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Mooligrubs

Mooligrubs è una favolosa parola che ho scoperto sfogliando un libro per fanciulli di Alison Uttley, una cosa chiamata A Traveler in Time, a proposito di una ragazzina degli anni Trenta del Novecento che, più o meno per sbaglio, si ritrova in età elisabettiana… er, sì.

Ma dicevo, mooligrubs.

Dev’essere dialettale, e significa broncio, paturnie, malinconie, malumori e, per estensione, mal di pancia. Non è deliziosamente espressivo? Ed è anche soddisfacente da masticare quando le paturnie in questione ci sono. Quando non si riesce a liberarsi dell’impressione che lo schema generale delle cose comprenda una deliberata intenzione di travolgerci e seppellirci… Ecco, sì – ma non badate a me.

Ho i mooligrubs.

SadSnoopy

O meglio, non badate all’attacco di mooligrubs, ma badatemi quando vi ricordo che:

I. Questa sera riparte Ad Alta Voce, con letture sul tema “L’Appetito Vien Mangiando”.  Alle 21 presso la biblioteca Zamboni di Roncoferraro.

II.  Domani sera bagolo di Shakespeare, Marlowe e cose elisabettiane in genere – a partire dall 20.45, alla Sala Civica di Levata di Curtatone. E se siete stati indotti a pensare che la chiacchierata sia questa sera, non fidatevi. È proprio domani.

Se siete da queste parti, nell’una o nell’altra occasione, perché non fate un salto?

Giuro che per allora mi sarò fatta passare tutte le paturnie.

Feb 5, 2014 - anglomaniac, libri, libri e libri, Storia&storie    Commenti disabilitati su La Sindrome Della Domenica Pomeriggio

La Sindrome Della Domenica Pomeriggio

Domenica, nel tardo pomeriggio…

Conoscete quella poesia di Lois Sorrells, “Triste come una ragazzina di domenica pomeriggio, con i compiti da fare…”?

AlbionA voi non capita? A me sì. Anche se lunedì non devo andare a scuola. Anche se sono passati decenni dall’ultima volta in cui ho dovuto fare i compiti. Anche se ho passato una bella domenica e ho preso il tè con le amiche e ho fatto progetti… Verso sera mi prende quel genere di vago sconforto bigio e umidiccio…

Sapete che cosa intendo. Quel genere di situazione che richiede della cioccolata. Oppure dei libri.

Così, prima di cena ho dato un’occhiatina alla mia wishlist su Amazon – il che è sempre un’idea pericolosissima, ma se non altro ingrassa meno della cioccolata. E, dopo essermi arresa per l’ennesima volta alla difficoltà di comprare un libro su John Dee e la sua casa di Mortlake – che il mini-editore spedisce soltanto entro i confini del Regno Unito – ho ceduto ad altri richiami di sirena, e ho comprato due ebook.

Albion: the Origins of the English Imagination, di Peter Ackroyd, è una massiccia (quando è di carta numera qualcosa come 550 pagine) storia culturale dell’Inghilterra, imperniata su quel che la gente dell’Isoletta ha immaginato di se stessa e in generale attraverso i secoli.

The White Rose Murders, di Paul Doherty**, è una lettura più leggera. Un giallo in cui un nipote del cardinal Wolsey indaga su un omicidio nell’entourage di Margaret Tudor, vedova del Re di Scozia…

Ed ero tentata di considerarmi quasi bravina perché, per una volta, non c’era nulla di elisabettiano – fino a quando non mi sono resa conto che è tutta Inghilterra, in parte Tudor e in parte… be’, non ci si può aspettare che una storia culturale dell’immaginario inglese glissi sul periodo elisabettiano, giusto? white-rose

Quindo no, non sono per niente bravina, però lo sconforto bigio e umidiccio mi è passato. E senza assunzione di cioccolata. E comunque poco dopo si è levato un vento meraviglioso, e poi ho scritto un po’, e più tardi ho guardato la prima parte di Elizabeth I, con la meravigliosa Helen Mirren che fa Queen Bess*** – per cui forse lo sconforto bigio e umidiccio sarebbe passato lo stesso.

Avrei potuto aspettare – ma se avessi aspettato, adesso non avrei altri due libri a strillare leggimi-leggimi! dalla mia già biblica To Read List… Quindi tutto va bene. Tanto si sa che la mia capacità di resistere alle tentazioni è men che nulla.

E voi? Soffrite mai di SdDP?** E come contrastate quella o altre condizioni del genere?

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* E sì, si vede irreparabilmente che è girato in Lituania, e Jeremy Irons che fa Leicester mi è antipatico, e la scena di Tilbury era miserella e bruttina a vedersi – ma nel complesso vale del tutto la pena. E non guasta per nulla il fatto che Helen Mirren sia doppiata da Antonella Giannini.

**Sì, lo so – sulla copertina in illustrazione c’è scritto Michael Clynes. È sempre lui, sotto pseudonimi diversi.

*** Che non mi dispiacerebbe chiamare Sindrome di Sorrells. Suona medico e serio, non vi pare?

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Feb 3, 2014 - grilloleggente, libri, libri e libri, Vita al Villaggio    Commenti disabilitati su Ad Alta Voce – Il Ritorno

Ad Alta Voce – Il Ritorno

puzzle132zVi ricordate di Ad Alta Voce? Vi avevo raccontato, più o meno un anno fa, di questo non-gruppo-di-lettura, un’idea inconsueta che consisteva nel trovarsi e leggersi a vicenda dieci minuti a testa di un libro a scelta – e poi, eventualmente, discuterne.

Concludevo il post in questione dicendo che dovevamo fare esperienza, che avremmo navigato a vista, che tante cose le avremmo capite lungo la strada…

Ebbene, è passato un anno, abbiamo fatto esperienza e abbiamo navigato a vista. Abbiamo imparato tante cose?

Be’, un certo numero sì. Premettiamo che ci siamo divertiti un sacco. Abbiamo letto, abbiamo scoperto titoli, ci siamo scambiati idee, abbiamo mangiato biscotti… E ci siamo accorti di avere formato un piccolo gruppo fedele. Molto fedele e molto piccolo. Dalle cinque alle otto persone, con l’occasionale punta di dieci. E niente di più.

No, non è vero: dimentico la sera in cui ci siamo ritrovati in tanti. Dodici? Quindici? Forse anche di più. È stata l’occasione di una serie di letture interessanti, e di una vivace discussione sul criterio con cui ciascuno sceglie le proprie letture. Pensavamo che fosse il decollo – e invece no. La volta successiva eravamo in cinque.

È saltato fuori che abbiamo spaventato un sacco di gente. Qualcuno si è spaventato della discussione. Altri non hanno apprezzato la formula, perché si aspettavano un gruppo di lettura tradizionale, e invece siam tanto anything but.

Quindi abbiamo imparato che la discussione non è sempre apprezzata. Pazienza.

E abbiamo imparato che come tutte le cose nuove e un nonnulla differenti, dovremo fare più fatica.

Pazienza anche questo.

Ma abbiamo scoperto anche che parecchia gente non sapeva nemmeno che esistessimo – a dispetto delle locandine e della newsletter della biblioteca.

E abbiamo scoperto che, alla fin fine, le serate che venivano meglio erano quelle che avevano un tema. L’incontro estivo a tema celeste, con tanto di astrofilo armato di telescopio. La serata natalizia. Cose così.

E quindi quest’anno Ad Alta Voce ritorna, più agguerrito e più organizzato. Abbiamo una pagina su Facebook, come punto di raccolta, bacheca per le comunicazioni e canale di visibilità generale. Abbiamo dei temi, mese per mese. E abbiamo una cartolina-invito – questa qua sotto.

Cattura

E dunque, si riparte. Come si diceva un anno fa (più o meno), mettete un mercoledì sera in biblioteca. Una manciata di persone, un certo numero di libri, un tema. Ciascuno porta un libro che sta leggendo, ha letto, ricorda con piacere, predilige – basta che il brano che legge abbia a che fare con il tema della serata… 

E poi si legge. Dieci minuti a testa. Due parole d’introduzione e qualche pagina. E poi le domande – se ci sono.

Poi si passa al prossimo lettore, al prossimo libro.

Se siete da queste parti, perché non venite a trovarci? Scaricate la cartolina in pdf, seguiteci su Facebook, portatevi un libro e venite a leggere con noi. Si comincia il 12 febbraio.

E se non siete da queste parti… be’, vi farò sapere.

Gen 15, 2014 - elizabethana, libri, libri e libri, Poesia    Commenti disabilitati su Il Carteggio Marlowe

Il Carteggio Marlowe

The-Marlowe-Papers-pb-jacketTardissimo – perdonate. E neanche molto lungo. Passerà anche l’influenza…

Ma veniamo a noi. Era un po’ che meditavo su The Marlowe Papers, romanzo in versi della poetessa Ros Barber.

Insomma, un’altra storia neo-marloviana, con il buon Kit che, invece di morire a Deptford, fugge sul Continente e procede a scrivere tutto il canone shakespeariano… A parte tutto il resto, quante volte è già stata scritta? E d’altro canto è ormai risaputo che, quando si tratta di Christopherm Marlowe, la mia capacità di resistere alle tentazioni, anche le più improbabili, è… ridotta. Ma soprattutto, l’idea di un romanzo in versi – in pentametri giambici! – mi attirava da matti, non foss’altro che per pura e semplice improbabilità.

Alla fine a decapitare i miei tentennamenti ci ha pensato Babbo Natale, scodellandomi The Marlowe Papers sotto l’albero… E diamine, ne valeva la pena in tutti i modi possibili.

Perché la signora Barber, o Lettori, Sa Quello Che Fa.

Può darsi che la nuda ossatura della trama si sia già vista decine di volte (vedi § 2), ma qui è sfaccettata in un’infinità di piccole scene, narrate in prima persona poetica da un Marlowe per cui è impossibile non parteggiare. Comincia arrogante, pieno di fuoco, incauto e troppo fiducioso per il suo stesso bene, e un po’ per volta, ogni singolo passo verso la grandezza si rivela un’imprudenza da pagarsi a caro prezzo. E noi, leggendo, ci dimentichiamo della teoria bislacca su cui è costruita la trama, per appassionarci ai tormenti, ai riscatti momentanei, alle speranze condannate del narratore. warning-sign-clip-art_420969

Le poesie sono alla fine fine lettere in versi che, dall’estero o dall’invisibilità precaria di un incognito che rischia di far acqua ad ogni passo, Marlowe scrive senza mai spedirle a Thomas Walsingham – amico, mecenate, salvatore e amante… Lettere non spedite, metà diario e metà testamento per almeno tre quarti del libro.

E, per una volta, persino la trasformazione da Marlowe in Shakespeare è fatta con immaginazione e sottigliezza, intrecciando fatti conosciuti, dubbi, ipotesi, vuoti biografici e cronologie di titoli con molta, molta più finezza di quanta se ne veda di solito in questo genere di operazioni.

Il tutto in pentametri giambici – e se pensate che la forma intralci la narrazione, ebbene lo pensavo anch’io, ma mi sbagliavo. Il linguaggio è una gioia – ricco, vario, con una combinazione perfetta di colore elisabettiano e scioltezza contemporanea. E il ritmo del verso da alla voce di Marlowe una specie di pulsazione, un’urgenza irrequieta che trascina dalla prima all’ultima pagina.

Morale: sono conquistata. No, non nel senso che vo abbracciando tesi neo-marloviane – o anche solo antistratfordiane – ma è di nuovo come per History Play: l’intelligenza e l’ammirevole esecuzione, e la capacità narrativa… Allo scrittore che riesce a travolgermi con le variazioni su una storia che, di per sé, mi manda il latte alle ginocchia, va tutta la mia ammirazione.

 

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Dic 27, 2013 - libri, libri e libri, Natale    Commenti disabilitati su Libri Sotto l’Albero ’13

Libri Sotto l’Albero ’13

tumblr_ldyrw4nTuX1qez7zzo1_400Altro classico post delle feste…

Che libri avete ricevuto per Natale? Io un certo numero.

The Marlowe Papers, di Ros Barber, è un romanzo in versi. Pentametri giambici. Il fatto che sia un’altra interpretazione neomarloviana di Deptford eccetera non può molto contro la curiosità per un romanzo in pentametri giambici… Perché no, seriamente: un romanzo in pentametri giambici!

Ancient Rockets: treasures and train wrecks of the silent screens, di Kage Baker – unico ebook del bottino, da parte di gente che conosce la mia ossessioncella per il cinema muto.

La Morte scherza sul Ticino, di Alessandro Reali. Come il titolo lascia intuire, è un giallo vecchia maniera – con tanto di agenzia investigativa a quattro mani insediata in quartiere pittoresco sulla riva del fiume… il tutto ambientato nella mia benamata Pavia.

Il Libro dei Sogni, di Mikkel Birkegaard. Libri proibiti, biblioteche misteriose e organizzazioni segrete in una Copenhagen di metà Ottocento che non ho ancora ben capito fino a che punto sia immaginaria…

Palazzi famiglie ostigliesi e Mondadori nel primo Novecento, di Franco Chiavegatti. Il titolo è proprio così. Giuro. Storia locale – e l’ho ricevuto principalmente perché un capitolo è dedicato a gente con cui sono imparentata.

Il mio romanzo, edito da Corbaccio – a mezza tre quarti di strada tra un piccolo prontuario di scrittura e un taccuino. Dovrei premettere che il donatore è molto perplesso – e ho tanto idea che ne riparleremo…

E infine, un libro non è, ma non posso non citare il bellissimo quaderno dalla copertina rigida rivestita di carta di gelso e petali di fiori, con matita coordinata. Il prossimo volume del mio Playwright’s journal.

Non male, che dite? E voi? Che libri avete ricevuto?

Nov 14, 2013 - libri, libri e libri    3 Comments

Piccolo Bollettino Serale

Che leggere stasera per Ad Alta Voce, il nostro quasi-gruppo-di-lettura?

Un po’ di Durrell? Una pagina da Gli Ultimi Giorni di Costantinopoli? Un pizzico de La Cripta dei Cappuccini? Un po’ di Emi Mascagni?

È tardi e devo decidere, ma davvero non so…

Ott 9, 2013 - libri, libri e libri, teatro    Commenti disabilitati su Assassinio Sul Palcoscenico

Assassinio Sul Palcoscenico

 

teatro, gialli, agatha christie, josephine tey, n'gaio marsh, nicola upson, barry unsworthImmaginate un posto labirintico e pittoresco, pieno di angoli bui e ogni genere di bizzarri attrezzi, popolato di gente temperamentale con tendenza all’egocentrismo che pratica la finzione per mestiere, percorso da rivalità e carrierismo di notevole ferocia… 

Non vi sembra perfetto per quantità industriali di omicidi? 

Be’, siete in buona compagnia: da decenni sembra perfetto a un sacco di giallisti che ambientano le loro storie a teatro e nell’ambiente teatrale…

In realtà dubito che attori, registi e autori teatrali abbiano una tendenza a delinquere superiore alla media. Al momento mi viene in mente soltanto Ben Jonson che uccide Gabriel Spenser in duello – ma ammetto che, essendo successo quattrocento e tanti anni fa, non è terribilmente significativo.

E se vogliamo, anche Marlowe passò un paio di settimane a Newgate per concorso in omicidio (compiuto più o meno per autodifesa da un altro autore teatrale, Thomas Watson), e morì accoltellato in una rissa… ma di nuovo, stiamo parlando di Elisabettiani.

E tuttavia, svariati secoli più tardi, nell’epoca d’oro del giallo classico inglese, si sviluppò una considerevole tendenza a far maturare delitti tra le sensibilità arroventate e le scarse inibizioni dei teatranti.teatro, gialli, agatha christie, josephine tey, n'gaio marsh, nicola upson, barry unsworth

Cominciamo pure da Agatha Christie, i cui attori – dalla Lady Edgware di Tredici a Tavola al Charles Cartwright di Tragedia in Tre Atti, non sono sempre creature equilibratissime. Badate, non sto dicendo che siano necessariamente assassini – ma di sicuro muovono parecchio la trama a furia di temperamento, ambizioni e mancanza di scrupoli.

Con Ngaio Marsh, poi, non c’è gioco. La signora era una regista e insegnante di teatro, per cui l’ambientazione le riusciva naturale. Tanto che, lo confesso, i gialli della Marsh li leggo, più che per l’indagine, per l’aguzzo ritratto dell’ambiente teatrale. Aguzzo e vario: per citare solo un paio di titoli, se il gaio e ironico Death at the Dolphin è costruito intorno al sogno di ogni autore teatrale degno del nome (meno l’omicidio, magari…), il più tardo First Night non risparmia nulla della fatica, delle perfidie e dell’occasionale squallore nascosti dietro le quinte di una produzione.

Dopodiché non sempre i delitti avvengono tra camerini, boccascena e magazzino degli attrezzi. Nessun romanzo di Josephine Tey è ambientato a teatro (anche se The Man in the Queue inizia davanti a un teatro del West End, e la Christine di A Shilling for Candles è un’attrice), ma Marta Hallard, la grande amica dell’Ispettore Grant, è un’attrice teatrale – e frequenta di conseguenza, cosicché attori, autori, registi e produttori non mancano mai.

teatro, gialli, agatha christie, josephine tey, n'gaio marsh, nicola upson, barry unsworthA questo proposito, potrei citare la contemporanea Nicola Upson, che proprio della Tey ha fatto la protagonista della sua serie di gialli. Nel primo volume, An expert in murder, Josephine e Archie Penrose indagano su due omicidi commessi durante l’ultima settimana di repliche del successone teyano Richard of Bordeaux. Per un motivo o per l’altro, mezza popolazione del teatro si ritrova ad avere mezzo, movente od occasione – e forse la maggiore delizia di questo libro sta nei personaggi modellati su gente come John Gielgud o le sorelle Harris di Motley, autentica fauna del West End anni Trenta.

Quindi, vedete, la tradizione continua ininterrotta ai giorni nostri. Spesso, è  vero, continua nei gialli storici. Qualche volta i protagonisti sono fittizi, come l’ur-direttore di scena elisabettiano Nicholas Bracewell di Edward Marston, o il farmacista settecentesco John Rawlings di Deryn Lake – che teatrante non è, ma a un certo punto della sua carriera si ritrova a investigare sulla morte di un primattore assassinato in scena al Drury Lane. Altre volte, il protagonista/detective è un personaggio storico, come il Tom Nashe di Mike Titchfield, o i (plurale) Kit Marlowe di M.J. Trow e Sarah D’Almeida.

Discorso a parte merita il bellissimo e già citato Mystery Play – La Commedia della Vita di Barry Unsworth, in cui un capocomico tardomedievale e i suoi attori risolvono un omicidio abbandonando la vecchia tradizione teatrale dei Misteri. Francamente, in questo caso, l’omicidio non è del tutto rilevante, se non come indovinello viscerale, cui offrono soluzione l’arte e la conoscenza.

Col che non voglio dire che il filone sia confinato ai secoli passati. Non vi stupirete se confesso di non leggere molti gialli di ambientazione contemporanea, ma basta contare quanti episodi de La Signora in Giallo siano ambientati a teatro e abbiano per vittima o assassino un attore, un autore, un regista, un produttore. O un critico – non dimentichiamoci dei critici. Ed è vero, eravamo tra gli anni Ottanta e Novanta, but still.

Perché alla fin fine, il teatro è sempre quel luogo di buio e luci parimenti artificiali, di illusioni, di corde, di armi finte, di gelosie, di apparenza che inganna, di false prospettive, di controllo supremo unito all’impulsività più scoperta. E se niente e nessuno è quel che sembra, torno a chiedervelo: c’è posto più adatto a mettere in scena un assassinio?

Ott 2, 2013 - libri, libri e libri    4 Comments

Nonni Letterari

Mail:

Hai parlato di padri letterari, di zii, di orfani, di ragazze da marito… nonni mai? Non è che approfitteresti della Festa dei Nonni, magari…?

E allora oggi, che è la Festa dei Nonni, parliamo di nonni in letteratura.

Cominciamo costatando che un sacco di nonni di carta si trovano nella letteratura per fanciulli – il che non è affatto sorprendente, in particolare per tutto ciò che è stato scritto in tempi di ridotta aspettativa di vita. E poi, andiamo: il nonno o la nonna, queste incarnazioni della saggezza, delle radici famigliari, delle tradizioni e, talora, dell’affettuosa indulgenza…

festa dei nonni, nonni in letteratura, johanna spyri, frances h. burnett, dickens, grazia deledda, georgette heyer, marcel proustSolo talora, però. Spesso un nonno burbero da conquistare fornisce buona parte del conflitto di cui un piccolo protagonista ha bisogno. Il caso da manuale è il nonno del Piccolo Lord Fauntleroy, l’anziano conte che ha diseredato un figlio per avere sposato un’Americana. Solo che poi il figlio muore, e allora il vecchio misantropo richiama a casa l’aborrita nuora e il nipotino… E francamente, come qualcuno possa rimanere incantato dall’insopportabile Ceddie è più di quanto io arrivi a capire, ma never mind: nell’istante in cui scopriamo che il defunto capitano Cedric era il figlio prediletto, sappiamo già che il conte non ha speranze e, prima dell’ultimo capitolo, sarà convertito a nonno affettuoso, suocero attento, generoso signore del luogo e filantropo in generale.festa dei nonni, nonni in letteratura, johanna spyri, frances h. burnett, dickens, grazia deledda, georgette heyer, marcel proust

Stessa storia per il francese En famille – però spostato dall’aristocrazia britannica all’alta borghesia industriale. Stessissima storia: vecchio signore inflessibile, figlio amatissimo ripudiato per matrimonio d’amore – poi morto lasciando una bimba d’innumeri virtù. Alla povera Perrine va peggio che a Ceddie: anche la mamma muore, e lei deve impiegarsi come operaia… indovinate un po’? Presso il canapificio del nonno. Ma Perrine è onnicompetente, e il nonno avrà pure un cuore di pietra, ma riconosce l’efficienza quando la vede. Così Perrine (sotto falso nome) fa carriera, s’insedia accanto al nonno quasi cieco, gli scioglie il cuore, eccetera eccetera fino alla commovente agnizione finale.

festa dei nonni, nonni in letteratura, johanna spyri, frances h. burnett, dickens, grazia deledda, georgette heyer, marcel proustQualcosa di simile capita in Piccole Donne, solo che a sciogliere il vecchio Mr. Laurence non è il nipote, bensì le eponime sorelle. Fosse per lui, Laurie starebbe fresco – ma per fortuna ci sono la vispa Jo e la dolce Beth. E siccome in realtà Mr. Laurence non soffre di litocardia, ma solo di un’iperprotettiva incapacità di mostrare il proprio affetto, tutto si risolve molto prima dell’ultimo capitolo.festa dei nonni, nonni in letteratura, johanna spyri, frances h. burnett, dickens, grazia deledda, georgette heyer, marcel proust

Anche il nonno di Heidi è così: fornire conflitto non è il suo mestiere – al massimo una carriera collaterale. Heidi lo scioglie prima di subito, questo anziano signore di pochissime parole che fa il miglior formaggio delle Alpi svizzere e sa riabilitare le piccole paralitiche come se niente fosse. Scioglimento di routine, e poi per il conflitto ci pensa Fraulein Rottenmeier. Però, intanto che ci siamo, potremmo notare che questa storia contiene anche due nonne. Due nonne e mezza – se consideriamo la nonna materna di Heidi, la cui morte offstage precipita il primo cambiamento nella vita della bimba. Ma poi ci sono la tenera nonna cieca di Peter e la dinamica e affettuosa nonna di Klara, le cui visite illuminano la vita delle due bambine. Insomma, da manuale anche questo, a modo suo: il nonno incarna la saggezza, le nonne incarnano l’affetto, i nonni nel loro insieme incarnano tradizione, sicurezza e stabilità.

festa dei nonni, nonni in letteratura, johanna spyri, frances h. burnett, dickens, grazia deledda, georgette heyer, marcel proustOddio, poi se vogliamo ci sono le eccezioni – e la più maiuscola è forse il nonno della solita Little Nell, cui per contratto deve proprio capitare tutto, e allora le capita anche lo sciagurato (e non equilibratissimo) anziano signore che le sperpera tutta l’eredità e poi la trascina a sgambare su e giù per l’Inghilterra finché lei ci lascia le penne. Tutto col massimo affetto, sia chiaro – but still.*

E questo era l’Ottocento. In tempi più recenti i nonni sono usciti da questi recinti stretti – persino nella letteratura per fanciulli. Se è vero che negli anni Trenta  era ancora comunissimo imbattersi in nonne idealizzatissime come la contessa (o era marchesa?) di Roccabruna, grande dame e angelo  dell’armonia famigliare, le cose erano destinate a cambiare. Credo che mi limiterò a citare un paio di esempi. Come i superficialmente benintenzionati Omama e Opapa di Judith Kerr, che in Quando Hitler rubò il coniglio rosa proprio non arrivano a cogliere il dramma di figlia, genero e nipoti in fuga dalla Germania. I piccoli Anna e Max sono affezionati ai nonni, ma non tardano ad avere l’impressione, per esempio, che Omama sia “una donna piuttosto sciocca.” Caso diversissimo sono i nonni di Arianrhod ne La Congiura di Merlino di Diana Wynne Jones. Vero è che Roddy appartiene all’aristocrazia magica d’Inghilterra, ma la fauna famigliare è variegata: dal nonno paterno potentissimo specialista in meteomagia in pensione, alla nonna paterna rumorosa, non intelligentissima, bugiarda e troppo potente per il suo stesso bene, fino al nonno materno gallese che è… er, la morte.** festa dei nonni, nonni in letteratura, johanna spyri, frances h. burnett, dickens, grazia deledda, georgette heyer, marcel proust

E in ambito di letteratura adulta? Be’, così a memoria mi pare che ci siano più nonne che nonni – e in molteplici varietà. C’è l’intelligente, energica e socialmente ben equipaggiata nonna di Proust – ottima compagnia e affettuosa complice per il nipote ipersensibile. C’è l’adorata nonna santucciana de Il velocifero, che ha due nipoti suoi e ne acquisisce con pari tenerezza un terzo adottivo nell’inquieto Gianni. C’è Gwenlliana, la nonna dell’Henry Morgan di Steinbeck, sognante sibilla gallese che, dal suo posto accanto al fuoco e con i suoi occhi ciechi, vede il destino del nipote a decenni nel futuro e a un mondo di distanza. C’è la terribile nonna de L’incendio, che Grazia Deledda dipinge come la custode della famiglia, della proprietà e del buon nome, attaccatissima ai nipoti, ma irremovibile fino al ricatto morale e alla coercizione più bieca.

Così, sempre a memoria, l’unico nonno che mi viene in mente è in un giallo – e per di più un giallo molto ruritaniano: il principino Otto è l’unico erede di un anziano e malinconico nonno coronato, che si tormenta tra l’angoscia di lasciare al piccolo un trono mal saldo e un irrealizzabile desiderio di lasciargli vivere la sua infanzia…

Ah no, scusate: dove lasciamo i nonni di Georgette Heyer? Ce ne sono diversi, come Lord Lavenham o Lord Darracot – irascibili e tirannici nobiluomini con un debole per i/le nipoti con cervello e spina dorsale.

E qui mi fermo – pur certa di trascurare legioni di nonni letterari fondamentali. Ma il punto è, direi, che a differenza dei padri dickensiani i nonni non sono inaffidabili, e a differenza degli zii in generale, non sono pericolosi.

Al massimo possono essere un po’ rigidi, magari vanno conquistati e senz’altro ci sono eccezioni – ma i nonni in letteratura tendono ad essere gente su cui si può contare.

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* D’altra parte, stiamo parlando di Dickens, e sappiamo che cosa pensava Dickens dei padri, e un nonno che cos’è se non un padre elevato a seconda potenza?

** E tra l’altro, essendo questa Diana Wynne Jones, la morte è tutt’altro che un cattivo nonno.

Letture Miste Assortite

Dunque, vediamo un po’. Questo è un post di segnalazioni varie.

bride of the  swamp god, davide mana, com'è facile scrivere difficile, alessandro forlani, the circle reviewCominciamo con Bride of the Swamp God, di Davide Mana – avventurosissima novella storico/fantastica, in cui si fa conoscenza con l’incauta ma tosta principessa egizia Amunet e l’energico centurione romano Sesto Cornelio Aculeo. Stregoneria, tradimenti, mappe del tesoro, ingenui disertori, precettori greci, un sacco di tentacoli, coccodrilli… c’è proprio tutto in questa che promette di essere la prima in una serie di storie. E speriamo davvero in un seguito, perché vicenda, atmosfera e personaggi sono di quelli che catturano al primo colpo.

bride of the  swamp god, davide mana, com'è facile scrivere difficile, alessandro forlani, the circle review

 

Poi passiamo a Com’è facile scrivere difficile, il prontuario di scrittura creativa di Alessandro Forlani. Alessandro sa di che cosa parla, e lo fa con garbo, intelligenza e ironia. Strutture, dialoghi, personaggi, punto di vista… il prontuario è svelto, puntuale e, cosa fondamentale, gradevolissimo a leggersi. Che siate neofiti della penna, narratori veterani o lettori curiosi, non perdete l’occasione di leggere Messer Forlani talking shop.

 

CircleRevIII.JPGE chiudiamo con il terzo numero di The Circle Review, la rivista letteraria de Il Circolo delle Arti, diretta e curata da Lorenzo V. (@arteletteratura). Questo numero è ricchissimo e vario, pieno zeppo di narrativa, poesia, teatro e saggi. Io ci sono con le prime pagine de Lo Specchio Convesso e con un piccolo divertissement marloviano* – e vi segnalo anche Operazione Manuzio, un’avventura inedita del Cristoforo Marlowe (non quel Marlowe) di Lucius Etruscus.


Col che, direi, avete di che leggere per tutto il finesettimana – o almeno per metà.

Infine, una comunicazioncella di servizio: mi si dice che commentare su SEdS è diventato ancora più complicato di quanto fosse – per non dire impossibile. Ne ho fatto esperienza a mia volta, e sto cercando di risolvere la magagna, ma ancora non approdo a nulla. Costernata e seccatissima, posso solo chiedervi di avere pazienza e, per il momento, di inviare domande, commenti, rants e tutto quanto via mail a laclarina@gmail.com. Si spera di ripristinare i commenti q.p.

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* Non inorridire troppo, Cily: te l’avevo detto che il gioco a volte è irresistibile…

Storie di Teatro

Bisogna ammettere – e lo ammetto con particolare gusto perché sono nel bel mezzo di un giro di prove, con tutto ciò che questo comporta – che il teatro è perfetto da romanzare. Col suo sforzo collaborativo, con i suoi edifici vasti e complicati, con il leggendario cattivo carattere dei suoi praticanti, con la sua turbolenta storia sociale, e con il suo carattere generalmente pittoresco, si presta a fare da argomento e da ambientazione – o anche solo da incidente.

getThumbImage.jpgEpisodi incidentali di teatro si trovano in una varietà di romanzi. Mi vengono in mente la recita di Natale delle sorelle March in Piccole Donne (tutto fatto in casa, dal testo ai costumi), o ancora le pantomime scolastiche in Stalky & Co. e il Goldoni in Compagne di Collegio. Tutti ricordi d’infanzia: Kipling detestava le recite scolastiche, a differenza della Mascagni, e Louisa Alcott giocava “al teatro” con sorelle e cugini La breve carriera teatrale di Nicholas e Smike in Nicholas Nickleby è meno ludica, ma nondimeno basata sulla passione teatrale di Dickens, instancabile attore dilettante. Diverso è il caso di Jane Austen: in Mansfield Park, Fanny* rifiuta di partecipare alla recita organizzata dai suoi cugini – divertimento moralmente deplorevole, e nell’incompiuto romanzo epistolare giovanile The Three Sisters, la richiesta di attrezzare un salone a teatro è presentata come la peggiore stravaganza di una ragazza decisa a sposarsi per denaro.

Poi ci sono romanzi incentrati su arte, vocazione e vita di un attore o un’attrice. La Musa Tragica, di Henry James, con theatre.jpgl’ascesa di Miriam da aspirante di scarso talento a genio delle scene, è in realtà una complicata riflessione su talento, passione, tecnica, arte, ispirazione e vocazione. La Diva Julia (Theatre), di Maugham, è – tra le altre cose – un ritratto ironico e disincantato del mondo teatrale londinese. Personalmente adoro Julia che copia sorrisi e atteggiamenti dai quadri. Penny Parrish comincia come un allegro romanzo per adolescenti, ma la cronaca della gavetta e carriera teatrali di Penny (e del suo matrimonio con un autore-regista) mi è sempre parsa incongruamente realistica rispetto all’inizio.

Altre storie hanno il teatro non solo per sfondo e cornice, ma anche per argomento. Ne Il Capitan Fracassa, Gauthier racconta con abbondanza di particolari vita, difficoltà e avventure di una compagnia di attori girovaghi nella Francia del Seicento, mentre La Barca Dei Comici, che non è un romanzo, ma parte dei Mémoirs di Goldoni, descrive con vivacità la vita teatrale dell’epoca. Qualcosa del genere fa anche Rafael Sabatini, quando aggrega il suo Scaramouche a una delle ultime compagnie di Commedia dell’Arte nella Francia quasi-rivoluzionaria. E poi c’è anche Dumas nel Kean, col suo protagonista prim’attore ottocentesco, ma ne riparliamo più sotto.

Nel mondo anglosassone c’è poi tutta una vasta produzione di romanzi incentrati su autori ed attori del teatro elisabettiano. Anthony Burgess (quello di Arancia Meccanica) ha dedicato un romanzo ciascuno a Shakespeare e Marlowe, e Bryher ha distillato la sua passione per l’epoca in The Player’s Boy – ma sono solo due dei tantissimi: dalle storie per ragazzi ai gialli, ai romanzi biografici ai fantasy, il teatro cinque-seicentesco sembra avere ispirato di tutto.

Gialli, si diceva, e allora sconfiniamo dal periodo. Agatha Christie ha spesso attori tra i suoi personaggi – di solito gente sregolata, superstiziosa, egocentrica e/o avida, che tende a non finire troppo bene (Tredici a Tavola, anyone?). Marta Hallard, l’amica dell’Ispettore Grant di Josephine Tey, è una celebre attrice, mentre Ngaio Marsh ambientava un giallo dopo l’altro a teatro, perché era un’insegnante di recitazione e regista. E della Marsh citiamo Death at the Dolphin (che mi piace tanto anche perché il protagonista è un giovane playwright che si vede affidare un teatro restaurato da dirigere, cominciando con la produzione di una sua commedia di argomento Shakespeariano…) o il meno roseo e più realistico First Night, che non si legge tanto per scoprire il colpevole, quanto per il ritratto della vita teatrale dell’epoca. In anni più recenti, Candace Robb ha incentrato parzialmente il suo Il Mistero Della Cappella sulle rappresentazioni sacre preparate dalle corporazioni nell’Inghilterra medievale, e Deryn Lake inizia una delle avventure del farmacista-detective settecentesco John Rawlings con la morte del prim’attore del Drury Lane. Anche le avventure di Cat Royal – destinate ai ragazzi – si possono considerare gialli avventurosi di ambientazione ottocentesca e teatrale. Se poi vogliamo qualcosa di davvero bizzarro, Point of Dreams, di Melissa Scott e Lisa Barnett, è un giallo-fantasy ambientato in una specie di Rinascimento alternativo, la cui trama è tutta incentrata attorno al complicato allestimento di una tragedia con risvolti politici.

La Commedia della Vita (Morality Play), di Barry Unsworth, è tutta un’altra cosa. Parte romanzo storico medievale che descrive la transizione dai Misteries di argomento religioso a forme di teatro più articolate, parte giallo in cui una compagnia di attori risolve un caso di omicidio, parte riflessione sul teatro come strumento di conoscenza – assolutamente favoloso.

playwithinaplay.jpg E poi c’è qualcosa di diverso: il teatro nel teatro, o metateatro. Teatro che racconta se stesso. Per esempio il Piramo e Tisbe messo in scena da Bottom e compagnia nel Sogno Di Una Notte Di Mezza Estate. Assai meno gaia è la tragedia che Amleto fa rappresentare come trappola per lo zio Claudio, resa ancor più meta dalle riflessioni sull’arte dell’attore (What is he to Ecuba? And what is Ecuba to him?) e dalla possibile polemica contenuta nelle raccomandazioni registiche del principe – c’è chi ha voluto vederci una bordata diretta allo stile declamatorio di Edward Alleyn e dei suoi seguaci. E che dire de Il Critico di Sheridan, satira distribuita con gaio e imparziale abbandono tra attori, direttori di scena, patrons e critici? Scendendo di un altro secoletto scarso troviamo Dumas e il suo Kean, dramma biografico cum riflessione sulla condizione dell’artista, nonché sulla forza dell’arte e della finzione. Per la cronaca, il sottotitolo Genio e Sregolatezza non è casuale, e la faccenda non va a finire veramente bene, nonostante l’apparente trionfo dell’amore su tutto il resto. Chez nous, a questo gioco ha abbondantemente giocato Pirandello – Questa Sera Si Recita A Soggetto, Sei Personaggi In Cerca D’Autore**, Enrico IV, Trovarsi, solo per citarne qualcuno. La finzione è straniamento, l’attore perde la sua identità nella continua finzione, e c’è sempre un prezzo per l’identificazione con il testo o i personaggi. In ambito anglosassone, sapevate che avrei citato Jeffrey Hatcher, con il suo relativamente recente Compleat Stage Beauty – dramma che parte dalla fine dei boy players nella seconda metà del Seicento per parlare di arte e identità – e son tutt’altro che rose e fiori. Rumori Fuori Scena, di Michael Frayn, è tutt’altro tipo di metateatro, un divertissement di variazione sul tema, giocato sulle dinamiche di una compagnia teatrale male assortita, molto più nello spirito dello smontare il giocattolo che della riflessione sul suo funzionamento.

Non è una lista completa, ovviamente, ma dà un’idea, spero, della quantità e varietà di storie che si possono raccontare a proposito di gente che, per mestiere e talvolta per diletto, finge in pubblico di essere altra gente.

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* Fanny è l’unica eroina austeniana che trovi insopportabile – ma non posso esimermi dal ricordare qui una “lettera al direttore” in cui, nei primi Anni Ottanta, un’insegnante lamentava con la redazione di Famiglia Cristiana la mancanza di un’adeguata produzione teatrale per fanciulle, perché era sconcertante e di cattivo gusto far recitare insieme bambine e bambini…

** Curiosità: alla fine degli Anni Quaranta, Ngaio Marsh portò una  compagnia di allievi in tour per tutta l’Australia con un Otello e Sei Personaggi. Scelta molto coraggiosa, premiata da successo.

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