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Libri Sopravvalutati – A Sequel

Si direbbe che questo post abbia generato un pochino di sensazione – qui su SEdS, su Twitter, su FaceBook e tramite un certo numero di email.

La discussione è stata molto piacevole, e spero che non sia finita – ma quello che mi ha colpita è la quantità di osservazioni, tweet e commenti di questo tenore: “non ho mai osato confessarlo, ma…” oppure “sono cose che si esita a dire…” Qualcuno mi ha addirittura ringraziata per avere introdotto l’argomento. Badate che non mi sto chiamando fuori: ho detto nel post che per anni la mia delusione nei confronti de Il Ritratto di Dorian Gray è stata una faccenda vissuta clandestinamente – ma questo era prima che aprissi un blog e diventassi spudorata.

Il fatto è che tutti esitiamo (almeno un pochino) a confessare di non apprezzare troppo l’uno o l’altro monumento letterario. Genitori, amici, insegnanti, manuali di storia della letteratura e programmi radio ci hanno informati ripetutamente che si tratta di Grandi Libri con la G e la L maiuscole, libri che non si può non leggere, Libri Meravigliosi… O, in alternativa, libri che ci daranno una Coscienza Sociale* (maiuscole anche qui).

E noi abbiamo letto da bravi, ma si direbbe che non basti. Dobbiamo anche apprezzare. Ci si richiede di essere entusiasti, e se ci azzardiamo a non esserlo otteniamo sguardi increduli e severa disapprovazione. In alcuni casi si aggiungono massicce dosi di zelo missionario, ma non è detto. Molti monument-lovers non vedono la necessità di discutere sul perché si debba adorare il loro monumento – atteggiamento già non promettentissimo.

Ora, quando si è adulti si discute appassionatamente con i missionari e si leva un sopracciglio all’indirizzo degli intransigenti. Chi è capace di non andare in brodo di giuggiole per Eco, Joyce o Buzzati può convivere con la severa disapprovazione di chiunque – Alla peggio, si coltiva il suo dissenso in silenzio.

Ma quando si è implumi in via di formazione? Non vi viene da pensare che questo atteggiamento diffuso, combinato con lo snobismo di genere, abbia a che fare con lo scarso interesse dei fanciulli per la lettura? Li si esorta a leggere e poi, invece di spingerli a formarsi opinioni e gusto personali, si dice loro che il tale monumento è bello, il tale altro è imprescindibile, il tale altro ancora è un capolavoro assoluto, e tutta la letteratura di genere (ovvero buona parte di quella divertente) è, nella migliore delle ipotesi, un piacere colpevole e un po’ nocivo come le barrette al caramello. Che cosa ne deduce un implume? Una di due cose, direi – o forse entrambe: che la lettura “vera e propria” è una roba pallosa, e che le opinioni fuori dal coro vanno soffocate in culla. Not good.

Con questo non sto dicendo che se debbano lasciare i fanciulli alla mercé di Geronimo Stilton e della signora Meyer – dininguardi! Dico invece che sarebbe bello e istruttivo abituarli alla gamma di letture più vasta che si può, incuriosirli a sperimentare autori e generi diversi, indurli a tenere duro anche con i libri che non piacciono granché  e, soprattutto, incoraggiarli a capire perché un libro piace o non piace loro. Se devono diventare buoni lettori, non hanno bisogno di sentirsi dire che il Gabbiano JL è un libro meraviglioso: hanno bisogno degli strumenti critici per decidere se lo è no. Hanno bisogno di una mente indipendente. Hanno bisogno di formarsi un gusto, di scegliersi dei criteri, di imparare a difendere le loro opinioni al di là di mi piace/non mi piace.

E come impareranno, se tutto quel che si fa è indottrinarli a credere che l’uno o l’altro libro sia Bello In Assoluto?

Che ne dite?

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* Questo caso è ancora più subdolo, perché subentra l’ansia da politically correct: se detestate Dan Brown, arrivano gli applausi, se non andate pazzi per Victor Hugo non succede quasi nulla, se non vi piace il Piccolo Principe vi guardano con severa disapprovazione, ma provate ad avanzare dubbi sulla statura letteraria di Tahar Ben Jelloun o Saviano… anatema!

Dieci Libri Sopravvalutati

In questo post Brian Klems dice che tutti, prima o poi, leggiamo un libro perché amici, famigliari, parenti, stampa and world at large ne parlano con incontenibile entusiasmo. Così leggiamo e… “tutto qui?”

A titolo autobiografico, Klems cita Il Grande Gatsby, cui riconosce a monumental place in the history of American literature – solo che a lui non è piaciuto. Lo giudica inferiore ad altri libri che cita, incluso Il Signore Delle Mosche.

E un po’ più sotto, nei commenti, un lettore confessa di avere avuto un’esperienza simile proprio con Il Signore Delle Mosche: sarà pure un pilastro della letteratura contemporanea, ma a lui non è piaciuto. Dove si vede che il concetto di “libro sopravvalutato” non è meno personale di quello di “brutto libro”. Si può credere di avere treni merci di inoppugnabili ragioni estetiche e tecniche per la propria delusione/disapprovazione, ma ci sarà sempre qualcuno pronto a indignarsi: “ma scherzi? È* un libro bellissimo!”

A parte le disparità di gusto, trovo che intervenga un altro fattore. Chiamatela diffidenza, chiamatelo spirito di contraddizione, chiamatelo scetticismo, ma esiste questo meccanismo di difesa che ci conduce a dubitare – a ragione o a torto – di ciò che ci viene decantato con troppo zelo. L’ultima volta che mi ci sono imbattuta è stato la settimana scorsa, e non si trattava di me. Durante una sessione antelucana di NW cercavo di convincere F. a leggere Lord Jim, e lei mi ha detto che raramente legge qualcosa che le viene suggerito col trasporto che ci stavo mettendo, perché ha imparato che la gente persa come me dietro un libro raramente è obbiettiva nel giudizio. E naturalmente mi sarei morsa la lingua, ma devo ammettere che F. ha ragione e anch’io reagisco come lei: rifiuto pervicacemente e, anche quando cedo, parto così prevenuta che di rado apprezzo – specie se c’è hype mediatica all’opera. E se non c’è hype, ma parto con aspettative troppo alte sulla base del luccichio negli occhi del consigliatore, è ancora peggio. 

Per dire:

1) Il Ritratto Di Dorian Gray. Sì, lo so, è grave – tanto che per anni non ho avuto il coraggio di confessarlo. Ma, giacché ne parliamo, non è che non mi sia piaciuto del tutto, solo che mi aspettavo di esserne impressionata di più. Molto di più. Tipico caso in cui troppe aspettative hanno giocato a sfavore del libro.

2) Siddharta. Letto da giovinetta, cedendo all’entusiasmo delle compagne di liceo. E per fortuna non era il mio primo Hesse, o mi sarei scoraggiata subito, perdendomi romanzi che invece ho amato, come Narciso e Boccadoro, Il Giuoco Delle Perle Di Vetro, L’Ultima Estate Di Klingsor, Demian, Gertrud… Quindi spiegatemi: perché Hesse deve essere identificato automaticamente con una delle sue opere più modeste?

3) Il Vecchio E Il Mare. Non ditemi che non è vero: Hemingway era insuperabile nel costruire romanzi con niente. Niente storia, quasi niente caratterizzazione, niente dialogo, niente ricchezza linguistica… Posso apprezzare the technical feat, ma francamente lo apprezzo di più quando si esaurisce in 6 parole anziché in un libro intero.

4) La Guerra Dei Bottoni. Louis Pérgaud, avete presente? Era uno dei libri prediletti di mio padre, che non ebbe pace finché non riuscì a farmelo leggere. Solo che LGDB a lui ricordava tanto la sua infanzia, e a me no. Noia mortale.

5) Dersu Uzala. Idem come sopra, salvo i ricordi d’infanzia. “È così poetico…” *Yawn*.

6) Barnabo Delle Montagne. E sia ben chiaro: a me Buzzati piace – ma se c’è Il Deserto Dei Tartari, a che serve Barnabo?

7) Il Gabbiano Jonathan Livingstone. Probabilmente I’m even mispelling the name. E non andrò nemmeno a controllare per correggerlo. Gabbianastro. Storia banale fino alle lacrime, grondante saccarina e scritta in modo indifferente. Qualcuno mi spiega perché deve essere considerata una lettura irrinunciabile?

8) Il Piccolo Principe. Chi mi legge da un po’ si stava chiedendo: “e come mai non ci ha ancora messo il PP?” Eccolo qui. Idem come sopra – anche se forse è scritto meglio. Un pochino meglio.

9) Ulisse. I’m of two minds here. Come Klems per Fitzgerald, riconosco lo status di monumento letterario, e in più ammiro la sperimentazione tecnica. Detto questo, non sono riuscita a finirlo, perché mi annoiavo oltre ogni dire. Una volta apprezzata l’originalità, nel giro di una cinquantina di pagine, ero satolla. Non ne volevo più. Non ne potevo più. Credo di aver tirato pagina 100 con le unghie e con i denti, prima di decidere che avevo sparso abbastanza lacrime, sudore e acido gastrico per la causa del flusso di coscienza.

10) Il Pendolo Di Foucault**. Sono certa che Eco si diverte un mondo a scrivere quei ciclopici tomi che traboccano erudizione… ma siamo sinceri: quanti apprezzano davvero Il Pendolo di Foucault? Quanti l’hanno letto davvero tutto senza saltare nemmeno un paragrafo***? E senza chiedersi mai nemmeno una volta quanto ne manca ancora?

E qui mi dovrei fermare ma non posso fare a meno di infilare di soppiatto un numero: 11) tutto Baricco. Baricco non narra nulla. Affastella periodi turgidi e fioriti, tratta il lettore con condiscendenza e, al tempo stesso, gli strizza l’occhio: non siamo gente raffinata e piena d’immaginazione tu e io, O Lettore? Ecco, no.

Quindi direi che per me si tratta di un misto di aspettative troppo elevate, eccesso di zelo altrui e sinceri dubbi di suggestione collettiva.

E voi? Quali libri vi hanno lasciato a chiedervi “tutto qui?” E soprattutto: perché?

 

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* Renzo, se stai leggendo: sei fiero di me? Tutte le È maiuscole accentate giuste, adesso. Ti sarò grata in eterno.

** E qui francamente potete sostituire a piacere con L’Isola Del Giorno Dopo o Baudolino

*** Questo, in realtà, potrebbe valere anche per Il Nome Della Rosa, che non è davvero sopravvalutato, solo implausibilmente popolare.

Lug 15, 2011 - grillopensante, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Se

Se

kipling, il libro della jungla, toomai degli elefantiE’ ufficiale: sto invecchiando.

Stamattina mi sono svegliata con Toomai Of The Elephants in testa, e non c’è stato verso: era questione di rileggerlo o pensarci per tutta la giornata.

TOTE è uno dei racconti del Libro Della Jungla, ma viene spesso pubblicato per conto suo. E’ la storia di un ragazzino indiano che vuole diventare un mahout e della sua straordinaria iniziazione, ma è soprattutto una storia di elefanti, dei loro riti e delle loro menti un pochino umane e molto misteriose.

TOTE è anche la porta attraverso cui, più o meno trentacinque anni fa, mi sono avvicinata a Kipling. Ho ricordi di mia madre che mi legge questa storia in una sera d’estate, della potenza delle immagini, e più di tutto della danza degli elefanti, selvaggia e solenne nel cuore della foresta buia. Sono certa che la radice prima della mia predilezione per gli elefanti è proprio lì.

E quindi per prima cosa stamattina ho cercato Toomai Degli Elefanti e l’ho riletto kipling, il libro della jungla, toomai degli elefantidopo decenni. Non nella versione di allora, ma in originale. E, come vi dicevo, sono giunta alla conclusione che sto invecchiando, perché mentre leggevo mi sono commossa… 

No, non sui ricordi d’infanzia – non sono ancora a questo punto – ma sulla storia in sé. Mi sono commossa sul mahout che chiama il suo elefante “mio signore”,  su Petersen Sahib che sa di non poter capire molte, molte cose, su Kala Nag, l’elefante più amato in tutto il Servizio, sul piccolo Toomai, sfrontato, timido e fiducioso come i bambini veri, sugli elefanti selvaggi e domestici che si danno convegno e poi tornano al loro posto – e sul finale. No, non vi dico nulla del finale, andate a leggerlo qui – in Inglese*.

E, una volta di più, non capirò mai il modo in cui è sottovalutato Kipling, con la sua scrittura vivida e potente, con le sue caratterizzazioni finissime e così umane, con la sua curiosità intellettuale e con la sua vena epica…

kipling, il libro della jungla, toomai degli elefantiSe uno scrittore è stato capace di segnarmi con una storia quando ero bambina, e poi a decenni di distanza è ancora capace di farmi svegliare con una nostalgia improvvisa di quella storia; se alla rilettura è capace di commuovermi e sorprendermi ancora, perché invece di trovarci meno di quanto ricordavo, ci trovo tanto di più; se è capace di emozionare la donna come allora aveva saputo emozionare la bambina; ebbene o miei lettori, allora quello scrittore è uno Scrittore.

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* O, se preferite, qui in Italiano – ma vi avverto: la traduzione è tutt’altro che male, ma in caratteri da lasciarci una diottria ogni tre righe e  in una formattazione tanto irritante quanto incomprensibile… Basta vedere come hanno trattato le due poesie all’inizio e alla fine.

Lug 6, 2011 - gente che scrive, libri, libri e libri, posti    Commenti disabilitati su Il Mondo Piccolo di Guareschi

Il Mondo Piccolo di Guareschi

Parlando di scrittori, trovo che ci sia un genere speciale di grandezza: la capacità di creare mondi. E badate, non parlo di dettagliatissimo e immaginifico worldbuilding da fantascienza o fantasy – o almeno non necessariamente. Parlo di ogni caso in cui uno scrittore crea una serie di personaggi, luoghi e atmosfere che assumono un grado di realtà per il lettore. “Posti” in cui si vorrebbe stare, in cui ci si sente trasportati per il tempo della lettura, da cui spiace allontanarsi dopo avere chiuso il libro, di cui si sente nostalgia…

Guareschi1.JPGPrendete Guareschi e la sua Bassa del dopoguerra, con gli argini del fiume, i pioppi, i campi, la piazza del paese, le stalle, le trattorie, l’officina, la scuola elementare, la chiesa, la sezione del PCI… Quello che Guareschi chiamava il Mondo Piccolo – da qualche parte sulle rive del Po – è diventato un Posto di questo genere per un’infinità di lettori.

Fontanelle (PR), il paese natale di Guareschi, al Mondo Piccolo ha dedicato un incantevole museino che incarna alla perfezione quest’idea. Ci si arriva vagando per la campagna parmense, lungo strade minori, attraverso campi già mietuti, di paesetto in paesetto. Poi s’imbocca un magnifico viale di tigli – dove ci si aspetta da un momento all’altro di vedere la sagoma di Don Camillo in bicicletta, sottana, saturno e tutto – e ci si ferma a una di quelle vecchie scuole elementari con la facciata d’intonaco giallino e mattoni a vista. Credo che parte della mia generazione – la fetta che abita in campagna – abbia fatto in tempo a imparare a scrivere in edifici del genere. Ci si sente in territorio familiare. Davanti alla scuola c’è il Giovannino in persona. Statua in bronzo a grandezza naturale. In bicicletta. Come se fosse capitato lì e stesse per ripartire da un momento all’altro, fermo solo per il tempo di salutare con un cenno i nuovi venuti. Si ricambia il saluto e si entra nel museo. 

Nel Museo del Mondo Piccolo, a dire il vero, non è esposto nulla. Ci sono riproduzioni di vecchie fotografie, mappe di varie epoche, audiovisivi, una combinazione di tronchi e specchi che ricostruisce (con una certa efficacia) un boschetto di pioppi, alcuni vecchi banchi scolastici dove ci si può sedere per ascoltare la storia di Faraboli, delle sagome di contadini e un paio di pallets di libri di Guareschi. Nient’altro. Si passeggia e si ascoltano le voci che raccontano la storia della zona, la vita nei campi, la nascita delle cooperative, le vicende del Giovannino.otellobernini.jpg

E si ricorda. Si ricordano letture guareschiane ad opera delle nonne, personaggi irascibili e candidi, così vividi da essere quasi gente di famiglia, citazioni passate a lessico famigliare,  film rivisti all’infinito. E uscendo dalla scuola/museo ci si ritrova ancora nel Mondo Piccolo, nei paesetti, nei viali alberati, nei campi, nelle corti, a tavola con lambrusco e culatello – e non è difficile immaginare in questo scenario la gente e i fatti che si sono appena sentiti descrivere nel museo. Nel museo dove si respirava la stessa aria. Nel museo dove non è esposto nulla. Nulla se non l’atmosfera – l’essenza intangibile del Posto.

Libri Perduti, Libri Ritrovati

betty smith, un albero cresce a brooklyn, libri, lettureNon vi è mai capitato di leggere da qualche parte una pagina di un libro, innamorarvene, volerlo leggere tutto e poi – per un motivo o per l’altro – non riuscirci?

Ne avete trovato una pagina su un’antologia, oppure avete ricevuto un prestito volante, oppure lo avete sfogliato su una bancarella e poi lasciato lì, o ne avete sentito leggere uno scrap alla radio. E dopo… magari avete annotato il titolo e perso il foglietto, oppure ve ne siete semplicemente dimenticati, benché foste certi di non farlo. Può anche darsi che non abbiate mai saputo chi fosse l’autore. Succede.

Però vi resta una curiosità, una nostalgia, un desiderio di leggere o rileggere, di sapere che mai succede a quel personaggio che vi aveva intrigato. Ogni tanto vi torna in mente, qualche volta vi capita persino di chiedere notizie a quell’amico che legge di tutto: “hai presente un libro in cui succede questo, questo e questo? Non so di chi sia. C’è un protagonista così e così, è ambientato nel tal posto, nell’epoca tale…”  O magari provate a consultare qualche libraio, non mancate mai di scrutare le bancarelle di libri usati e ripescate in soffitta le vecchie antologie. Oppure, una delle volte in cui vi torna in mente e capita che siate al computer, vi affidate a Google.

E in un modo o nell’altro, se persistete a sufficienza, finirete col trovarlo. Il libro salterà fuori su una bancarella o su internet, ritroverete il pezzetto di carta con il vostro appunto o l’antologia rilevante…

Ed eccovi lì, con il vostro Libro Ritrovato, e anni di ricordi deformati e aspettative irragionevoli fanno crepitare l’aria tra voi e il bottino. Ed esitate un po’, perché sapete che la lettura non sarà come la ricordate e come ve la aspettate. Dopo tutto può darsi che il libro non vi piaccia nemmeno, o che non sia quello che credevate. Magari il brano che ricordate riguardava un aspetto marginale o un personaggio secondario – per cui state per leggere tutt’altro. betty smith, un albero cresce a brooklyn, libri, letture

Il discorso non è completamente privo di riferimenti a fatti o persone reali: ho appena caricato sul mio Kindle un ritrovamento: A Tree Grows In Brooklyn, di Betty Smith, di cui ricordavo un brano letto su un’antologia venticinque anni fa. S’intitolava Francie e i libri. Me lo ricordo con una certa precisione – la biblioteca dove Francie prendeva in prestito le sue letture, i nasturzi così belli che guardarli le faceva male, il piccolo vaso panciuto per la colla, il nascondiglio per leggere, la coppa di vetro blu incrinata per le caramelle alla menta bianche e rosa, l’assenza del bambino dei vicini che giocava sempre “al funerale” seppellendo insetti nelle scatole da fiammiferi… Francie aveva deciso di leggere tutti i libri della biblioteca, e ne prendeva a prestito uno ogni giorno – due al sabato. E da quando aveva scoperto Amore mio se fossi re, una biografia romanzata di François Villon, lo riprendeva ogni sabato per rileggerlo. Aveva persino cominciato a copiarlo a matita su un quadernetto da 2 cents, ma non era lo stesso. All’epoca avevo persino trovato un nascondiglio per leggere, e le caramelle di menta bianche e rosa da tenere in una coppa di vetro. E so di avere assorbito un modo di dire da quella pagina…

Ecco, adesso ce l’ho, il libro. Il libro che mi ha influenzata senza che lo abbia letto per davvero. Adesso ce l’ho – originale, formato ebook – e sono pronta a leggerlo. Sto per conoscere Francie Nolan per davvero, dopo che, per un quarto di secolo, l’ho ricordata per Villon e le caramelle alla menta. Vi farò sapere.

E già che ci siamo: qualcuno ha idea di che cosa possa essere un lavoro teatrale tradotto dall’Inglese, in cui una giovane donna, dopo la sua morte, ottiene di poter tornare per una giornata con i suoi cari, nonostante le altre anime glielo sconsiglino caldamente? E quando è tornata, scegliendo un giorno di compleanno, è terribile, perché i suoi famigliari lo vivono come era accaduto a suo tempo, senza dare ascolto alla protagonista che li prega di rallentare, di godersi ogni momento, di non dare per scontato la serenità e l’affetto… Avete idea?

E voi? Non avete qualche Libro Perduto? Il lontano ricordo, o l’impressione, o il pezzetto di un libro che non riuscite a identificare?

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Oh, e semmai fosse venuta la curiosità anche a voi…

 

 

Mag 30, 2011 - considerazioni sparse, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Le Liste Di Torino

Le Liste Di Torino

Salone del libro di torino, centocinquantesimo, centocinquanta grandi libri, unità d'italiaUn po’ in ritardo scopro che, in onore del Centocinquantesimo, al Salone del Libro di Torino hanno stilato tre liste: i centocinquanta libri, uno per ciascun anno italiano, che “ci hanno resi un po’ più italiani”, i quindici personaggi “il cui pensiero… è diventato matrice dell’identità di noi italiani d’oggi” e quindici “Superlibri… I totem. I must, i testi fondativi su cui l’Italia si è formata e si è lacerata, si è unita e si è divisa.”

Cominciamo subito col dire che in fatto di Personaggi sono abbastanza d’accordo. Immagino che ci sarebbero stati altri candidati possibili, ma non si può negare che tutti e quindici gli eletti abbiano lasciato segni profondi nella cultura italiana intesa nel senso più lato.

Qualche riservetta in più potrei avere in merito ai Superlibri – ma nulla di enorme: la motivazione chiarisce debitamente che la lista non comprende “necessariamente capolavori di bello scrivere.” Piuttosto, gli estensori hanno cercato di individuare “i libri che, al loro apparire, hanno rappresentato un punto fermo, una svolta, un cambio di passo. Libri che hanno trasformato la rappresentazione del nostro Paese agli occhi di sé e del mondo.” Non sono del tutto sicura che il Pasticciaccio brutto o Il Nome della Rosa siano stati proprio così miliari, ho la sensazione che l’inclusione di Pinocchio si basi su considerazioni retrospettive e credo che sia ancora troppo presto per investire definitivamente Gomorra del ruolo di svolta epocale, ma nel complesso capisco i criteri e vedo qualche coerenza nella loro applicazione.

Dove invece ho delle remore è con la lista dei Centocinquanta Grandi Libri. Vi dirò, ci ero arrivata seguendo la segnalazione di questo articolo, in cui ci si stracciano le vesti per l’esclusione di Manzoni e (presumo) dei Promessi Sposi dal novero dei libri “che ci hanno resi un po’ più italiani”. In realtà, come d’altronde nota la blogger stessa, c’è un ottimo motivo per l’esclusione, visto che la lista conta solo libri pubblicati dal 1861 in qua e, fino a prova contraria, l’ultima edizione dei PS è la Quarantana. Per cui Manzoni non c’entra, e so far so good. Più di traverso mi va il fatto di non riuscire a individuare un criterio che spieghi l’insieme delle scelte. Valore letterario? Allora, perdonatemi se storco il naso davanti a Tamaro, D’Orta, Terzani e Faletti – quanto meno, ma potrei continuare ancora un po’. Splash editoriale? Vendite? Popolarità? E come la mettiamo allora con l’assai specialistico Ascoli, o con De Roberto, i cui Vicerè faticarono tanto a trovar fortuna? Estrema italianità per autore o per contenuto? Qualcuno mi spiegherà allora la presenza del pontefice polacco o di Magris proprio con Danubio. Immedesimazione da parte dei lettori? Non me ne voglia l’ombra del Professor Ascoli se lo tiro in ballo una seconda volta, ma ho difficoltà a immaginare schiere di Italiani che s’immedesimano nel Proemio all'”Archivio Glottologico Italiano” – o nei Saggi Critici di Debenedetti, se è per questo. Carattere defining dell’Italianità in senso lato? E allora che ci fanno Baricco e Giordano, per citarne due?

“O tonta,” mi si dirà. “Ma la lista è chiaramente, ovviamente, lapalissianamente basata su una combinazione di tutti i criteri che hai citato!”

Fort bien, ma allora spiegatemi meglio il peso relativo dei criteri e la loro applicazione, spiegatemi che cosa ha portato un criterio a prevalere sugli altri in ciascun caso, spiegatemi l’ottica ultima della faccenda. Spiegatemelo perché, lo confesso arrossendo, da sola non ci arrivo del tutto.

Voi che ne dite?

 

Mag 27, 2011 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su La Rivincita In Accademia

La Rivincita In Accademia

Venerdì 27 maggio, ore 17.30, Sala Ovale dell’Accademia (Via Dell’Accademia, 47 – Mantova)

 

Presentazione del volume LA RIVINCITA, romanzo filosofico incompiuto di don SERGIO LASAGNA

Saluti del Presidente dell’Accademia professor GIORGIO ZAMBONI e per la Diocesi di Mantova dell’Accademico mons. ROBERTO BRUNELLI.

Interverranno mons. ULISSE BRESCIANI e CHIARA PREZZAVENTO.

Amazon Affiliate

Chiariamo una cosa.

Da qualche tempo avete cominciato a veder comparire qua e là per SEdS dei link con immagine che conducono a una pagina di Amazon.it o Amazon.uk su cui è possibile acquistare l’uno o l’altro libro. Si tratta di affiliate links: se qualcuno giunge alla pagina in questione e compra il libro, io ricevo una commissione. Ebbene sì: mi sono affiliata.

Perché l’ho fatto? Non tanto inseguendo il miraggio di folli guadagni – tra l’altro le commissioni non sono quel che si dice faraoniche, e sono destinate a diminuire – quanto perché abbastanza spesso mi capita di ricevere mail del tipo: dove trovo il tale e il tale altro libro? E mentre per i libri in Italiano, quando si parla di edizioni fuori catalogo, posso sperare di indicare qualche biblioteca, per quelli in Inglese la faccenda è più complicata, e Amazon è spesso una buona soluzione. Mi è capitato molte volte, girellando per blog altrui, di scoprire un libro che volevo assolutamente leggere, e di apprezzare il link del posto in cui potevo procurarmelo subito. Perché non offrire lo stesso genere di possibilità?

Vi dirò di più: siccome myBlog ha appena reso possibile la creazione di pagine aggiuntive, non è affatto improbabile che Senza Errori di Stumpa sviluppi un suo piccolo bookshop, dove sarà possibile trovare link diretti per l’acquisto dei miei libri e di un ristretto numero di altri titoli – quelli da cui sono particolarmente ossessionata. Anche quelli saranno affiliate links.

Ciò detto, è ovvio che continuerò a recensire, raccontare e dissezionare del tutto indipendentemente da quello che Amazon vende o non vende, e non tutto quello di cui parlerò sarà disponibile su Amazon.

Intanto sperimentiamo. Quando avrò rodato un po’, semmai riparleremo di come funziona.

Mag 4, 2011 - libri, libri e libri    2 Comments

Dieci Anni Con Amazon

Dieci anni fa, come oggi, ho ordinato il mio primo libro su Amazon. Ero internettizzata da poco, la rete era ancora hic sunt leones, e stavo scoprendo con entusiasmo crescente la posta elettronica – ma comprare libri a distanza sembrava una cosa davvero marziana. Poi il mio amico A. – che essendo un ingegnere era più tecnologico di me – ne cantava talmente le lodi…

Non so se vi rendiate ben conto. All’epoca, dopo alcuni felici anni trascorsi tra Pavia, Cardiff e Londra, ero appena tornata a vivere in un posto dove la libreria più vicina è a venti chilometri di distanza, e quando ci sei arrivata non è che si facciano proprio sempre in quattro per procurarti quel che cerchi, specie se è in Inglese. Io pensavo con feroce rimpianto al Delfino di Piazza della Vittoria e ai vari bookshops della mia vita recente, e all’improvviso, secondo A. c’era un accettabile next best thing

Oh, la prima visita su Amazon.com, questi scaffali virtuali colmi di ogni bendidio, con le immagini delle copertine e le recensioni… mi sentivo tanto Ali Baba! E ricordo benissimo di avere impiegato quasi due ore a scegliere il mio primo acquisto: The Juvenilia of Jane Austen and Charlotte Bronte, edizione Penguin, £ 10,76 più, presumo, spese di spedizione. E ricordo l’arrivo del pacchetto una settimana esatta più tardi, e la felicissima lettura*, e l’appagante sensazione di avere di nuovo a portata di mano un posto dove procurarmi i libri che volevo, non quelli che trovavo.

Negli ultimi dieci anni sono stata un’acquirente fedele di Amazon nelle sue varie branches internazionali: Amazon.com, Amazon UK, occasionalmente Amazon France e, dallo scorso anno, Amazon Italia. In realtà le Poste Italiane hanno fatto del loro meglio per rovinare questo felice idillio, ma devo dire che ho sempre trovato un ottimo servizio, e tutte le volte in cui i libri sono andati effettivamente persi (perché è capitato, and not just once), tanto Amazon propriamente detta quanto i vari dealers sono sempre stati prontissimi a rispedire senza la minima difficoltà. Posso forse registrare la volta in cui, ad acquisto pagato, un dealer mi ha informata che dei due volumi di The Elizabethan Stage di E.K. Chambers che avevo ordinato, ne aveva uno soltanto. Fortunatamente era quello di cui avevo più bisogno, e siccome non si trovavano altre copie, mi sono fatta rifondere il volume mancante e sono andata avanti. Oppure potrei raccontare l’occasionale squabble con il venditore che non vuole tre stelline di feedback, perché tre stelline contano come un voto negativo, e allora non è giusto, e posso per favore rimuovere il feedback…

Ma fa nulla: nel complesso Amazon mi ha resa e ancora mi rende molto felice. Ah, il senso di vacanza di quando arriva un pacco di libri! Tra l’altro, molto opportunamente, proprio ieri ne è arrivato uno. A dire il vero è in ritardo, ma arriva così a proposito che glielo si può perdonare.

E a titolo di festeggiamento del decennale, avendo io scoperto (meglio tardi che mai!) che Somnium Hannibalis è in vendita su Amazon, credo  che infilerò qui questo:

Grazioso, vero? E so di essere del tutto spudorata, ma se qualcuno di voi avesse voglia di passare di là e lasciare una recensione, sarei molto grata.

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* Periodo di marmellata di rose, tra l’altro, e ancora adesso associo il profumo in questione a(gl)i Juvenilia.

Apr 13, 2011 - libri, libri e libri    18 Comments

Incubi Di Carta

incubo2.jpgSi parlava, qualche tempo fa, di libri che segnano. In realtà poi ci sono libri che segnano in modo molto meno duraturo – ma più sgradevole. Avete mai avuto incubi da lettura? Io a bizzeffe. Sarà che in qualche modo la parola scritta, con la sua capacità di evocare senza esplicitare del tutto, ha sempre avuto su di me molto più effetto delle immagini. Sia come sia, ho passato molte notti insonni a rimpiangere di avere mai posato gli occhi sull’uno o sull’altro libro. E non solo da bambina: c’è voluta una dissennata quantità di anni perché imparassi ad applicare il principio che certe cose vanno lette soltanto nelle ore di luce. Perché dite quel che volete, ma dopo il tramonto cambia tutto e la stessa storia che in pieno giorno era quasi innocua, diventa foraggio per gli incubi.

Non dico che le mie reazioni siano del tutto sensate, e scommetto che su qualcuna sorriderete. D’altra parte, a man’s treasure… con quel che segue. Vediamo un po’.

* Jack London. Mi par di sentire il fruscio di sopracciglia sollevate. “Jack London ti dà gli incubi?” Non tutto JL, anzi: sono un particolare racconto in cui un uomo che si era ritrovato isolato nella neve, ferito e incapace di proseguire, cercava di uccidere a mani nude il suo cane husky per potersi tenere al caldo le mani nel cadavere sventrato. Alla fine non ci riesce, il cane fugge e presumibilmente l’uomo muore congelato. Premettendo che avevo dieci anni, la ferocia della situazione, pur senza particolari cruenti mi rovinò il sonno per tutta una vacanza al mare.

* Tra Gli Orrori Del Duemila. E già dal titolo… Altro ricordo d’infanzia, altra storia marittima, nonché l’inizio del mio pessimo rapporto con la fantascienza. Forse ho già raccontato questa storia da qualche parte. Mio padre non partiva mai per il mare con una scorta sufficiente di libri e, essendo un lettore vorace e rapido, finiva invariabilmente col comprare quel che trovava nelle edicole. Quella di cui parlo, era una storia fantascientifico-apocalittica della collana Urania, iniziata e accantonata – e non si supponeva affatto che io dovessi leggerla. Ma conoscete tutti i proverbi su gatti, curiosità e fette di lardo. Venni pescata a pagina prima di arrivare a pagina cinque, quando l’eroina aveva appena cominciato a vagare nella distruzione post-nucleare, ma era tardi. Estate insonne e, a distanza di quasi trent’anni, ricordo ancora più particolari raccapriccianti di quanto mi piaccia.

* La Storia Infinita. Ed ecco, giurerei, altre sopracciglia che si sollevano. ma dite la verità: la gente che va danzando a gettarsi nel Nulla? Il lupo parlante Mork che aspetta incatenato la fine? *shiver*

* La Collina dei Conigli. C’erano collane di narrativa scolastica che lo propinavano ai fanciulli undici-dodicenni, e non capirò mai con quale buon senso. A me, svanita ben presto l’impressione di avere a che fare con una graziosa storia di animali, le premonizioni di Quintilio e la distruzione della tana facevano accapponare la pelle.

* Oh, Whistle And I’ll Come To You, My Lad. Questa è una storia di fantasmi inglese molto classica, e a leggerla non sembra nemmeno così terrificante. L’importante sarebbe non leggerla di notte, specie se si abita in una vecchia casa piena di scricchiolii e rumoretti notturni, perché è la storia di un accademico che si ritrova a fronteggiare un fantasma particolarmente malevolo, che comincia con l’infestare la sua stanza di locanda, dandogli questa costante impressione di non essere solo… E poi diventa difficile spegnere la luce.

* 1984. E’ chiaro che con le distopie non ho un buon rapporto. E’ difficile dire che cosa mi dia più angoscia… forse l’ora di odio collettivo? Ma direi che l’atmosfera generale è materia da incubi, almeno tanto quanto la storia in sé.

* Una storia di fantascienza di cui non ricordo il titolo. Mi spiace per l’imprecisione, ma si vede che in queste circostanze tendo a rimuovere. Venere, pioggia ininterrotta, astronauti naufragati che cercano disperatamente una delle cupole del sole, gli artificial environments costruiti per permettere di sopravvivere su Venere. Però poi i membri del gruppo cominciano a impazzire uno dopo l’altro, e chi impazzisce lì fa una cosa sola: si mette faccia all’aria a bocca aperta, finché non annega nella pioggia – e non c’è nulla da fare. Non so quanto sia verosimile, ma quando l’ultimo superstite, dopo avere ucciso uno per uno i suoi compagni per risparmiare loro l’agonia, arriva alla cupola, la trova distrutta. Anche questo racconto, per ragioni imperscrutabili, era in un’antologia scolastica. Ve l’ho detto che a me la fantascienza non piace?

* Un libro di cui non ricordo e non voglio nemmeno ricordare il titolo. E badate bene che non l’ho nemmeno letto, ma la recensione è stata sufficiente. Inverno nucleare (essì, non so che farci), alcune famiglie rifugiate in un bunker antiatomico troppo grande per loro e un gigantesco coniglio rosa – forse mutante, forse psicopatico travestito – armato d’ascia che riesce ad entrare. Finale agghiacciante, diceva il recensore. E ridete pure, ma le ansie notturne provocate da questa faccenda non ve le immaginate nemmeno. E qui non si tratta nemmeno di buona scrittura o cattiva scrittura, di particolari raccapriccianti o di sottile tensione montante, no: devastazione, isolamento e follia combinati erano già sufficienti per me. Posso dire di avere avuto gli incubi per una recensione – e non era nemmeno di un mio libro.

* Poe in generale. Molte delle sue storie appartengono al novero delle cose che non posso, proprio non posso, leggere dopo il tramonto. Ma dopo l’incidente della Mascherata della Morte Rossa, credo di avere capito l’antifona. In fondo, chi me lo fa fare? A me piace dormire di notte, almeno qualche ora. Se voglio leggere cose angoscianti, adesso lo faccio di giorno, che diamine.

D’accordo, I’m lily-livered in fatto di letture. E voi? Magari siete di quelle persone che non fanno una piega, che vanno a cercare orrori&terrori e li divorano con gusto a qualsiasi ora del giorno e della notte – e poi vi capita di svegliarvi col cuore in gola in conseguenza della lettura più improbabile… Raccontate: quali letture vi hanno levato il sonno, da fanciulli e da adulti? Perché il potere di suggestione delle parole non ha età.