il 1 Luglio*.

Ho deciso che luglio sarà un mese d’intensa scrittura e lettura.

Non che possa prendermi un mese di ferie, sia ben chiaro, ma ho organizzato le cose (o almeno spero di averle organizzate) in modo da avere del tempo libero, in luglio, così da poter scrivere e leggere parecchio. Un Writing & Reading Month.

Lista di cose da scrivere:

§ Racconto di 7000 parole – argomento storico, elementi inconsueti (per me), doppio punto di vista femminile, nuova tecnica da sperimentare, occhio rivolto a Glimmer Train**. D’ora in poi conosciuto sotto il nome di 7K.

§ Riprendere la revisione della Mela Rossa – e darci dentro sul serio, e al diavolo Balta Oghlu! No, non davvero al diavolo, si capisce, ma adesso si fa come dico io, che diamine! D’ora in poi conosciuto come TRA.

§ Idea Nuova – no, non mi metto a scriverla adesso, anche perché è ben lungi dall’essere pronta e anzi, ne esiste ancora solo metà, ma è lì che luccica e promette, ed è il genere di idee che di solito, con la debita quantità di applicazione, tempo e paglia, mi conduce a scrivere romanzi metaletterari, metastorici o metaqualcosa: per il momento richiederà molte tempeste cerebrali, molti strologamenti e un po’ di finta noncuranza. D’ora in poi indicato come NI.

Ed è molto più che abbastanza, credetemi.

Quanto alle letture, allora…

Il Grande Gioco, Il Mondo Di Ieri, The Infernal World of Branwell Bronte, Brat Farrar, Il Libro Dei Libri Inesistenti, Per Una Stella Da Maresciallo, The Lodger, Novel Writing: Beginnings, Middle Points, And Endings, El Sol De Breda, Dumas Et Les Mousquetaires, che fa già una media di un libro ogni tre giorni, e poi non sono nemmeno sicura che non arrivi qualcos’altro da recensire per la HNR…

Vi terrò aggiornati.

_______________________________________________________________________________________

* Voci dal fondo: “Ma va’?” E invece no, non è mai detto fino in fondo: una volta, nella mia altra vita, sono riuscita a datare una mesata di fatture al 31 giugno, con gran divertimento del commercialista, perplessità di qualche cliente più occhiuto e successiva necessità di ristampare tutto quanto…

** Rivista letteraria americana. Uno dei miei scopi nella vita è di riuscire un giorno a pubblicare qualcosa – qualcosa su Glimmer Train.

Arte & Mestiere

Più o meno sapevo che questo post avrebbe avviato un principio di dibattito, perché l’argomento tocca corde tese (molto tese) tra l’immaginario collettivo e la cruda realtà, o almeno una certa percezione della cruda realtà.

L’idea generale sembra essere che la scrittura consista nell’aprire il proprio cuore e versare il contenuto sulla carta. Messy, se lo chiedete a me, e del tutto irrealistico, ma profondamente radicato. Per contro, il concetto che scrivere sia un mestiere che s’impara, che ha i suoi principi, le sue teorie, le sue astuzie, le sue tecniche e i suoi strumenti, fa inorridire molta gente. Addirittura, come si evince dai commenti a questo post altrui, l’uso di strategie viene visto come qualcosa di sleale o disonesto.

Credo che sia necessario fare una distinzione: da un lato c’è la tecnica della scrittura propriamente detta, dall’altro c’è il mercato editoriale.

La tecnica è la cosa che, quando abbiamo sedici anni e riempiamo vecchie agende di racconti scritti a biro, ci fa rabbrividire. Non c’è da stupirsi visto che viviamo in una temperie culturale istericamente ansiosa di porre tutta l’enfasi possibile su spontaneità, istinto, ispirazione e natura. Poi qualcuno dovrebbe prendersi la briga di spiegarci, mentre cresciamo, che spontaneità, istinto, ispirazione e natura da soli non bastano. Nemmeno il talento basta, se vogliamo perché, come l’elettricità, se non è incanalato, disciplinato e convogliato attraverso i giusti strumenti, non accenderà mai nessuna lampadina. Qui, badate bene, non stiamo parlando di genio, che segue regole tutte sue e non è classificabile. Parliamo invece di una combinazione di attitudine, gusto e immaginazione, che deve essere educata e disciplinata. Disciplina, altro tabù culturale: guai a dire che la pratica dell’arte richiede disciplina… o meglio, questo non è del tutto vero. E’ generalmente accettato che eseguire lavori altrui richieda applicazione e fatica. Tutti si aspettano grandi quantità di pratica e di sforzo da una ballerina classica o da un pianista, ma quando dall’esecuzione si passa alla creazione, ecco che torna alla ribalta l’immagine dell’artista libero, spontaneo e spettinato che lavora febbrilmente sotto la spinta irresistibile dell’ispirazione. Ebbene, sorpresa: l’immagine è carina, ma fasulla. Narrare una storia è una questione di logica, di causa ed effetto, di conseguenze e di estrema consapevolezza. Narrarla bene, poi, richiede di saper calcolare con accettabile precisione l’effetto di ogni singola parola, figura retorica e frase. E questi sono strumenti che s’imparano. S’imparano leggendo molto, provando a riprodurre, sperimentando strade nuove, leggendo ancora, studiando, scrivendo e riscrivendo, rileggendo ad alta voce, leggendo ancora un po’ studiando ancora di più… E’ il lavoro di una vita, se si fa sul serio. Ma, così come c’è differenza tra chi strimpella il pianoforte per il proprio piacere e chi si esibisce come concertista, allo stesso modo c’è differenza – una differenza nettissima – tra l’impegno richiesto a chi scrive per sé e chi pubblica.

E questo ci porta al mercato. Il mercato è molto, molto competitivo. Il mercato dovrebbe fornire una forma di selezione naturale. Il mercato non sempre funziona come dovrebbe, almeno non dappertutto e non a tutti i livelli. Il mercato non è una sudicia invenzione dei nostri tempi barbari e globalizzati – il mercato è sempre stato recipiente e stimolatore dell’arte, fin dalla prima occasione in cui qualcuno è stato pagato per una creazione artistica. Provate a contare quanti Caravaggio sono stati dipinti su commissione, e quanti perché il pittore si era svegliato in preda una piena alluvionale di spontaneità, istinto, ispirazione e natura.  Ma non divaghiamo e torniamo alla scrittura. Il mercato essendo quello che è, gli scrittori sviluppano strategie che integrano nella scrittura forme, diciamo così, di marketing. I Tre Ganci sono una di queste strategie, e il loro scopo non è quello di costringere con l’inganno l’ignaro lettore-pastorello a spendere i suoi sudati quattrinelli una porcheriola rilegata in brossura, ma di catturare l’attenzione di un potenziale acquirente bombardato da un’enorme quantità di offerte. L’onestà in scrittura è questione dai molteplici livelli, perché se non mi piacesse essere condotta in tondo per un po’, non leggerei romanzi, ma mi aspetto di essere condotta in tondo con finezza, grazie. Tuttavia, è onesto offrire sempre la migliore scrittura che si è in grado di produrre, in termini di struttura e di stile. Ciò detto, però, l’attenzione del lettore va guadagnata e mantenuta. Catturare il lettore, trascinarlo dentro la mia storia, tenercelo fino alla fine e lasciarlo andare desideroso di averne ancora, non è disonesto: è il mio mestiere. Cosa mi fa presumere che il mio stile, per quanto mi sforzi, sia così superiore a quello di chiunque altro da darmi l’incondizionata attenzione del lettore senza nessuno sforzo? Beata ingenuità, direi, e forse un soffio di presunzione.

Insomma, nel momento in cui decido di pubblicare una storia, essa assume una sua forma di vita indipendente da me. Dal punto di vista di questa vita, quanta gente legge la mia storia, quanta gente la legge fino in fondo, quanta gente la apprezza davvero, non sono questioni irrilevanti: sono rilevantissimi numeri che il mio libro dovrà contendere ad altri libri a colpi di molti tipi di superiorità e di appeal. E dunque, se voglio mandarlo Là Fuori, devo anche equipaggiarlo per la lotta.

Apr 24, 2010 - Spigolando nella rete    Commenti disabilitati su A Proposito di Fanfiction

A Proposito di Fanfiction

Per molto tempo ho pensato che fanfiction si traducesse come “adolescenti che, invece di fare i compiti, scribacchiano versioni idealizzate di se stesse in rimasticature di episodi del telefilm preferito”. Poi un’amica inglese mi ha confessato di scrivere fanfiction, e siccome la signora in questione ha due lauree e sta concludendo il secondo dottorato, e scrive divinamente, mi sono domandata se non mi fosse sfuggito qualcosa.

La risposta è sì. Guidata da V., a suo tempo, ho svolto qualche piccola indagine, scoprendo in rete una popolazione variegatissima, principalmente femminile – ma non solo – dalle adolescenti di cui si diceva fino alle insospettabili docenti universitarie: scrivono, scrivono, scrivono. Prendono personaggi altrui, li fanno agire, li interpretano, li cambiano, allungano o accorciano loro la vita, li fanno interagire con personaggi di loro creazione, con versioni di persone reali, con personaggi di altra provenienza. Qualora non bastasse, discutono, discutono, discutono. Si accendono zuffe furibonde su date, eventi, caratterizzazioni, pairings… hanno un glossario comune che distingue generi e convenzioni, e poi ogni fandom ha il suo canone, il suo universo, le sue communities, le sue usanze e i suoi tabù.

La qualità della scrittura varia abissalmente, e la sorpresa non è tanto trovare montagne di wishful writing ai limiti dell’analfabetismo, quanto imbattersi – e nemmeno troppo di rado – in storie complesse, articolate, assai ben scritte. Annoto due particolari: uno è che il livello tende a variare da fandom a fandom: è più facile trovare buona scrittura attorno a film di nicchia o serie di culto Anni Sessanta che attorno a telefilm adolescenziali, mentre per tutto ciò che è molto popolare c’è davvero di tutto. In secondo luogo, il fenomeno sembra più variegato e diffuso nel mondo anglosassone: in Italia tende ad essere limitato alle adolescenti che si aggiungono, descrivendosi coraggiosissime, bellissime e affascinantissime, nella trama del Signore degli Anelli.

Non dico che non tornerò sul fenomeno, perché presenta tutta una collezione di significative bizzarrie, ma per oggi vorrei soffermarmi sul sorprendente fatto che c’è anche chi scrive fanfiction a sfondo letterario. Questi sono un po’ di numeri presi dall’indice della sezione Books di Fanfiction.net. Ora, FF non è precisamente la crema dell’ambiente, e le communities dedicate lo guardano un po’ dall’alto in basso, ma è interessante perché ci si trova di tutto, e consente piccole indagini comparative. Per esempio:

1984, di George Orwell: 198 storie. L’avreste mai detto? Io, francamente, no.

Eneide: ebbene sì, c’è persino una fanfiction sull’Eneide: l’ipotesi sembra essere che nel Libro IV Enea non abbandoni Didone, ma non ho avuto il coraggio di leggere fino in fondo.

– Alexandre Dumas: in generale, 157 storie, più 24 storie per Il Conte di Montecristo.

– Tennyson: due poesie imitative, ispirate a The Lady of Shallot.

Angeli e Demoni: 55 storie, più 247 storie per Il Codice Da Vinci. Poche, tutto considerato.

– La Bibbia: 2862 storie. Don’t. Ask.

I Racconti di Canterbury: 9 storie.

Don Quixote: 7 storie.

– Edgar Allan Poe: 177 tra storie e poesie.

Farenheit 451: 28 storie.

Via Col Vento: 587 storie.

Harry Potter: 452.391, non del tutto imprevedibilmente.

Le Storie di Erodoto: 6 storie.

Jane Eyre: 207 storie.

Il Cacciatore di Aquiloni: 6 storie.

I Miserabili: 1838 storie (ma bisogna considerare anche l’influenza del musical).

Lolita: 1 storia.

Il Piccolo Principe: 2 storie (pensavate di più, eh?).

Il Signore degli Anelli: 43.176, 2580 e qualcosa per Il Silmarillion e solo 27 per Lo Hobbit.

Le Metamorfosi di Ovidio: 5 storie.

Moby Dick: 3 storie.

Twilight: 142.128 storie.

Tenera è la Notte: 68 storie.

L’elenco completo è molto più lungo e comprende, tra l’altro, un’unica categoria in Italiano per Scusa, ma ti chiamo amore, che risulta misericordiosamente vuota. Mi pareva di ricordare di avere visto una consistente categoria dedicata a Shakespeare, ma non la vedo più. I numeri sono istruttivi, ma questo non è tutto il punto.

A parte tutto, non posso fare a meno di essere affascinata da tutte queste persone che, nel loro tempo libero (o invece di fare i compiti), appiccano seguiti, finali alternativi e scene aggiuntive a Ovidio, Chaucer e la Bibbia. Voi no? 

 

Apr 15, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Non i miei dieci libri preferiti, ma dieci libri che sono davvero seccata di non avere scritto io. E’ diverso.

1) Lord Jim, di Joseph Conrad. Ma va’? direte voi. E’ una questione di potenza, di bellezza, d’intensità e di nitidezza. Nonostante la selva di narrazioni indirette, Conrad riesce a mettere tutto quanto in una prospettiva vertiginosa, centrata su un singolo errore del protagonista, conseguenza dopo conseguenza. Credo che potrei mentire, rubare, truffare e uccidere per saper fare questo…

2) History Play, di Rodney Bolt. Il più brillante, raffinato, intelligente e spiritoso gioco letterario che mi sia capitato di leggere – e ci sono pure cascata in pieno. Ci ho messo un bel po’ di pagine a capire che i dubbi su Shakespeare erano costruiti ad arte e che parte delle fonti erano immaginarie… e quando me ne sono accorta, ero talmente catturata dal gioco che non mi sono nemmeno seccata. Vorrei saper barare con tanta finezza e grazia.

3) Un Uomo Per Tutte Le Stagioni, di Robert Bolt*. Francamente non è che mi piaccia molto, e di sicuro non ho simpatia per Thomas More, ma accidenti, se vorrei saper mettere in scena dei personaggi storici (per tacere dell’occasionale figura allegorica) e farli parlare di ragion di stato, di Dio, di coscienza e di massimi sistemi con la plausibilità e naturalezza che a Bolt riesce così bene!

4) Poesie, di Emily Dickinson. Non scrivo poesia, ma quelle immagini che ti folgorano come un raggio di luce improvvisa e poi ti rimangono dentro, lustre e taglienti come gemme, chi è che non vorrebbe saperle mettere su carta?

5) Gli Ultimi Giorni di Costantinopoli, di Sir Steven Runciman. E’ rigorosissimo, ma si legge come un romanzo; è ricco e tumultuoso, e perfettamente chiaro al tempo stesso; e fa sperare, gioire e soffrire con i difensori, anche se sappiamo tutti benissimo come va a finire. Storia scritta al livello più entusiasmante.

6) Un libro qualsiasi di Gerald Durrel. Con la possibile eccezione di Storie Dal Mio Zoo, che posso accettare serenamente di non avere scritto io, sono tutti piccoli capolavori di humour leggermente surreale, memorie famigliari, viaggi e divulgazione scientifica, frullati con un’apparenza di disinvoltura noncurante che è tutta la mia invidia.

7) Kipling, di Renato Serra. Un gioiello di critica letteraria per profondità, intuizione, spessore, entusiasmo contagioso e bellezza della scrittura. E’ semplicemente impossibile non lasciarsi trascinare da Serra.

8) Annibale, di Gianni Granzotto. Letto e riletto così tante volte che la copertina si sta sbriciolando: una combinazione perfetta ed appassionante di rigore storico, capacità divulgativa e adesione profonda al personaggio, con l’occasionale speculazione intelligente.

9) La Figlia Del Tempo, di Josephine Tey. Già il fatto di dare ritmo a un giallo in cui l’investigatore è a letto con una vertebra fratturata non è impresa da poco. Qualora non bastasse, il giallo diventa una meravigliosa riflessione sulla storia e sulla verità, ed è anche condito di dialoghi scintillanti. Molto vicino alla mia idea di perfezione, grazie.

10) Il Pozzo Delle Trame Perdute, di Jasper fforde. Magari la trama non è la più tesa e compatta fra le avventure di Thursday Next ma, per una volta, non m’importa: è alla meravigliosa burocrazia del mondo dei libri, agli artigiani che producono pezzi di ricambio per i romanzi, al Gatto del Cheshire bibliotecario e a tutto questo splendore d’invenzioni metaletterarie che vorrei avere pensato io!

E poi, a dire il vero, è dura fermarsi qui**. La scelta non è stata facile: sono molti i libri che ammiro, e l’elenco si allunga continuamente (cosa che prendo per un buon segno). Però questa lista è già indicativa di quello che voglio non solo da quello che leggo, ma da me stessa quando scrivo. A giudicare dai titoli qui sopra, direi che intensità, idee, rigore, vividezza e personaggi che non si dimenticano sono sul menu, con un po’ di nonsense per dessert.

__________________________________________________________________________

* Non avevo mai fatto caso all’omonimia con l’autore precedente. Non so se ci sia parentela.

** Tant’è vero che debbo citarne almeno un altro: Jonathan Strange e il Signor Norrel, di Susanna Clarke, non foss’altro che per la brillante idea dei maghi inglesi che confondono le idee alle truppe napoleoniche spostando a destra e a manca strade, fiumi e villaggi di Spagna!

 

Gen 26, 2010 - commercials    Commenti disabilitati su Iridescenza

Iridescenza

Non c’è verso che mi ricordi a quale casa automobilistica appartenesse questa campagna, e mi dispiace, perché chiunque ne abbia ideato lo slogan è un genio.

Driving technology.

Tutto qui: due parole due. E però provviste di tutta una serie di significati che si possono tradurre liberamente in:

1) Tecnologia per guidare

2) Guidare la tecnologia

3) (Siamo) motivati dalla tecnologia

4) Tecnologia all’avanguardia

Tutti pertinenti, tutti incoraggianti dal punto di vista di un eventuale consumatore, ciascuno un dito puntato verso una direzione diversa: l’aspetto pratico, il vantaggio per il consumatore, la filosofia produttiva, l’eccellenza del prodotto. Tutto, ripeto, in due parole.

Francamente, non mi ricordo nemmeno il resto dello spot, ma il modo in cui è concepito questo slogan mi ha colpita, perché prende un meccanismo poetico particolarmente raffinato e complesso e lo utilizza a fini commerciali. Ora, non scrivo poesia, e non ne leggo nemmeno moltissima, ma adoro quell’estrema distillazione del linguaggio poetico per cui ogni parola/combinazione di parole racchiude più di un significato. Come una gemma che mandi una luce diversa a seconda di come è orientata. Questa iridescenza è una delle caratteristiche più preziose e inafferrabili del linguaggio, poetico o no, e farne un uso così compatto, efficace e coerente è favolosa scrittura; non m’importa se è finalizzata a vendere automobili.

E adesso, se fossi brava, mi proporrei di esercitarmi a produrre qualche cosa di simile, diciamo almeno due combinazioni aggettivo/sostantivo, o sostantivo/verbo, o verbo/avverbio, con almeno due significati diversi e connessi tra loro. Prima della fine della settimana. Perché qualche gemma, ogni tanto, sta bene anche incastonata nella prosa.

Gen 5, 2010 - commercials, Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Un Buon Genitore usa Voltaren

Un Buon Genitore usa Voltaren

Il mio interesse per la pubblicità risale al giorno in cui il Professor Donnini (Storia delle Relazioni Internazionali) ci fece notare che nessuna pubblicità ti dirà mai “Compra questo orologio, così saprai sempre l’ora giusta!”

Quelli erano gl’ingenui primordi della pubblicità in altri secoli, ma ben presto ci si è resi conto che, per certe categorie di prodotti, la motivazione pratica è l’ultimo dei tasti da toccare con il potenziale consumatore. E perché? Presumibilmente perché l’orologio di plastica in omaggio con le merendine è capace di segnare l’ora giusta esattamente come un orologio di Cartier… Per indurre qualcuno a volere un Cartier il punto dev’essere ben diverso.

Questo principio è nato per la pubblicità di beni di lusso o per marche particolari di beni di consumo: tu, o consumatore, vuoi questo orologio, questa macchina, questi jeans, questo profumo, queste scarpe, non per la loro funzione pratica, bensì per ciò che il fatto di possederli dice di te. Ovvero, per l’effetto che avrà sugli altri. Se ci fate caso, le pubblicità dei jeans (e dei profumi) tendono a contenere richiami di natura sessuale esplicita anzichenò, e non è un caso. Con le automobili, mileage may vary: le pubblicità dei SUV puntano sulla sicurezza e sul senso d’avventura e libertà, le berline sul prestigio sociale, le station wagons sui valori famigliari, le piccole automobili sulla forte personalità, sul divertimento o sulla femminilità, mentre bassi consumi, tecnologia e vocazione ecologica tendono ad essere onnipresenti. Come dire che ce n’è per tutti.

Il trend è meno evidente negli spot dei detersivi, il cui messaggio tende ad essere ancora abbastanza straightforward (“Con questo detersivo avrai camicie più bianche”), con riferimenti alla facilità e rapidità d’uso, nonché alla convenienza. Viene da pensare che questo approccio debba valere per tutti i prodotti specificamente utilitari, ma non è più così. Basta pensare a dentifrici, assorbenti, mentine e pasticche contro il mal di gola presentati come elementi di autostima e sicurezza sociale, nonché agli antinfiammatori.

Antinfiammatori? Ebbene sì: prendete il caso del Voltaren.

 Uno spot mostra un bambino in età prescolare al parco con il cane e, presumibilmente, il padre (off camera; è il suo punto di vista che siamo chiamati a condividere). Bambino e cane sono ugualmente avviliti: papà ha troppo mal di schiena per giocare con loro… ma ecco intervenire la pomata prodigiosa, siore e siori! Miracolosamente risanato, papà è di nuovo pieno di energia per giocare: il cagnetto caracolla estatico, il bambino è al settimo cielo.

Altro spot: giovane madre in tailleur (e forse cartella professionale, non ci giurerei, ma in ogni caso si tratta di una madre che lavora), rincasa accolta festosamente da adorabile bimba con i codini biondi. Mammina non può prenderla in braccio, però: anche lei, come il babbo al parco, ha troppo mal di schiena. Di nuovo interviene Voltaren, stavolta sotto forma di cerotti a lento rilascio. Nella scena successiva, mammina è allegramente intenta a far volare la sua bimba, codini e tutto, e la famigliola è nuovamente felice.

Ne cito un terzo per mostrare la sistematicità del messaggio: mamma e bimbo in visita a uno di quegli acquari in cui si passa in un tunnel trasparente in mezzo alla vasca dei pesci. Il piccolo sarebbe entusiasta, se solo potesse condividere la sua meraviglia con la mamma, che però è bloccata dai cervicali, e non può nemmeno guardarsi attorno. Ed ecco di nuovo Voltaren, stavolta in pastiglie: euforia generale… oh, che meravigliosa giornata all’acquario, mamma!

Insomma, il meccanismo è questo: non “con Voltaren non avrete più mal di schiena”, bensì “con Voltaren sarete genitori migliori!” Sottinteso (particolarmente scoperto nel secondo caso, quello con la mamma che rincasa): tanto più quando il lavoro vi lascia così poco tempo da dedicare ai vostri figli…

Astuto, ricattatorio, persuasivo, semplice, efficace. Qui non siamo nelle regioni rarefatte della pubblicità delle macchine da caffè, non ci sono usi complessi del subtesto, non ci sono lusinghe allo spettatore… solo la più classica delle strutture narrative (situazione sottintesa-conflitto-risoluzione) condita con un abile pizzicatina al senso di colpa del genitore che lavora. Non sarà scrittura elegante, ma di certo è dannatamente astuta!

Gen 1, 2010 - considerazioni sparse, scribblemania    Commenti disabilitati su Buoni Propositi

Buoni Propositi

Oh, va bene. Ci risiamo, un altro anno che comincia… ho già detto che sgradevole sensazione m’ispira ogni anno il I di gennaio? Quella di un enorme, cosmico, deprimente Lunedì Mattina. Con tanto di maiuscole, non so se ci abbiate badato. Ad ogni modo, ci siamo e non c’è nulla da fare: come dice Pollyanna, l’unica cosa buona è che dovranno passare altri dodici mesi prima che sia di nuovo Lunedì Mattina. Lo so, grazie, Pollyanna non dice affatto così, ma credetemi se vi dico che non è una buona giornata per contraddirmi…

Piuttosto, visto che è oggi, e che chi ben comincia è a metà dell’opera, vediamo di fare di necessità virtù*. Buoni propositi. Tre buoni propositi, e non di più.

I. Scrivere. Voglio dire: studiare va molto bene, così come occuparsi del blog, e fare revisioni, e seguire corsi… ma scrivere? Prima della fine del 2010 intendo avere scritto qualcosa di nuovo. Possibilmente un romanzo.

II. Cogliere impavidi le occasioni quando si presentano, anzi no: andarsele attivamente a cercare, le occasioni. E’ un dato di fatto che starsene appollaiati sulla pila dei propri manoscritti contemplando l’orizzonte con aria sognante non conduce da nessuna parte. E, come dice Thomas Hampson, le occasioni capitano a chi è preparato a coglierle.

III. Sperimentare. Tentare qualcosa di nuovo, qualcosa di mai fatto prima. Un genere nuovo, una tecnica diversa, un metodo mai provato. Lo scorso anno l’ho fatto, e i risultati sono stati sorprendenti… More, please.

Ecco qua. Naturalmente adesso me ne verrebbero in mente altri a non finire, ma trovo che tre propositi siano già a pretty tall order per un anno solo, specie per una persona che tende a dimenticarseli prim’ancora di averli formulati. Ne riparliamo tra dodici mesi.

Buon 2010 a tutti!

__________________________________________________________________________________________

* Perché tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, e siccome rosso di sera, bel tempo si spera, se ne conclude che di mamma ce n’è una sola. Sì, sì, sì…

Set 30, 2009 - grilloleggente    3 Comments

La Pistola di Checov

Secondo P. non godo più nulla di quello che leggo o guardo. Libri, film, telefilm, tutto rovinato dalla mia tendenza all’iperanalisi.

La discussione è nata durante una cena a tarda ora, avvenuta casualmente davanti ad un telefilm poliziesco.

A un certo punto, un personaggio dall’aria di comparsa ha posto una domanda sul delitto, e uno dei protagonisti gli ha risposto.

“Hm…” ho mormorato, con una forchettata di paella a mezz’aria. “Lo vedi quello lì? Quello lì ha la Pistola di Checov.”

“Quello lì ha cosa?” ha chiesto P.

L’espressione “Pistola di Checov” si usa per indicare qualcosa che viene introdotto presto nella narrazione, e in modo apparentemente casuale. La sua importanza si rivelerà nel dénouement, e se la cosa è fatta in modo intelligente, conduce a quei felici momenti epifanici in cui il lettore si batte la fronte e ridacchia tra sé, commentando cose del tipo “come ho fatto a non capire prima? Eppure era lì in bella vista… diavolo di uno scrittore!”

Nel caso in questone era fatto in modo un po’ ovvio. O almeno a me pareva ovvio…

“La Pistola di Checov,” ho spiegato. “Che cosa scommetti che è lui l’assassino?”

“Hmf,” ha detto P.

Abbiamo continuato con la paella e con il telefilm, e alla fine l’assassino era proprio il mio Pistolero di Checov.

“Visto?” ho chiesto, con aria compiaciuta.

L’aria di P. era assai meno compiaciuta.

“L’avevi già visto?” ha domandato sospettosamente.

“Certo che no! Ma si capiva, si capiva benissimo dal fatto che il tizio avesse più battute di una comparsa… è come quando, nel libro che ti ho prestato, la protagonista incontra Tr…”

E qui P. mi ha bloccata. Non lo voleva sapere. Lo sta ancora leggendo, il libro, e avere rovinato il telefilm era già più che sufficiente.

“E poi, scusa tanto: la protagonista incontra Tr… a pagina 12. Questo significa che da pagina 12 tu sapevi già come sarebbe andata a finire?”

“Be’… no. Però sapevo chi era l’assassino. Aveva la Pistola di Checov…”

Ecco. Secondo P. non è possibile che mi sia goduta il libro. Troppo impegnata a strologare sulla struttura, e la scrittura, e la caratterizzazione, e la verosimiglianza storica…

“Come fai a leggere, con le rotelline che fanno tutto quel rumore?”

Ago 17, 2009 - scribblemania    Commenti disabilitati su Writing Week

Writing Week

Quest’anno niente vacanze.

O almeno non credo: sto scoprendo che prendere lavoro su lavoro, per pura incapacità di dir di no, non è la più brillante delle idee, ma pazienza. Quest’anno va così.

Però, nel bel mezzo di tutto questo, sono riuscita a ritagliarmi una Settimana di Scrittura.

In genere suddivido le mie giornate tra le varie attività, ma la settimana scorsa no: la settimana scorsa ho scritto, scritto, scritto e ancora scritto. Dieci ore al dì.

Al mattino, appena alzata, il mio primo pensiero era la Storia in Corso; per tutto il giorno lavoravo alla mia storia; durante i pasti, tormentavo la famiglia a proposito della mia storia; sotto la doccia o mentre annaffiavo gli oleandri, provavo i dialoghi della mia storia; mentre aspettavo di addormentarmi, pensavo alla porzione di storia dell’indomani…

E gente, non solo ho finito la SiC, ma è stata una settimana selvaggiamente felice: le idee spuntavano come funghi, particolari apparentemente random seminati all’inizio prendevano senso e germogliavano in svolte della trama, i personaggi sviluppavano ubbie impreviste e perfette per la bisogna…

Scrivere racconti è una gioia, nonché alta oreficeria, ma avevo dimenticato la tremenda vitalità interna che ha un romanzo, il modo in cui una storia lunga e complessa ti trascina con sé.

Mi mancava. Non sapevo nemmeno io quanto, fino alla settimana scorsa… *heaves big, blissful sigh*

 

E adesso, di nuovo al lavoro!

Ago 2, 2009 - scrittura    Commenti disabilitati su Disciplina

Disciplina

“The art of writing is the art of applying the seat of the pants to the seat of the chair.” — Mary Heaton Vorse (1881-1966), American writer …

Un peu brutal, ma ragionevolmente vero. E’ così facile dire “scrivo più tardi”, o “prima devo lavare i piatti/controllare la posta/ascoltare il radiogiornale/telefonare a mamma/preparare la lista del supermercato/… Credo che la procrastinazione sia la prima causa di morte metaforica per gli scrittori. Presentatemi uno scrittore immune, perché io non ne conosco.

Personalmente sono una procrastinatrice cronica e pericolosa (per me stessa e per gli altri, perché quando a fine giornata non ho scritto quanto volevo divento intrattabile), ma sto cercando di uscirne.

Per cui ho deciso di scrivere almeno 250 parole al giorno.

Almeno.

Non sono molte (un paio di paragrafi, di solito, o mezza paginetta di dialogo), e quindi è qualcosa per cui posso tranquillamente trovare il tempo tutti i giorni. D’altro canto, nulla impedisce che scriva di più, e in genere va proprio a finire così: una volta che ho scritto le mie 250 parole, da un lato mi sento in pace con la coscienza, dall’altro non sto più procrastinando, ho aperto il rubinetto, le idee sono lì, io sono lì… non c’è altro da fare che andare avanti.

Per dire: Mercoledì: 254 parole; Giovedì: 1224 parole; Venerdì: 423 parole; Ieri: 895 parole; Oggi: 1198 parole.

E di fare assai meglio non dispero.

Pagine:«12345678910